La scorsa settimana ha fatto molto discutere negli Usa la decisione del Pentagono di annullare la gara d’appalto che aveva assegnato a Microsoft il contratto Jedi (Joint Enterprise Defense Infrastructure) da 10 miliardi di dollari per lo sviluppo di processi volti a modernizzare il cloud computing della Difesa statunitense.
Il progetto Jedi sarà dunque superato e l’infrastruttura nuovamente messa a gara dopo che l’amministrazione Trump aveva arruolato alcune cordate del big tech lasciando fuori Amazon, il cui ricorso ha portato all’annullamento della commessa. E ora il colosso di Seattle, che aveva denunciato faziosità da parte di Trump per il suo astio personale col fondatore di Amazon Jeff Bezos, mira a pervadere con sempre maggior salienza gli apparati federali. “Con l’ambiente tecnologico in evoluzione, è diventato chiaro che il contratto Jedi Cloud, che è stato a lungo ritardato, non soddisfa più le esigenze del dipartimento della Difesa”, ha spiegato il Pentagono. E se da un lato Amazon dovrà vedersela, oltre che con Microsoft, con campioni del tech come Oracle e Ibm, dall’altro la sua possibilità di ampliare le prospettive di inserimento nel cloud americano apre a diverse discussioni sul ruolo che Amazon gioca nella società e nell’economia americana.
La nuova Compagnia delle Indie?
Amazon è oggigiorno provider di servizi logistici e di trasporto merci; supplisce attività di grande distribuzione organizzata con Amazon Go, il supermarket 4.0 senza cassieri né casse inaugurato nel 2018, è dominante nel mercato degli assistenti vocali, snodo strategico per la domotica, uno dei campi in cui abiliterà la rivoluzione dell’IoT, investe in intelligenza artificiale, produzione di servizi di intrattenimento (Prime Video), possiede piattaforme di streaming (Twitch) e spazi editoriali (con le infrastrutture di free-publishing e Kindle); soprattutto, ha una forte presenza nel mondo della gestione dati e del cloud, vero business chiave dell’azienda.
Amazon Web Services (Aws), la sua piattaforma cloud, nel primo trimestre 2021 ha garantito all’azienda 13,5 miliardi di dollari di fatturato, circa un terzo in più su base annuale. Conquistando clienti industriali, tecnologici, pubblici: solo nelle ultime settimane tra i nuovi utenti del servizio Aws si segnalano la Ferrari e anche la scuderia di Formula 1 del Cavallino, l’azienda produttrice di telefonini Oppo e il governo di San Marino. Ma chiaramente è oltre Atlantico che l’azienda ha i suoi incassi più importanti. Nel governo federale, che spende nel cloud 6,6 miliardi di dollari l’anno, ma non solo. Aws contribuisce a circa il 70% degli utili dell’intera conglomerata Amazon, che può dunque permettersi di lavorare su margini ridottissimi, o addirittura in perdita, nel suo business originario di consegna merci.
La pervasivitià acquisita oltre Atlantico negli Usa da Amazon rende l’azienda di Seattle simile a una versione moderna della Compagnia delle Indie britannica che ebbe di fatto in amministrazione il subcontinente indiano fino all’incoronazione della Regina Vittoria come imperatrice. Braccio privato dell’interesse nazionale di una potenza imperiale, entrambe le grandi aziende acquisirono un peso specifico tale da diventare, al tempo stesso, ingombranti e indispensabili per Londra e Washington. Tra sconti fiscali, incentivi agli investimenti, stimoli di vario tipo Amazon è stata coccolata dai governi federali con grandi e profumati benefici paragonabili al potere di monopolio sul commercio che la corona di Londra dava ai mercanti e agli amministratori della Compagnia delle Indie.
Un potere incontrollato?
La conquista di Jedi, o del contratto che lo sostituirà, porrebbe Amazon nelle condizioni di completare la filiera. Unendo al controllo strategico di importanti fette del mercato anche un inserimento nel cloud della Difesa che ne completerebbe l’incardinamento nel sistema di potere federale. Attento a cooptare il big tech richiamando l’origine nazionale sull’autodichiarata pulsione globale anche nell’era Biden, meno a contenere la fame di profitto dei giganti del digitale.
Amazon si dimostra indispensabile per gli Usa e torna in gioco sul cloud più strategico proprio nelle stesse settimane in cui Biden ha chiamato alla guida dell’Antitrust la combattiva Lina Khan, che proprio sulla doppia natura di Amazon, fornitore di servizi e concorrente per i piccoli esercizi fisici, ha scritto anni fa un articolo che le ha garantito fama e ha contribuito a diffondere le pulsioni regolatorie nell’opinione pubblica. La pressione regolatrice dell’antitrust ha particolarmente nel mirino Amazon, osservata numero uno per la sua integrazione orizzontale e verticale che è al tempo stesso un possibile fattore di debolezza, in grado di attrarre la scure di chi volesse dividere le attività o addirittura smembrare Amazon, e, soprattutto, garanzia di tutela per il business della più grande tra le aziende del big tech. Oggi più che mai centrale per una serie di servizi logistici, gestionali e, soprattutto, securitari che la società, il mondo economico e le autorità Usa le hanno di fatto appaltato, ampliando quel matrimonio tra potere politico ed economia che da decenni condiziona la società statunitense.