Abu Bakr al Baghdadi e Osama Bin Laden, due degli uomini più ricercati al mondo, i nemici pubblici numero uno per gli Stati Uniti nell’epoca della lotta al terrorismo, sono morti. Uno dopo l’altro, anche se a quasi un decennio di stanza, sono stati braccati e trovati dopo intensi periodi di ricerche dell’intelligence e della Cia. Un’opera di incrocio e condivisione di informazioni di altissimo livello, fornite – o comprate – da qualsiasi fonte, informatori più o meno attendibili (nel caso di Baghdadi 80 per ben 125 milioni di dollari sborsati da Washington), e dopo anni di piste impervie da seguire e taglie milionarie.
Come il capo di Al Qaeda, adesso anche il Califfo Nero, capo dell’Isis, è caduto preda di un raid delle forze speciali americane – i Navy Seal – che gli davano la caccia da oltre un anno in quelle che erano ancora reputate delle enclave controllate in territorio siriano da ciò che restava dello Stato Islamico , sbaragliato e da logorato da lotte intestine che miravano ad eliminare il vecchio leader per sostituirlo con il “nuovo”. Ma cosa accomuna e differenzia le due operazioni di decapitazione che hanno portato all’eliminazione dei due obiettivi “high-value“?
Osama Bin Laden venne ucciso dai colpi silenziati dei fucili d’assalto del Team Six la mattina presto, mentre il sole sorgeva. Abu Bakr al Baghdadi si è tolto la vita da solo, con una cintura esplosiva che ne cingeva il corpo, e dalla quale non si separava mai, quando il sole aveva già passato il meridiano e ormai si era fatta sera. Il primo, si trovava al terzo piano di un edificio nel villaggio di Abbottabad in Pakistan – oltre il confine dell’Afghanistan dove tutto era iniziato e dove ancora si pensava potesse essere nascosto, magari in qualche rifugio nelle inaccessibili montagne dominate dai talebani. Il secondo, si era rifugiato nel tunnel scavato sotto un edificio isolato, al confine tra Turchia e Siria: dove tutto era iniziato e dove non si credeva potesse essere rimasto in vita tanto a lungo.
Ciò che li lega, oltre ad aver commesso atti ignominiosi e aver fondato due tra le organizzazioni terroristiche che hanno commesso gli attentati più sanguinosi della storia, è l’aver vissuto i loro ultimi anni di vita braccati. Entrambi infatti scappavano dallo stesso nemico, sotto gli occhi dei propri famigliari; spesso al loro seguito, spesso sotto lo stesso mirino che li sorvegliava attentamente. Sorvegliati dagli occhi elettronici dei droni spia e seguiti dagli stessi informatori che erano certi della posizione del “target”, di un covo, di un luogo di incontro dove sarebbero dovuti arrivare gli operatori delle forze speciali per acquisire o eliminare il bersaglio ed entrare in possesso di tutti i documenti possibili per individuare le altre cellule o sventare qualsiasi altro piano. Bin Laden è morto insieme a uno dei suoi figli, Baghdadi anche. Innescando la cintura esplosiva infatti ha ucciso tre dei suoi sei figli, che si trovavano con lui nell’abitazione costruita di recente nel paesino di Barisha.
Così, dopo otto anni dal raid che eliminò una volta per tutte la mente degli attentati dell’11 Settembre, una nuova operazione di “targeting leader” ha visto le forze speciali calarsi giù dagli elicotteri scuri del 160th Special Operations Aviation Regiment, fare perimetro intorno all’obiettivo, e irrompere per decapitare il vertice del terrorismo islamico. Le forze speciali americane – supportate dalle divisioni anti-terrorismo della Cia – hanno raggiunto un’area deserta tra Idlib, Aleppo e il confine con la Turchia: in quella che l’intelligence aveva già accantonato come una “zona” non “idonea” per essere stata scelta come nascondiglio. Barisha infatti è in mano a gruppi rivali.
Baghdadi era nel mirino da circa due settimane, ha tenuto a specificare il commander-in-chief Donald Trump, che ha dichiarato come l’intelligence fosse ormai sulle tracce del terrorista da tempo, e avesse rimandato il raid due volte a causa di cambiamenti di programma del ricercato. Quando è finalmente arrivata la “luce verde”, un team d’élite delle forze speciali ha raggiunto la zona operazioni su otto elicotteri con copertura e supporto di aerei e droni. Dopo un lungo conflitto a fuoco, il commando ha fatto irruzione nell’edifico aprendosi un varco con gli esplosivi; ma Baghdadi era scappato nel tunnel sottostante l’edificio, costruito per un eventuale fuga. Inseguito dai cani addestrati dall’antiterrorismo, e braccato dai Seal, deve essersi reso conto che non c’era alcuna possibilità di scampo. Solo allora ha deciso di innescare la cintura esplosiva togliendosi la vita e uccidendo i suoi figli che lo accompagnavano nel disperato tentativo di fuga.
L’intera operazione, rivelano le fonti accreditate del Pentagono, sarebbe durata due ore. Nel caso dell’operazione per la decapitazione di Osama Bin Laden, il 2 maggio 2011, bastarono 40 minuti. Quel giorno un team di venticinque uomini dei Seal piombò nei pressi del bunker dove si nascondeva il capo di Al Qaeda, e, senza incontrare grande resistenza, ispezionarono i piani sottostanti fino ad arrivare al terzo piano dell’edificio: lì dove Bin Laden viveva con la sua famiglia. Un breve scontro a fuoco portò all’eliminazione del bersaglio, ricercato dal 2001, alla morte di uno dei suoi figli e di una donna. Poi identificata come una delle sue mogli. Complottismi a parte ed evidenziate come “inattendibili” le numerose dichiarazioni di presunte morti che anticiparono l’eliminazione dei due leader, è la prima volta che Washington conferma la morte di Baghdadi. Non mostrando la sua testa, come valse per Bin Laden – colpito a morte da un proiettile che gli trapassò il cranio all’altezza dell’occhio sinistro – ma avvalendosi di tracce del Dna. Tracce che sono compatibili con quelle precedentemente ottenute da Al Baghdadi, quando venne preso prigioniero dagli americani in Iraq dopo l’invasione del 2001.