Ha iniziato Elon Musk con la sua Space-X, prima azienda privata a fornire dei servizi strategici alla Nasa statunitense; hanno proseguito, più di recente, Richard Branson e Jeff Bezos promuovendo l’era dei viaggi spaziali a fini turistici, ultima frontiera di consumo per la “super-classe” dei miliardari, che tuttavia stona con le difficoltà strutturali dell’economia e della società nell’era del Covid-19. L’interesse notevole che i miliardari Usa, specie quelli del big tech, rivolgono per la nuova corsa allo spazio ha fatto discutere, ha diviso l’opinione pubblica, ma si inserisce in un contesto strategico ben definito: quello di una partita internazionale per il controllo degli spazi orbitali in cui Washington intende giocare da protagonista.

La nuova sfida per lo spazio, che vede Cina e Stati Uniti contendere per la nuova corsa alla Luna, per il rilancio della connettività, per la sperimentazione dei più sofisticati sistemi d’armamento orbitali ha una specificità particolare rispetto alla rivalità da Guerra Fredda che divise Stati Uniti Unione Sovietica. Allora la battaglia scientifica, tecnologica, militare e di propaganda faceva da substrato a una sfida spaziale per il controllo della Terra: si trattava di avvantaggiarsi nell’osservazione del nemico, nell’accessibilità orbitale dei missili balistici, nella difesa di due modelli antitetici. Oggi parliamo di una partita per il controllo dello spazio tout court, in cui le orbite, i punti lagrangiani, gli asset tecnologici sono l’equivalente dei mari, degli stretti, delle navi nella partita per la dominazione oceanica. Logico dunque che questa nuova sfida imponga un surplus di costi e avvenga secondo paradigmi tecnologici in continua evoluzione che potenze come gli Usa intendono incentivare cooptando il settore privato a fianco delle strutture pubbliche.

La logica adattata dagli apparati federali è paragonabile a quella messa in campo per incentivare il mantenimento del big tech nel quadro delle strutture geo-strategiche e geo-economiche a stelle e strisce, e si fonda su un triplice presupposto. In primo luogo, ai colossi del privato viene concesso di agire in sostegno, in complemento o sotto la supervisione di un apparato federale, mai pienamente in sostituzione ad esso se non laddove lo scopo prefisso dall’applicazione di una tecnologia è eminentemente commerciale; in secondo luogo, gli investimenti miliardari mobilitano un’accelerazione nelle innovazioni, nella ricerca scientifica, nel deposito di interessi speciali e particolari; infine, la corsa al divide et impera porta le aziende e i loro amministratori delegati a competere apertamente per assicurarsi commesse, appalti, interessi.

Tutto ciò è incentivato dal fatto che anche nella nuova corsa allo spazio la posta in gioco fondamentale prevede, sostanzialmente, dati, informazioni, prodotti immateriali che i nuovi satelliti e le nuove basi orbitanti, in una fase che vedrà presto la discesa in campo delle potenzialità offerte dal calcolo quantistico, potranno scambiare tra di loro e con la Terra consentendo una maggiore possibilità di schermatura dalle infiltrazioni ostili e, dunque, un vantaggio competitivo in termini economici, militari, strategici. Pane per i denti del big tech e dei suoi imprenditori, dato che, come ricordano I Diavoli “Il core business del capitalismo delle piattaforme è infatti l’estrattivismo digitale, la raccolta dei Big Data – tutti i nostri movimenti in rete, cosa ci piace, cosa guardiamo, leggiamo, ascoltiamo, con chi interagiamo e dove ci soffermiamo più a lungo – con la duplice funzione disciplinare e biopolitica, di controllo e previsione dei desideri”. La proiezione verticale aiuterà a rafforzare questo controllo, in attesa di un nuovo estrattivismo fisico che i Paperoni d’America già prospettano: ad esempio Planetary Resources Inc., fondata dall’inventore di Google Larry Page, si dà l’obiettivo di arrivare sul lungo periodo a mappare gli asteroidi e i pianeti del Sistema Solare per riuscire a individuare i corpi celesti più promettenti sotto il profilo minerario ed estrarvi materiali rari sulla Terra.

Appalti miliardari, investimenti e partite a tutto campo saranno, in quest’ottica, sempre più frequenti e coinvolgeranno profondamente le multinazionali tecnologiche. Ad esempio, nella scorsa primavera, la Nasa ha assegnato a SpaceX un contratto da 2,9 miliardi di dollari per costruire un veicolo spaziale che ha lo scopo di portare gli astronauti sulla superficie lunare già nel 2024, in ottemperanza ai target temporali di Artemis, ma ha subito il ricorso contrario di Dynetics e della società di Bezos, Blue Origin. In particolare, scrive StartMag, “Bezos si è offerto di coprire fino a 2 miliardi di dollari di costi della Nasa per assicurarsi di partecipare al programma Human Landing System (Hls) sulla Luna con il suo lander Blue Moon”. L’offensiva a tutto campo del magnate va di pari passo con il tentativo della sua Amazon di ribaltare a proprio favore l’esito del maxi-contratto per il cloud del Pentagono dopo che l’appalto Jedi, affidato a Microsoft dall’amministrazione Trump, è stato messo nel congelatore. I destini incrociati tra partita tecnologica e guerre stellari sono molti e tutt’altro che sotto traccia. Quando a fare da figure di riferimento sono, spesso, le stesse personalità ciò è tutt’altro che improbabile. E la strategia di Washington per accelerare il suo sbarco nella nuova partita spaziale, in tutto questo, trae giovamento dalle rivalità tra i principali protagonisti dell’economia americana.





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