Thierry Breton, titolare della carica di commissario europeo all’Industria è da alcuni mesi a questa parte l’uomo-chiave della Commissione europea. L’unico esponente di peso, assieme alla collega Margrete Vestager delegata alla Concorrenza, ad avere un chiaro progetto politico sulle prospettive strategiche e operative dell’Europa nelle materie di riferimento. Dall’organizzazione della filiera dei vaccini e del progetto Hera Incubator alle nuove politiche per la Difesa europea e l’aerospazio, Breton coordina una quantità elevata di dossier complessi e la sua scelta da parte del presidente francese Emmanuel Macron come esponente di Parigi nell’autorità apicale dell’Ue ha garantito un’accelerazione considerevole di progetti estremamente funzionali alla visione dell’inquilino dell’Eliseo. A cui si aggiunge il sempre più scottante dossier dell’autonomia strategica europea in ambito tecnologico.
Breton e la tecnologia come asset strategico
La tecnologia è da sempre il campo principale di riferimento del 66enne Breton, che ha all’attivo nella sua carriera esperienze manageriali in compagnie come il produttore di computer George Bull (1993-1997), il colosso dell’elettronica Thomson (1997-2002), l’operatore di telefonia France Télecom (2002-2005), condotta ordinatamente nel processo di privatizzazone e, dopo l’esperienza di Ministro dell’Economia nel governo gollista di Dominic de Villepin (2005-2007), la multinzionale di servizi e di consulenza tecnologica e Ict Atos, guidata dal 2008 fino alla chiamata nella commissione von der Leyen nel 2019. La “dottrina Breton” sulla tecnologia si è dunque dispiegata in questo biennio come un piano di medio-lungo periodo finalizzato a creare i presupposti per garantire ai Paesi europei il massimo gradiente di sovranità in ambito digitale e la possibilità di creare filiere industriali, tecnologiche e operative alternative a quelle dei colossi del settore, Stati Uniti e Cina, e di creare campioni europei del settore.
Una visione operativa che unisce alla volontà di creare nuovi mercati in settori di frontiera (dalle batterie auto ai semiconduttori) su cui l’Europa intende investire un rafforzamento degli strumenti di governo della concorrenza e di contenimento delle posizioni dominanti di mercato diretto in particolar modo a ridimensionare la presa del big tech statunitense sui dati e le attività dei cittadini e consumatori del Vecchio Continente. In modo tale da fornire all’Europa un crescente spazio di manovra di fronte al dinamismo dei colossi tecnologici esterni all’Unione.
Muro contro muro col big tech
Nelle scorse settimane, nota Formiche, Breton “ha ribadito la strategia dell’Unione verso i colossi della rete, ponendo al centro due provvedimenti a cui l’Europa lavora per riequilibrare i rapporti di forza con le big tech, ovvero il Digital Markets Act (Dma) unitamente al Digital Services Act (Dsa)”. Due capisaldi legislativi che dovranno chiarire approfonditamente il futuro delle relazioni transatlantiche in materia di tecnologia. “Il primo costituisce uno strumento normativo in chiave concorrenza ex ante (contrariamente alla normativa antitrust attuale, che è applicata ex post, ossia solo dopo che la condotta anticoncorrenziale è stata posta in essere), mentre con il secondo l’Ue punta a fissare nuovi obblighi e responsabilità per gli intermediari digitali, e soprattutto per le piattaforme online, riguardo ai contenuti che essi ospitano”, evitando un’anarchia che possa creare de-responsabilizzazione di fronte a contenuti rischiosi per la sicurezza economica e sociale dei Paesi membri.
Il fatto che negli scorsi mesi e anni colossi come Google siano stati colpiti con multe miliardarie, che società come WhatsApp abbiano escluso l’Europa da discusse riforme sullo scambio di dati tra utenti e piattaforme, che Facebook sia stato colpito in Irlanda da un’indagine ufficiale sul leak di dati degli utenti emerso all’inizio di aprile segnala l’approfondito valore di misure come il Gdpr europeo a cui ora Breton vuole aggiungere quella che ha definito una vera e propria “artiglieria pesante” per mettere spalle al muro i giganti tecnologici di fronte al rischio di subire forti limitazioni alla propria operatività in Europa in caso di abuso di posizione dominante.
La spinta di Merkel rilancia la dottrina Breton
Breton interpreta la linea francese, più radicale, sull’autonomia strategica europea. Interpretando nella maniera più estensiva la richiesta di un cambio di passo avanzata a marzo dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e da tre colleghe nordiche, Kaja Kallas (Estonia), Sanna Marin (Finlandia) e Mette Frederiksen (Danimarca) in una lettera a Ursula von der Leyen, sottolineando che l’Europa può giocare un ruolo chiave in tre dimensioni. In primo luogo stabilendo le priorità su settori strategici e tecnologie critiche. In secondo luogo, creando mercati aperti e competitività a tutto campo in questi settori critici. Puntando a costruire rapporti di mutua dipendenza con quei Paesi che è difficile sostituire in larga misura nelle filiere (pensiamo a Giappone, Corea del Sud, Taiwan). Infine, evolvendo le competenze e conoscenze tali da anticipare i trend futuri e contribuire a creare i nuovi standard tecnologici su cui si giocheranno le partite di domani.
Musica per le orecchie di Breton, le cui riforme proposte interpretano proprio questi obiettivi e che però non ha mai però voluto interpretare la sua partita personale come un invito all’Europa a cercare un decoupling completo con gli Stati Uniti.
Una sfida chiave per l’Europa
Come ribadito da un interlocutore sempre più stretto di Breton, il Ministro italiano per lo Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, alla presentazione di un lavoro sulla sovranità tecnologica del Centro Economia Digitale, l’Europa può e deve valorizzare il suo ruolo nelle tecnologie critiche per giocare da protagonista all’interno del campo tradizionale delle sue alleanza. Ridimensionando i potentati economici Usa per avere più voce in capitolo di fronte a Washington, acquisendo soggettività geopolitica e cercando di poter rispondere a quella sfida cinese che l’intero Occidente rischia di perdere in materia di definizione dei nuovi standard dell’innovazione di frontiera dopo il declassamento europeo di fronte alla sfida americana degli ultimi decenni sulla definizione della prima ondata della rivoluzione tecnologica odierna.
Breton, convinto gollista, ricorda il mantra del Generale e padre della Quinta Repubblica francese sulle potenzialità che questi scenari aprono per Parigi, sempre pronta a vedere l’Europa come fattore di moltiplicazione della potenza nazionale. Ma è l’Europa intera che deve scegliere se essere oggetto o soggetto della partita-chiave per gli equilibri strategici ed economici del XXI secolo. Nella consapevolezza choraggio ed ambizione non vanno necessariamente in controtendenza con i consolidati riferimenti geopolitci del Vecchio Continente.