La Cina sta aumentando la sua capacità di spionaggio satellitare ai danni di un alleato-chiave di Washington, l’Australia, sfruttando la sua posizione geografica per mettere in orbita satelliti, soprattutto di piccola dimensione, capaci di passare nella loro orbita vicino al Paese del Nuovissimo Continente e alle aree di operazioni delle sue forze armate. Questo quanto riporta l’Australian Broadcasting Corporation, la televisione pubblica di Canberra, in un report concluso e pubblicato sul suo sito dopo una lunga inchiesta di analisi sulle modalità di ingaggio dei satelliti messi in orbita da Pechino.

In particolare, Abc si è valsa delle capacità di intelligence satellitare della Eos Space Systems, una delle maggiori protagoniste dell’industria aerospaziale nazionale. La quale ha ricostruito i movimenti dell’armata di satelliti cinesi mostrando una dottrina d’impiego decisamente evoluta da parte dei dispositivi di Pechino. Fondata sull’interoperabilità tra satelliti in orbita geostrazionaria, posti a 36mila km di altezza sull’Equatore (un decimo della distanza Terra-Luna) e satelliti-spia di più piccole dimensioni a un’orbita più bassa.

L’Abc riporta che la Eos “ha monitorato tre satelliti cinesi in orbita geostazionaria che manovravano in posizione sotto l’equatore per monitorare i giochi di guerra Talisman Sabre nel nord dell’Australia”. I satelliti Shiyan-12, Shiyan-17 e Shiyan-23 avrebbero puntato fortemente le attività della Marina Australiana, della United States Navy e delle forze aeree e terrestri dei due Paesi del patto Aukus, mentre a partire dal 10 agosto “centinaia di satelliti in orbita bassa molto più piccoli sono stati monitorati mentre completavano migliaia di voli a quote molto più basse sul continente australiano, concentrandosi sull’attività delle navi da guerra intorno al porto di Sydney” dopo l’inizio di una nuova esercitazione, Malabar. Ma è da ritenere plausibile che i due tipi di satelliti siano stati utilizzati in entrambe le missioni di osservazione. E ci sono almeno due implicazioni strategiche di non poco conto da monitorare.

Innanzitutto, la complementarietà permetterebbe di saldare le capacità di osservazione dei satelliti geostazionari, posti a un’orbita che consente di muoversi sincronicamente alla rotazione terrestre e di osservare un’area grande quanto un emisfero intero, e quelle dei satelliti spia di più piccole dimensioni tradizionalmente in orbita a quote più basse. I primi avrebbero potuto compiere una ricognizione alla ricerca degli asset aeronavali e terrestri di Australia e Stati Uniti stando ben al di fuori della capacità di intercettazione e disturbo dei Paesi Aukus. I secondi poi possono intervenire laddove l’opera di ricerca è stata già compiuta muovendosi a quote più basse per raccogliere su un’area più ristretta immagini ben più ad alta risoluzione. Parliamo di una dottrina d’impiego che realisticamente anche la National Geospatial Intelligence ha seguito per raccogliere, in sinergia con aziende come Maxar, informazioni sugli asset russi nella guerra d’Ucraina.

In secondo luogo, l’importanza di questa rivelazione mostra che la Cina può disporre di satelliti geostazionari con impiego dual-use, militare e civile. Per l’ampiezza della banda che permettono, i satelliti geostazionari sono rivolti soprattutto alle telecomunicazioni, ma la capacità di operare in sinergia con assetti più piccoli di dimensione e flessibili su aree più ristrette di osservazione può far gola a molte potenze. Quindi si capisce l’inizio di una vera e propria dottrina d’impiego dei satelliti da parte cinese che deve spingere le nazioni occidentali a contromisure. E proprio Aukus, che ha fatto del fronte spaziale un perno della sua strategia di proiezione, deve iniziare a preoccuparsi per le prospettive che l’avanzata capacità cinese può aprire sul fronte della corsa al controllo geopolitico dell’Indo-Pacifico.

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