Nel suo periodo spagnolo Borghese incontrò Teseo Tesei, anche lui imbarcato sui sommergibili “legionari”, causa la sospensione del programma per i nuovi mezzi d’assalto, come direttore di macchina. In quei mesi i due giovani ufficiali si confrontarono più volte, discutendo lungamente sulle guerre e le armi del futuro.
Una somma di idee, progetti, ipotesi entusiasmati ma tutte mal concilianti con il passatismo degli ammiragli e la somma prudenza (oltre che la nota taccagneria) del navarca supremo, Domenico Cavagnari dal 1933 sottosegretario al ministero della Marina e Capo di Stato Maggiore. Fu proprio il navarca genovese, dopo un primo momento di flebile interesse verso i progetti di Tesei, a tacitare ogni dibattito sposando in pieno la visione dei suoi colleghi più conservatori, ancora convinti della primazia delle corazzate e del cannone. Una scelta miope ma politicamente comoda per Cavagnari per nulla ansioso di dispiacere ad un Mussolini convinto che tutto si traducesse nella spettacolarizzazione della potenza navale – enormi corazzate, grossi calibri, tante parate – e in una “questione di tempra degli uomini e di ordini da impartire”.
Nel 1938 la ruota della Storia iniziò a girare freneticamente e le speranze su una lunga pace iniziarono ad evaporare. A settembre la crisi innescata dal revanscismo germanico sui Sudeti, aveva portato pericolosamente l’Europa sulle soglie del baratro e solo il celebre patto di Monaco siglato in extremis, grazie alla mediazione di Mussolini, da Hitler e Chamberlain aveva evitato la catastrofe. Le opinioni pubbliche del continente si rasserenarono ma nelle “segrete stanze” d’ogni capitale nessuno si fece illusioni. Nemmeno a Roma.
Per una volta persino Cavagnari iniziò a preoccuparsi e diede infine il suo assenso alla creazione nell’ambito della I flottiglia Mas di La Spezia di una sezione “armi speciali” da affidare a Tesei in rientro dalla Spagna. Sotto la sua supervisione i primi Siluri a lenta corsa (Slc) vennero affidati ad un selezionatissimo reparto d’incursori imbucato a Bocca di Serchio, la base top secret della futura Decima mas (la denominazione ufficiale arriverà il 14 marzo 1941). Iniziò allora una corsa contro il tempo: mentre i venti di guerra spiravano sempre più forti, gli “apostoli di Tesei” intensificarono sino allo spasimo gli addestramenti, ad ogni ora e con ogni mare, e perfezionarono, per quanto possibile, armi e tecniche.
Formato un primo nucleo di operatori e perfezionati i materiali, l’ingegnere elbano richiese la presenza di Borghese. Al giovane comandante fu affidato il delicato incarico di trasportare i “siluri umani” e infiltrarli verso l’obiettivo.
Con piccolo sommergibile Ametista, opportunatamente modificato, Borghese migliorò le tecniche e nel gennaio del 1940 prese parte alla prima sperimentazione completa del reparto
Imbarcati tre Slc e rispettivi equipaggi, l’Ametista si portò nel golfo spezzino e presso l’isola del Tino rilasciò gli incursori che raggiunsero dopo ore il vecchio incrociatore Quarto, attaccando alla carena del bersaglio una finta carica esplosiva. Al netto di alcune criticità emerse durante l’esercitazione, un successo incoraggiante ma a Roma nessuno sembrò accorgersene.
Di certo, come scrive Franco Bandini nel suo Vita e morte segreta di Mussolini, Borghese rimase “molto impressionato da quel muoversi a corpo quasi nudo in un mare freddo e ostile, per colpire il nemico nelle sue basi più sicure. Senza dubbio sentì profondamente questo tipo d’azione per l’azione, questa morale oltre la morale convenzionale, questo individualismo esasperato. Gli piacque l’atmosfera segreta (anche verso i comandi superiori) della foce del Serchio. Gli piacque, soprattutto la possibilità di raggiungere grandi successi con minimi mezzi, su una base quasi esclusivamente individuale. Qui, l’uomo decideva tutto“.
Il 10 giugno 1940, allo scoccare della fatidica “ora segnata dal destino”, il reparto era pronto all’azione. Certo, i mezzi erano ancora pochi ma già sufficienti per un attacco simultaneo contro i porti nemici e infliggere così un colpo durissimo agli anglo-francesi del tutto ignari della nuova arma. Nulla però si mosse. Mentre Tesei e i suoi fremevano, Mussolini – convinto, dopo il crollo della Francia, che la guerra stesse terminando con un compromesso – optò per una “guerra da parata” per non pregiudicare l’intesa con gli Alleati nella futura conferenza di pace. Un abbaglio fatale che chiuse per sempre l’irripetibile opportunità di scardinare l’apparato nemico nel Mediterraneo.
Nelle sue memorie post belliche, Borghese ricordò con amarezza la grande occasione mancata: “Con il siluro pilotato ed il barchino esplosivo la Marina italiana, ed essa sola, possedeva i mezzi che avrebbero realmente potuto permetterle, con azione improvvisa, inaspettata e di massa, attuata contemporaneamente nei vari porti al fine di sfruttare la sorpresa, di conseguire all’inizio delle ostilità una vittoria clamorosa e sostanziale che pareggiasse il potenziale delle flotte contrapposte”.
Mentre il comandante partecipava a luglio con il Vittor Pisani alla battaglia di Punta Stilo, Tesei e Toschi a Bocca di Serchio mordevano il freno. L’ordine tanto atteso arrivò solo a tardo agosto: destinazione Alessandria. Casualmente i britannici intercettarono la spedizione nel golfo di Bomba e tutto s’interruppe malamente con l’affondamento dell’Iride e della motonave d’appoggio Monte Gargano. Ancor peggio, se possibile, la sorte della seconda missione imbarcata sul sommergibile Gondar. Il 29 settembre, al largo della Libia, l’unità venne colpita a morte dal caccia australiano Stuart; dopo aver sabotato la nave l’equipaggio si lanciò in mare e 47 marinai, tra cui il gruppo d’incursori con Elios Toschi, vennero recuperati e catturati dal nemico. Un colpo durissimo.
Borghese, in Germania per frequentare un corso sugli u-boot, venne urgentemente richiamato e destinato al comando dello Scirè, l’altro sommergibile in dotazione alla sezione “armi speciali”. La svolta definitiva. Il 21 settembre l’unità salpava per Gibilterra con a bordo una sezione d’incursori guidati personalmente da Tesei ma ad appena 50 miglia dal porto nemico il nostro spionaggio comunicò a Roma che la baia era vuota e l’operazione venne annullata. Il 21 ottobre Borghese ripartì con tre Slc e i rispettivi equipaggi. In vista dello stretto di Gibilterra lo Sciré fu avvisato da due caccia britannici e, sotto una pioggia di bombe, dovette immergersi per cercare di superare la strettoia in immersione. Un‘impresa rischiosissima.
Gino Birindelli, uno dei protagonisti dell’impresa, così raccontò a Beppe Pegolotti, autore di Uomini contro navi, quelle tre lunghe notti: “Il sommergibile sballottato dalla forte corrente, rotolava come una botte abbandonata sopra un pendio. Ruzzolavamo anche noi: ciò non aveva troppa importanza, ma c’era da temere per lo scafo. Temere, cioè, che tutto andasse sfasciato. Ci trovammo, l’ultimo di quei giorni drammatici, in balia di un rigurgito di marea di violenza inaudita che mise ancora a più dura prova il sommergibile”.
Alla fine Borghese, rischiando il tutto per tutto, riuscì a posizionare l’unità di fronte a Gibilterra ma mancavano dati certi sulla posizione, l’autonomia era al limite e ogni mossa poteva risultare fatale. Dal periscopio però Birindelli aveva notato un movimento di alghe concludendo che vi era una marea favorevole di circa tre nodi che avrebbe favorito l’avvicinamento dei Slc. Ricordando quel momento Birindelli scrisse: “E lì venne fuori il grande soldato e grandissimo comandante che Borghese era; mi guardò fisso con gli occhi che erano una lama e disse: ‘sei sicuro?’. ‘Sì’ risposi. “Andiamo” ordinò”.
L’azione fu condotta con incredibile ardimento ma ancora una volta qualcosa andò storto. Sempre per colpa dei materiali troppo artigianali, ancora sperimentali. Birindelli arrivò a pochi metri dalla corazzata Barham ma il Slc s’impiantò sul fondo e a nulla valsero i suoi sforzi. Sfinito dovette riemergere e venne catturato. Gli altri due mezzi guidati da Tesei e Durand de La Penne si bloccarono a metà del percorso. Fine della missione. Gli incursori riuscirono a raggiungere a nuoto la neutrale costa spagnola dove furono recuperati dai nostri agenti e riportati incolumi in Italia. Lo Scirè rientrò a La Spezia il 3 novembre. Il 2 gennaio 1941 Junio Valerio Borghese veniva decorato con la medaglia d‘Oro al valor militare. L’inizio della leggenda.