La leadership di Al Qaeda duramente colpita dalla morte del suo leader Ayman al-Zawahiri e dal suo probabile successore, Abu Muhammad al-Masri, mentre nel Sahel un leader del gruppo qaedista maliano Jamaat Nasr al-Islam wa al Muslimin viene ucciso dai militari francesi.
Una serie di episodi che messi assieme sembrano indicare un colpo quasi mortale nei confronti di al-Qaeda, ma soltanto in apparenza, perchè la questione è ben più complessa e fa parte di un drastico cambio di equilibri nell’ambito dell’estremismo islamista e del jihadismo, direttamente riconducibile a un periodo molto turbolento che dal 2011 sta scuotendo il Medio Oriente.
Al-Qaeda decapitata, ma attenzione alle tempistiche
In primis è bene trattare subito la presunta morte di al-Zawahiri, già annunciata in più occasioni ma poi puntualmente smentita. Stavolta la notizia veniva data da Hasan Hasan, direttore del think-tank statunitense Center for Global Policy (Cgp) il quale ha aggiunto che il decesso sarebbe avvenuto circa un mese fà per cause naturali.
Rita Katz, la direttrice del noto sito per il monitoraggio del jihadismo, Site Intel, ha affermato che voci sulla morte del leader di al-Qaeda circolavano già da un pò e che non c’è da stupirsi se al-Qaeda non ha annunciato nulla in quanto è una peculiarità dell’organizzazione il comunicare con ritardo i decessi dei propri leaders o il non farlo affatto.
Di per sè la morte di al-Zawahiri non è una gran notizia in quanto le sue precarie condizioni di salute erano da tempo note e si sapeva che la fine del leader era oramai questione di poco tempo. Ciò che invece può essere considerato un vero “colpaccio” è l’uccisione del suo probabile successore, l’egiziano Abu Muhammad al-Masri, che sarebbe avvenuta lo scorso 7 agosto a Teheran per mano di due sicari del Mossad israeliano in coordinazione con gli Usa che lo avevano già inserito nella “black list” con l’accusa di aver pianificato gli attentati del 1998 contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania.
I due “kidonim” sarebbero giunti a bordo di una moto ed avrebbero aperto il fuoco contro al-Masri uccidendolo assieme alla figlia (nonchè vedova di Hamza Bin Laden, figlio dello sceicco del terrore). Fonti israeliane hanno reso noto che al-Masri stava pianificando attentati contro cittadini israeliani e contro comunità ebraiche all’estero.
L’Iran ha ferocemente smentito l’uccisione di al-Masri, bollandola come propaganda sionista e occidentale; fatto sta che diversi alti membri di al-Qaeda avevano trovato rifugio in Iran in seguito alla campagna militare statunitense scatenata dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, tra questi non vi era soltanto al-Masri, ma anche Hamza e Saad Bin Laden, figli di Usama.
Non solo, perchè anche l’attuale possibile successore di al-Zawahiri e numero tre di al-Qaeda, l’egiziano Saif al-Adel, sarebbe nascosto in Iran. Nulla di sorprendente visto che Teheran ha permesso agli esponenti qaedisti di risiedere sul proprio territorio ponendoli agli arresti domiciliari. Ovviamente ciò non significa che i qaedisti non abbiano potuto proseguire con le proprie attività, non bisogna infatti dimenticare che regime iraniano e al-Qaeda, seppur rispettivamente appartenenti a branca sciita e sunnita, nutrono comunque un interesse comune nel combattere Stati Uniti ed Israele e chi conosce bene le dinamiche del mondo islamico è ben consapevole di quanto poco le divergenze dottrinarie possano importare quando in ballo ci sono interessi strategici e nemici comuni.
Vi è poi l’uccisione in Mali di Bah Ag Moussa, braccio destro di Iyad Ag Ghaly, leader del gruppo qaedista Jamat Nasr al-Islam wa al-Muslimin e suo comandante militare. La notizia della morte è stata data lo scorso 13 novembre dal ministro della Difesa francese, Florence Parly e sarebbe avvenuta tre giorni prima per mano dei militari francesi che hanno eliminato anche altri quattro jihadisti che viaggiavano con Moussa.
L’uccisione di Moussa è rinconducibile all’operazione Barkhane, lanciata da Parigi nel lontano agosto 2014 in concerto con diversi Paesi africani con l’obiettivo di sradicare la presenza jihadista nel Sahel. Il leader jihadista era tra l’altro pesantemente braccato anche dalle forze di sicurezza maliane in quanto considerato responsabile di un attentato che lo scorso giugno aveva causato la morte di 24 militari del Mali nei pressi della fornitiera con la Mauritania. Non c’è dunque molto da stupirsi per le tempistiche della sua morte. Vale invece la pena chiedersi per quale motivo la notizia dell’uccisione di Abu Muhammad al-Masri e quella di al-Zawahiri siano state rilasciate proprio ora.
L’avvertimento all’Ambasciata saudita in Olanda
Un ulteriore episodio che è passato prevalentemente sotto traccia ma che è altamente significativo riguarda i colpi di arma da fuoco, ben venti, sparati contro l’esterno dell’ambasciata saudita all’Aia; il fatto è avvenuto attorno alle 6 di mattina dello scorso 12 novembre e non ha causato vittime, ma soltanto la rottura di alcuni vetri.
E’ chiaro che se gli attentatori avessero aperto il fuoco in orario di ufficio le cose sarebbero andate diversamente ed è dunque possibile ipotizzare un avvertimento, più che un attentato vero e proprio. Bisogna infatti tener presente che due giorni prima il Gran consiglio degli ulema dell’Arabia Saudita (Majlis Hay’at Kibar al-‘Ulama), la più importante autorità religiosa del Regno, aveva emesso un comunicato col quale aveva accusato l’organizzazione islamista dei Fratelli Musulmani di terrorismo nonché di non rappresentare in alcun modo i valori dell’Islam:
“I Fratelli Musulmani sono un gruppo terroristico e non riflettono i valori dell’Islam; piuttosto, perseguono ciecamente i proprio obiettivi che contraddicono le linee guida della nostra religione piena di grazia. Utilizzano la fede come una maschera per nascondere i propri scopi e praticare tutto il contrario (di quanto prescrive l’Islam) come il diffondere il caos, la sedizione, perpetrare la violenza e il terrorismo”.
Lo scontro tra sauditi e Fratelli Musulmani va avanti da anni e con l’organizzazione islamista che veniva messa al bando non soltanto nel Regno dei Saud, ma anche in Egitto, Emirati Arabi, Bahrein, Siria e Russia. Nel marzo del 2018 fu proprio il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, a prendere le difese della Fratellanza dopo che Re Bin Salaman dichiarò di voler sradicare la loro ideologia dal Regno.
Quale futuro per islamismo e jihad
Un aspetto degno di nota è certamente il tramonto della vecchia leadership di al-Qaeda, con un superstite al-Adel che ha svolto un ruolo chiave nel costruire e potenziare le capacità operative dell’organizzazione ma che si trova oggi davanti a un jihadismo frammentato. Un jihadismo spesso caratterizzato da una specie di “franchising” col quale si possono compiere attacchi in nome di un’organizzazione, senza necessariamente essere parte di una catena di comando e controllo (peculiarità dell’Isis). E’ possibile rilanciare tutta la potenza e il “mito” qaedista in un contesto del genere? Difficile dirlo, ma per il momento i fattori continuano a puntare verso un jihadismo decentrato e attivo per mezzo di reti, cellule e singoli individui che si muovono più o meno autonomamente.
Vi è poi la variabile islamismo (o islam politico) che con Erdogan ersosi “paladino dei musulmani” sta assumendo connotati sempre più aggressivi, soprattutto nei confronti di Francia e Austria, pronte a contrastare l’ideologia islamista in Europa, ma anche il nazionalismo turco dei Lupi Grigi, “condito” in salsa islamista Akp. Un islamismo turco-qatariota che ha ampiamente utilizzato jihadisti sia in Siria che in Libia.
E’ inoltre altrettanto plausibile un ulteriore avvicinamento tra Fratelli Musulmani e Iran in un momento in cui la Turchia, seppur ancora in forze, nasconde una crisi economica che potrebbe creare non pochi problemi alle imprese militari espansionistiche di Erdogan. Un avvicinamento non soltanto per contrastare il blocco dei Paesi del Golfo (ammesso che di blocco si possa parlare), ma anche quel riconoscimento di Israele che potrebbe ampliarsi ad alcuni Paesi musulmani dell’Africa. Per quanto riguarda l’Isis, continuerà a rivendicare attentati come già fatto a Vienna, a prescindere che a compierli siano veramente stati loro uomini, attentatori dai mandanti ignoti o semplicemente soggetti che hanno attuato il cosiddetto franchising del jihad.