La maggior parte di noi è sopravvissuta all’ultima ondata di innovazione digitale utilizzando PC, internet ed e-commerce, smartphone, ma la prossima ondata di innovazione digitale incombe, in parte spronata dalle chiusure dovute al COVID-19. Quest’ondata non coinvolgerà soltanto i dispositivi ed i sistemi esistenti, ma includerà tutte quelle tecnologie emergenti come le comunicazioni 5G, la sensoristica, la robotica e l’intelligenza artificiale.

Questa prossima economia digitale sarà significativamente più connessa (con molte più tipologie di oggetti interconnessi), più automatizzata (dal momento che i sistemi consentiranno di lasciar svolgere molto più lavoro alle “macchine”) e più intelligente (poiché gli algoritmi aiuteranno a dare una spiegazione a tutti questi dati).

La maggior parte di queste tecnologie collaborano. Il 5G wireless, per esempio, non è soltanto significativamente più veloce del 4G e permette una connessione mobile migliorata, ma supporta anche il massiccio dispiegamento dei sensori dell’Internet of Things nelle fabbriche, nelle fattorie, nelle città ed in altri ambienti. Questi milioni di sensori connessi generano dati, ed i continui miglioramenti dell’intelligenza artificiale comporteranno che questi dati possano essere elaborati per prendere decisioni migliori; per esempio, per guidare un veicolo autonomo, sviluppare un nuovo farmaco oppure determinare quanto un macchinario stia lavorando bene. Inoltre, microchip più rapidi consentono l’uso di 5G e IA, proprio come i sistemi autonomi come i robot.

Se l’ondata tecnologica più recente ha interessato l’uso dei computer negli uffici e di internet per le vendite e la comunicazione, l’attuale ondata riguarderà molti più settori e funzioni. Prendiamo per esempio l’agricoltura: gli agricoltori americani ora operano sofisticati trattori autonomi, guidati da un GPS di precisione e riempiti di ingenti quantità di dati. E le aziende come la Farmers Business Network, con sede nella Silicon Valley, usano algoritmi basati su dati degli agricoltori in modo da aiutarli ad ottimizzare le loro operazioni. La stampa 3D ed i robot potrebbero davvero modificare l’edilizia, rendendo l’acquisto di una casa molto più economico. Le startup fintech stanno rimodellando il settore bancario, rendendo disponibili servizi finanziari a chiunque abbia uno smartphone. Il food service viene plasmato da ordinazioni e pagamenti wireless o tramite terminali automatici, come anche dalla preparazione e consegna del cibo da parte di robot (sia al tavolo che a domicilio). Compagnie come Amazon stanno sperimentando la consegna attraverso droni. Il settore manifatturiero è sempre più smart grazie all’abilità di creare prodotti più personalizzati e di qualità superiore.

Probabilmente la domanda più rilevante che possa sorgere di fronte a queste tecnologie emergenti riguarda la possibilità che queste siano abbastanza per ribaltare lo stallo produttivo in cui gli Stati Uniti (e l’Europa) sono bloccati da ormai 15 anni. Il rendimento di lavoro – la quantità di output prodotto da ciascun lavoratore – è la determinante singola più importante degli standard di vita; e anche con l’introduzione degli smartphone, del cloud computing e della banda larga, recentemente la crescita della produttività è stata bassa.

Data la vasta applicazione di queste nuove tecnologie, i prospetti di una svolta produttiva basata sulla tecnologia sono promettenti. Se la tecnologia si dimostrerà all’altezza delle proprie promesse e la politica governativa favorirà, anziché impedirla, la transizione, la crescita del rendimento lavorativo statunitense potrebbe decisamente migliorare: dal suo tasso recente di circa l’1% l’anno fino a forse il 2%, o addirittura il 2,5% l’anno. Potrebbe non sembrare molto, ma proprio come tassi di interesse più elevati generano un fondo pensionistico più consistente dopo pochi anni di capitalizzazione, alti tassi di produttività faranno lo stesso.

Questa prossima ondata tecnologica potrebbe avere un impatto anche sulla forza lavoro statunitense. Molti opinionisti ed attivisti hanno avanzato scenari distopici di una presunta fine del lavoro e della necessità di un reddito di base universale per supportare un proletariato impoverito. Questo non ha senso. La crescita della produttività non ha mai portato a tassi di disoccupazione più alti e non lo farà adesso per il semplice fatto che essa genera prezzi più bassi e salari più alti, che a loro volta portano ad una maggiore domanda di produzione. E nonostante gli avvertimenti che professioni altamente specializzate come quelle di medici e avvocati possano essere sostituite da intelligenze artificiali, la realtà è che questa nuova ondata tecnologica inciderà più probabilmente sulle professioni a basso stipendio. Sebbene inizialmente questa situazione potrà essere dura per alcuni lavoratori nel breve periodo, nel medio questi ultimi ne trarranno invece beneficio in modo significativo, poiché nonostante il numero di posti di lavoro resterà immutato, saranno in più alta percentuale occupazioni a medio ed alto salario.

Infine, queste tecnologie porteranno probabilmente avanti la tendenza di lungo periodo dell’economia statunitense verso le grandi imprese. Negli ultimi vent’anni, l’impresa media americana si è allargata, da quando le tecnologie digitali hanno favorito le economie di scala (dove le imprese più grandi possono operare più economicamente rispetto a quelle minori). Le tecnologie come l’IA e la robotica faranno probabilmente in modo che le economie di scala si espandano, dando modo alle imprese più grandi ed efficienti di prendersi la fetta di mercato dalle aziende più piccole e meno efficienti. Inoltre, l’economia potrebbe trovarsi di fronte ad una continua tendenza alla “piattaformizzazione”, per la quale le piattaforme digitali svolgeranno più funzioni – ad esempio finanziarie, assicurative, logistiche ed altro ancora. Per esempio, potrebbero esserci alcune piattaforme che forniscono servizi fintech al posto di 5000 banche. Entrambe le cose potrebbero essere positive sia per i clienti che per i lavoratori, fino a quando i governi terranno monitorate le azioni di queste piattaforme al fine di assicurare che le imprese non stiano agendo in modo anticoncorrenziale.

Questi potenziali benefici – maggiore produttività, posti di lavoro migliori e più convenienza – non sono assicurati. Forse, per gli Stati Uniti il rischio maggiore potrebbe essere che troppi opinionisti avanzino visioni distopiche dove queste tecnologie rubano la nostra privacy, eliminano il nostro lavoro e discriminano i più vulnerabili. Anziché promuovere la tecnologia, vogliono che le organizzazioni le rifiutino e che i governi le limitino – proprio come i Lillipuziani quando legarono Gulliver. Tuttavia, questi timori sono del tutto esagerati e possono essere affrontati più che adeguatamente con politiche che bilancino protezione ed innovazione (cosa in cui l’UE ha fallito).
Finché gli Stati Uniti continueranno ad abbracciare il cambiamento, accogliere l’innovazione tecnologica e non cadere nella trappola della paranoia della “Big Tech” e delle tecnologie emergenti, andranno probabilmente incontro a degli anni ’20 economicamente brillanti.

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