Terrorismo /

Ventidue anni dopo quel fatidico 11 settembre 2001, di Al Qaeda, la creatura di Osama bin Laden, sembra essere rimasto solo un lontano ricordo. Rispetto all’incubo che per anni ha imperversato nel mondo, diventando anche oggetto di una vera e propria guerra, oggi l’organizzazione terroristica di matrice islamica è rimasta solo come nome, cambiando radicalmente pelle. Morto il suo vertice e con l’ascesa e la caduta del grande rivale dello Stato islamico del califfo Abu Bakr al Baghdadi, al Qaeda è sembrata condannata alla scomparsa, o quantomeno al totale ridimensionamento. Nessun desiderio di ottenere, tramite il sangue degli innocenti, il cambiamento della politica internazionale o della società, ma solo una rete criminale che si è modellata sulla realtà geopolitica in grande mutamento.

In realtà, le cronache anche delle ultime settimane, ma in generale degli ultimi anni dimostrano due dati. Da una parte, è certamente vero che la morte di Osama bin Laden e la fine del periodo dei grandi attentati terroristici dei primi Anni Duemila è andata di pari passo con una sostanziale riduzione del raggio d’azione della rete terroristica che appariva così granitica. Ed è altrettanto vero che l’ascesa di Daesh, o del sedicente Stato islamico (nato da una costola proprio di Al Qaeda) ha sancito un inevitabile declino anche mediatico dell’organizzazione che ha terrorizzato l’Occidente e non solo. Tuttavia, Al Qaeda in questi anni ha anche saputo modificare in modo radicale i propri obiettivi e le proprie modalità di azione, sopravvivendo al corso degli eventi e anche ai suoi numerosi fallimenti e colpi inferti dalle forze avversarie. E in questo, ha certamente influito anche il passaggio ideologico dalla leadership di bin Laden a quella di Al Zawahiri, che, come ha spiegato l’analista Claudio Bertolotti in un’intervista ad Huffington Post, rispetto al potente predecessore “è stato più pragmatico, avendo come obiettivo una somma di vittorie quotidiane, concrete, che ogni generazione vivente può contribuire a realizzare e vedere realizzate.”.

Questo non significa che al Qaeda sia egualmente potente rispetto a venti anni fa. La guerra fratricida con lo Stato islamico, che si è combattuta in diversi campi di battaglia ha mostrato tutti i limiti dell’organizzazione islamista e anche la sua perdita di consenso rispetto a un enorme bacino di possibili affiliati. È però vero che rispetto a Daesh, di fatto relegato a pochissimi e piccoli santuari tra Siria e Iraq, il modello qaedista ancora resiste in conflitti locali in grado di spargere sangue ovunque. I migliori alleati di Al Qaeda, i Talebani, governano con difficoltà l’Afghanistan dopo che il potere di Kabul gli è stato consegnato dagli stessi Stati Uniti una volta conclusa l’infinita guerra scatenata proprio dopo l’11 settembre 2001. In Siria, Iraq e Yemen ancora persistono delle sacche di resistenza. E in Africa, dalla regione orientale fino a quella occidentale includendo gran parte del Sahel, una serie di organizzazioni affiliate ad Al Qaeda e presuntamente legate a essa continuano a macchiarsi di crimini, compiere attentati terroristici o essere coinvolti in conflitti locali profondamente violenti e capaci di portare destabilizzazione in tutti i teatri bellici. A questo proposito, è utile ricordare l’ultima tragica notizia giunta dal Mali, dove proprio un gruppo affiliato ad Al Qaeda ha rivendicato due attentati in cui hanno perso la vita 49 civili e 15 soldati, colpendo un’imbarcazione sul fiume Niger, la “barca di Timbuctu”, e una base dell’esercito maliano a Bamba, nella regione settentrionale di Gao. A preoccupare gli esperti è soprattutto il Gruppo di difesa dell’Islam e dei musulmani (Jnim).

D’altro canto, va anche rivelato che i problemi di Al Qaeda non sono pochi e, dopo venti anni di terrore, l’assenza di una leadership definita dopo l‘uccisione di Ayman al-Zawahiri può essere l’esempio più chiaro delle sue difficoltà. Per il Dipartimento di Stato americano, il nuovo vertice della rete è Saif al Adel, ex membro delle guardie di sicurezza egiziane, che secondo molti analisti è nascosto in Iran. Ma l’assenza di un riconoscimento globale può essere un deficit per la sua organizzazione. Inoltre, come ricordato da Foreign Policy, in questo momento alcuni segmenti di Al Qaeda, in particolare africani, sarebbero in grado di colpire anche in Occidente. Ma la violenza sembra sfogarsi principalmente in conflitti regionali anche tra sigle jihadiste che non solo continuano a mietere vittime innocenti, ma che distraggono l’organizzazione terroristica da propositi più ampi.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.