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Samarcanda esce dal mito e torna nella storia grazie al ventiduesimo summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco). La città dell’Uzbekistan, antico cuore del mondo euroasiatico assieme alla sua regione nei tempi compresi tra l’impresa orientale di Alessandro Magno, nel IV secolo avanti Cristo, e l’epopea imperiale di Timur Beg (Tamerlano), che tra Trecento e Quattrocento ne fece la capitale dei suoi domini, antico polmone commerciale della storica Via della Seta, è stata teatro della due giorni in cui il principale gruppo di potenze in dialogo dell’Asia ha potuto confrontarsi attivamente per la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina in avanti.

A Samarcanda padrone di casa è l’Uzbekistan, rampante potenza centroasiatica che tra nuovi scenari energetici, attrazione di investimenti, bilanciamenti tra Mosca e Pechino e sguardo privilegiato sul turbolento Afghanistan tornato in mano ai talebani si è costruito un osservatorio privilegiato; ma etnicamente e culturalmente su di essa può rivendicare un’affiliazione culturale anche il vicino Tagikistan, che nella capitale Dusanbe aveva ospitato il summit del 2021. La Cina è attratta dal fascino di Samarcanda per il richiamo alla Via della Seta e non a caso Xi Jinpingprima di giungere al summit, ha visitato il Kazakistan, altro Paese membro della Sco e in cui nel 2013 fu annunciata, per la prima volta, quella che adesso è la Belt and Road Initiative. India e Pakistan, partecipi del penultimo allargamento della Sco compiuto tra il 2015 e il 2017, un tempo mete agognate di Alessandro e Tamerlano, si proiettano oggi nel cuore geostrategico dell’Eurasia; l’Iran, che alla Sco sta entrando a far parte, nella città che fu Babele dei commerci e delle relazioni umane firmando il memorandum di adesione a Samarcanda rompe di fronte al mondo il percepito isolamento internazionale. E lo fa in una città legata, in passato, anche alla Persia sasanide di cui fu una delle perle più fiorenti. E oltre all’incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping il summit di Samarcanda passerà alla storia per più di un motivo.

La Sco si scopre sempre meno “euroasiatica” e sempre più prettamente asiatica. L’accelerazione della procedura di ingresso di Paesi come la Bielorussia non inganni: la guerra nell’Est dell’Europa scatenata da Mosca e le nuove dinamiche geostrategiche e economiche, trainate da settori come l’energia e le infrastrutture, spostano a Est un baricentro che già diversi indicatori, dalla demografia al Pil, allontanavano dal tradizionale perno tra i due continenti, la Russia.

A Est guarda, per completare il suo irradiamento geostrategico, anche la Turchia di Recep Tayyip Erdoganpresente a Samarcanda per accelerare il processo di ingresso come membro osservatore nella Sco. La profondità strategica della Turchia si abbevera di richiami alla storia e all’antichità delle stirpi turche: e il Büyük Timur İmparatorluğu, l’Impero timuride fondato da Tamerlano e esistito tra il 1368 e il 1501 avente Samarcanda come capitale, è nella retorica nazionalista ritenuto uno dei sedici “Grandi Imperi” turchi avvicendatisi nella storia, in un’epopea nata col Grande Impero Unno nel 220 a.C. e conclusosi con la fine dell’Impero ottomano nel 1922. Samarcanda fu dominata dall’Impero degli Unni Bianchi (390-577) e poi da una serie di dinastie turche: il Kaghanato Kazaro (651-983), il Khanato Karakanide (840-1212), l’Impero selgiuchide (1040-1157) e quello corasimo (1097-1231), il Khanato dell’Orda d’Oro (1236-1502) e, da ultimo, quello timuride. Sette imperi su sedici hanno avuto in Samarcanda la loro “perla” e questo è tanto da rendere la Turchia attenta al richiamo della città dalle cupole turchesi per la legittimazione della sua proiezione in Asia Centrale, in quello che per secoli è stato sintomaticamente definito proprio come “Turkestan”.

Il portato storico della simbologia si fonde dunque a ben più cogenti interessi pragmatici nel giustificare la missione della Sco: creare ponti, prospettive securitarie, cooperazione strategica e comunione di intenti nelle regioni dell’Asia centrale e profonda di comune pertinenza. “Samarcan è una nobile cittade, e sonvi cristiani e saracini”, scriveva Marco Polo ne Il Milione, ricordando come già nel Duecento il centro dell’Asia profonda fosse un crocevia di popoli e storie. “Potenza di una città sognata: ci arrivi e ti stupisci che esista davvero”, scrive Franco Cardini in Samarcanda – Un sogno color turchese (Il Mulino, 2016), in cui l’arte e i monumenti, ricorda Cardini, mostrano le cure e le attenzioni dedicate da Timur alla sua capitale che avrebbero dovuto nella sua ottica farne “la sua Baghdad, la sua Pechino, la sua Costantinopoli”. Samarcanda non è più solo il grande oltre, ma un pivot strategico, cuore pulsante di un Paese che si trova a essere, una volta di più crocevia. E epicentro geografico di una comunità che prova a immaginare un’altra via alla sicurezza e alla cooperazione nel caos del mondo globalizzato. In cui il fascino eterno di Samarcanda continua a attrarre leader e osservatori con il suo portato di storie e incontri umani.

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