L’isolamento del Qatar messo in atto da Egitto, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati e Yemen ha stravolto i delicatissimi equilibri mediorientali che erano già traballanti a causa dei numerosi conflitti nell’area: dalla Siria e l’Iraq alla Libia ma anche nei territori yemeniti degli Houthi e in Libano dove la tensione tra sunniti e sciiti è altissima.L’accusa mossa al Qatar è quella di appoggiare gruppi terroristi come i Fratelli Musulmani, i qaedisti e persino l’Isis. Ovviamente ciò non sorprende affatto considerando che il Qatar è la roccaforte della Fratellanza in Medio Oriente da dove ha pontificato per lungo tempo la guida spirituale dell’organizzazione islamista radicale, Yusuf Qaradawi. A Doha ha inoltre trovato rifugio Khaleed Meshaal, leader di Hamas (braccio palestinese della Fratellanza).Sempre nel piccolo emirato del Golfo aveva poi sede l’emittente televisiva al-Jazeera, ben nota per la sua propaganda a favore del jihad in Siria (come invocato dallo stesso Qaradawi) e a favore dei Fratelli Musulmani egiziani.Il Qatar ha poi sostenuto l’attività in Siria di gruppi jihadisti come Ahrar al-Sham e i qaedisti di Jabhat al-Nusra, oggi rinominatasi Jabhat Fateh al-Sham, come se bastasse cambiare nome per “ripulire” la propria storia.Nel settembre 2014 il Telegraph pubblicava un articolo sui finanziamenti del Qatar al terrorismo libico e sulla sua egemonia a Tripoli. Secondo il quotidiano britannico ben quattro rami del governo qatariota mantengono rapporti con gruppi armati in Siria e Libia, fornendo loro armamenti.Chi ha la memoria lunga sa però che il rapporto tra Qatar e jihadismo è ben più vecchio e può essere fatto risalire a fine anni ’90, in piena guerra di Cecenia, quando le brigate islamiste internazionali si infiltravano nel conflitto per portare il jihad nel Caucaso settentrionale.Si infiltravano perché trovavano terreno fertile tra quei comandanti separatisti che reputavano utile abbracciare il jihadismo e beneficiare di finanziamenti provenienti da quei paesi del Golfo che avevano tutto l’interesse a egemonizzare l’Islam dell’ex Urss.Tra i “comandanti” spiccava il nome di Zelimkhan Abdulmuslimovich Yandarbiyev, separatista ceceno, sostenitore della linea dura contro Mosca, sconfitto alle elezioni presidenziali del 1997 da Aslan Maskhadov, all’epoca principale leader militare ceceno di orientamento moderato e favorevole alle relazioni con Mosca, ma nel pieno rispetto dell’indipendenza e sovranità cecena.Yandarbiyev non tollerava le posizioni del rivale e tanto meno la sconfitta subita alle elezioni, così si univa all’area jihadista cecena all’epoca guidata da Shamil Basayev e veniva sospettato di aver organizzato gli attentati contro Maskhadov nel 1998 e nel 1999. Fu proprio quest’ultimo poi ad accusare Yandarbiyev di essersi posto al comando di fazioni jihadiste che pianificavano il rovesciamento del legittimo governo ceceno.Nell‘estate del 1999 Shamil Basaev e Yandarbiyev pianificavano lo sconfinamento del jihad in Daghestan, campagna poi risultata fallimentare per gli islamisti e duramente condannata da Maskhadov.Alla fine del 1999, con l’inizio della Seconda Guerra cecena, Yandarbiyev lasciava il Paese per recarsi in Afghanistan, Pakistan e in fine in Qatar, nel 2000, dove si stabiliva e cercava di ottenere aiuti economici per portare avanti il jihad anti-russo nel Caucaso settentrionale, diventando così uno dei primi comandanti ceceni che dal separatismo passavano all’ala qaedista e quella dei Fratelli Musulmani.Nell’ottobre del 2002 Yandarbiyev veniva indicato dall’intelligence russa come uno degli ideatori ed organizzatori dell’attacco al teatro Dubrovka di Mosca, finendo così nel mirino del FSB. Mosca era ben al corrente della presenza del jihadista a Doha e chiese più volte l’estradizione al Qatar, ma senza alcun risultato.Nel 2003 un verdetto della Corte Suprema russa metteva al bando una serie di organizzazioni islamiste, tra cui i Fratelli Musulmani, accusati di aver appoggiato e finanziato i terroristi islamici nel Caucaso.Il 13 febbraio 2004 a Doha il Suv con a bordo Zelimkhan Yandarbiyev e suo figlio Daud saltava in aria a causa di un ordigno piazzato all’interno del veicolo; nell’esplosione il leader jihadista perdeva la vita mentre suo figlio restava gravemente ferito.Il giorno seguente la polizia qatariota arrestava tre cittadini russi operanti presso la propria ambasciata e due di loro vennero additati come agenti dell’Fsb. Un tribunale qatariota li condannava all’ergastolo per l’attentato, ma in seguito a un duro scontro diplomatico tra Mosca e Doha i due venivano estradati in Russia ed amnistiati.
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