Tra Stati Uniti e Unione Europea le dispute commerciali sono ben lungi dall’essere risolte. E l’amministrazione Biden, con l’Inflation Reduction Act, ha messo in campo una serie di aiuti industriali, economici e politici alle imprese Usa tali da oscurare, in termini di potenzialità, il peso dei tanto discussi dazi di Donald Trump per l’economia europea.

Tra i Paesi del Vecchio Continente la Germania, messa sotto stress dalla crisi innescata dalla guerra russo-ucraina e dalla tempesta energetica, se ne è accorta e sta depotenziando gli sforzi per risolvere le residue dispute commerciali tra Washington e Bruxelles, conscia che nelle odierne condizioni l’Ue non ha potere negoziale per risolverle a suo favore.

Il 5 dicembre a Washington, a un anno dalla sua creazione, i leader della Commissione europea e dell’amministrazione statunitense si riuniranno a Washington per il terzo vertice del Trade and Technology Concilium, il forum di coordinamento sulla tecnologia e il commercio. Un vertice nel quale, secondo DigitalEurope, la posta non è mai stata così alta. L’Inflation Reduction Act contiene finanziamenti a tecnologie green, energie rinnovabili, fabbriche di semiconduttori, impianti industriali e altre aziende strategiche per 370 miliardi di dollari complessivi, includendo in un solo atto risorse pari al 50% dell’intero piano Next Generation Eu. A Bruxelles si teme che la nuova legislazione possa tagliare fuori le aziende del Vecchio Continente garantendo agli operatori del mercato statunitense vantaggi competitivi illegali secondo le norme del World Trade Organization. Trump utilizzò il caso dei finanziamenti ad Airbus, ritenuti illegali dal Wto, per scatenare la sua guerra dei dazi. Ora la questione, a parti inverse, è ancora più ampia.

Logico che la Germania, grande potenza industriale che in diversi settori (dall’auto elettrica alla chimica, passando per le tecnologie di frontiera) lavora sull’innovazione per conquistare quote di mercato dentro e fuori il Vecchio Continente, sia preoccupata. E mentre il Financial Times nota che in Europa “funzionari sono scontenti anche del potenziale impatto di ricaduta sulle imprese dell’Ue dei controlli sulle esportazioni statunitensi volti a impedire alla Cina di acquisirei semiconduttori all’avanguardia” è importante sottolineare come “i movimenti degli Stati Uniti”, visti dalla sponda orientale dell’Atlantico, “sanno di impulsi protezionistici che vanno contro l’appello del segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen di sviluppare col friend-shoring“, lo spostamento delle aziende in Paesi amici per produrre asset strategici, le nuove catene di approvvigionamento a partner fidati.

Un’America dirigista e neo-protezionista all’opera mentre il suo partner maggiore è interessato da un pesante svantaggio competitivo e in un braccio di ferro con Vladimir Putin sulle forniture energetiche è l’incubo di Berlino. La quale subisce una guerra economica latente dagli Usa perlomeno dai casi del Dieselgate (contro Volkswagen) e delle indagini di Wall Street contro il suo colosso Deutsche Bank, associabili all’anti-germanismo dell’amministrazione di Barack Obama e presupposto della guerra dei dazi di Trump. Ora la Germania vuole, su questo campo, rifarsi.

La strategia di contenimento di Washington è in mano al Ministro dell’Economia Robert Habeck, leader dei Verdi. Il quale non è sospettabile di anti-americanismo, essendo il suo partito punto di riferimento di Washington nel governo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz e la sua strategia energetica fondata sulla ricerca del Gnl a stelle e strisce. “Una soluzione [con gli Stati Uniti] deve ora essere trovata in poche settimane, altrimenti saremo costretti ad andare in un’altra direzione”, ha detto Habeck a un simposio promosso da quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung riferendosi alla necessità di chiedere a Biden emendamenti alla legge che entrerà in vigore l’1 gennaio prossimo per evitare ogni discriminazione contro le aziende europee e il rischio di un assorbimento degli investimenti da parte della sponda Ovest dell’Oceano Atlantico.

Habeck chiede di “stabilire condizioni di parità” con gli Stati Uniti sugli incentivi per le tecnologie, prime fra tutti quelle per la transizione energetica. In particolare, la Germania chiede l’applicazione delle stesse condizioni preferenziali e dei dazi ridotti sui veicoli elettrici estese da Washington ai partner del Nord America, Canada e al Messico, sfruttando la capacità della Casa Bianca di emanare ordini esecutivi durante il processo di attuazione della legge per ridurre i suoi effetti discriminatori. 

Berlino è pronta anche a proporre dazi e politiche sanzionatorie che possono, peraltro, rompere l’uso strategico della transizione energetica per colpire i Paesi non occidentali in campo economico in risposta alle mosse americane. Ma per ottenere l’assenso a manovre tanto radicali deve compattare dietro di sé il resto dell’Europa. E nel Vecchio Continente Berlino è tra le poche nazioni pronte a una guerra commerciale che sfavorirebbe tutti. “L’ultima cosa che vogliamo fare in questo momento, la cosa più stupida che possiamo fare, è iniziare una guerra commerciale perché siamo in una posizione debole. Questa è semplicemente una realtà”, ha detto a EuroNews Jacob Kirkegaard, Senior Fellow al German Marshall Fund, suggerendo che la mossa capace di salvare capra e cavoli può essere la richiesta a Biden di “consentire un uso più indulgente delle sovvenzioni” che non rompano il campo occidentale. Già minato dal protezionismo in passato e oggi messo a repentaglio sul fronte industriale da una mossa unilaterale del governo del Partito Democratico che a parole avrebbe dovuto liberare gli Usa dal presunto “isolazionismo” del Repubblicano Trump. Finendo invece per portarlo a compimento.

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