Riceviamo e pubblichiamo: Hikvision Italy Srl respinge con forza le accuse e le allusioni secondo cui le nostre telecamere trasmetterebbero le immagini registrate a server allocati in territorio cinese. Dette infondate speculazioni derivano da un servizio del programma “Report” il quale, tuttavia, non fornisce nessuna prova a sostegno delle proprie conslusioni se non un generico “hack test”, del tutto non trasparente, i cui risultati non sono mai stati mostrati né agli spettatori né ai nostri tecnici, a seguito di numerose richieste di approfondimenti. Non ci sono prove, in nessuna parte del mondo, che indichino che i prodotti Hikvision siano utilizzati per la raccolta e il trasferimento non autorizzato di informazioni o dati personali degli utenti finali. Hikvision Italy Srl, società italiana e con personale italiano, (così come la sede centrale dell`azienda in Cina) non ha mai condotto né condurrà alcuna attività di spionaggio e non comprometterebbe mai o danneggerebbe gli interessi dei propri clienti, soprattutto quando si tratta di sicurezza informatica e protezione dei dati personali, da sempre assoluta priorità, anche in ottica competitiva, del nostro settore.

Le procure italiane utilizzano per la videosorveglianza le telecamere prodotte da un’azienda cinese implicata nel controverso caso del controllo degli uiguri in Xinjiang? Questo sembrerebbe emergere da un’inchiesta di Wired della scorsa settimana. La testata specializzata in temi legati alla tecnologia ha infatti riportato che “mille telecamere della multinazionale cinese Hikvision sorvegliano le sale intercettazioni delle Procure italiane. Le ha acquistate il ministero della Giustizia nel 2017 per la messa in sicurezza di quei centri dove sono conservati dati estremamente sensibili, frutto delle intercettazioni, di cui deve garantire la segretezza”.

La Hikvision, azienda presente con una filiale italiana avente sede a Cinisello Balsamo, si è aggiudicata la gara messa in campo da Consip dopo la stipula di una convenzione con Fastweb, che ha ritenuto Hikvision capace di rispettare i requisiti di sicurezza per garantire la continua sorveglianza di impianti delicati come i centri di intercettazione (Cit) che “che comprendono gli archivi del materiale raccolto con trojan e cimici, le sale server e gli spazi per l’ascolto”. Un caso analogo a quello di  Dahua Technology, costola italiana dell’omonima azienda di Hangzhou, bandita negli Usa nel marzo scorso, che si è aggiudicata la gara per installare 19 termoscanner a Palazzo Chigi.

Hikvision e Dahua sono salite sul banco degli imputati perché ritenute complici e fruitrici dirette delle politiche con cui il governo di Xi Jinping è accusato in Occidente di voler sottomettere e controllare la popolazione musulmana degli uiguri, che comprendono anche la massiccia strutturazione di una campagna di sorveglianza su larga scala a Urumqi, Kashgar e negli altri grandi centri dello Xinjiang. Nel 2018 Ipvm, il portale leader su scala globale per le analisi sulla sorveglianza, ha sottolineato che le due aziende hanno vinto un contratto da un miliardo di dollari per progetti governativi nello Xinjiang. A cui, in particolare, Hikvision avrebbe contribuito in patria costruendo un algoritmo di intelligenza artificiale per il riconoscimento facciale in grado di individuare gli uiguri nella popolazione, monitorando con videocamere oltre mille moschee nella regione e vincendo appalti per servizi di fornitura alla polizia dal valore di 300 milioni di dollari.

Tali tecnologie hanno ricevuto per le politiche di sorveglianza di massa un boost al loro sviluppo tale da rendere la Cina, indirettamente, all’avanguardia al momento della loro applicazione per il monitoraggio e il contenimento della pandemia di Covid-19. Ma a anni di distanza si scopre che aziende fortemente compromesse con possibili violazioni dei diritti umani hanno, nel nostro Paese, entrature commerciali di primissima caratura. Formiche segnala altri importanti contratti per cui Hikvision ha ottenuto la possibilità di fornire servizi ad autorità pubbliche italiane: sono sorvegliate con tecnologia Hikvision”la città di Avezzano (L’Aquila), la cattedrale di Santa Maria Nuova a Monreale (Palermo), la clinica privata Villa Margherita nel cuore di Roma e lo storico beach club sul litorale ostiense Marine Village. Su PadovaOggi.it si legge di telecamere Hikvision installate nella città veneta, perfino nel cimitero”. Tutto questo pone inevitabilmente una questione politica ora che il tema dello Xinjiang e degli uiguri infiamma i rapporti italo-cinesi.

“Gli interventi politici a Pechino si fanno attraverso la tecnologia e questi software poi arrivano anche da noi”, ha dichiarato a La Verità l’onorevole leghista Paolo Formentini, tra i massimi critici delle attività di Pechino in Italia. Formentini, membro della Commissione Esteri, ha presentato una dura mozione di censura delle attività di Pechino in Xinjiang in cui invita il governo Draghi a “considerare con attenzione le testimonianze provenienti dalla diaspora uigura relativamente alle misure di carattere genocidario di cui sarebbero vittima le minoranze residenti nello Xinjiang”.

Una presa di posizione netta a cui si contrappongono delle sfumature diverse nella visione di Pd e Movimento Cinque Stelle, intenzionati a proporre una mozione in cui il richiamo al “genocidio” è espunto. Una spinosa questone politica su cui il governo Draghi rischia di trovarsi spaccato al momento del voto, che si annoda con la necessità di trovare un modus vivendi ideale sui legami economici e tecnologici con la Cina. Aziende come Zte, nel nostro Paese, partecipano attivamente e con trasparenza alla definizione di standard securitari e tecnologici di assoluto valore; altre compagnie sono invece poste in veri e propri “coni d’ombra” che nascondono le ambigue manovre delle case madri cinesi. E questo porrà la necessità di risposte calibrabili sulla base della rilevanza che il governo darà al tema degli uiguri come punto di partenza di una possibile svolta improntata a un maggior contenimento politico di Pechino dopo le convergenze dell’era Conte. Quella svelta da Wired con la sua inchiesta è per questo una questione di cruciale importanza.