Quando si scrive e si parla di strumentalizzazione dell’islam per fini politici e/o terroristici il pensiero va rapidamente a filosofi come Sayyid Qutb, ad attivisti come Hasan al-Banna o ad intellettuali-guerriglieri come Abdullah Azzam. Qutb, al-Banna e Azzam sono appartenuti a tre epoche differenti, sono stati accomunati da una weltanschauung alquanto simile, e hanno contribuito in maniera determinante all’elaborazione di un concetto che politologi ed islamologi avrebbero poi ribattezzato il “Jihād offensivo“.

È in errore, però, chi crede che la riformulazione della potente ma ambigua nozione di Jihād, che ha tradizionalmente indicato lo “sforzo spirituale” dei fedeli impegnati a diventare un tutt’uno con Allah, vada imputata alla Triade dell’islam politico costituita da al-Banna, Qutb e Azzam. Perché qualcun altro, molto di prima di loro, avrebbe cercato di sollevare la umma contro gli infedeli con l’obiettivo di dare vita ad un Jihād globale: il Gran Muftì di Costantinopoli (in combutta con il Kaiser dell’Impero tedesco).

La “guerra santa” dimenticata del 1914

Costantinopoli, 14 novembre 1914: l’Europa è sprofondata nella guerra da quasi quattro mesi, cioè da quando Gavrilo Princip ha assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, e il Gran Muftì della metropoli turca ha invitato i fedeli a riunirsi dinanzi al simbolo dell’ottomanità, la Grande moschea benedetta di Ayasofya, perché deve comunicare loro un messaggio importante.

Non si sa quanti fedeli islamici abbiano raccolto l’appello del Gran Muftì – che imam di quartiere e muezzini hanno pubblicizzato in lungo e in largo da giorni –, si sa soltanto che all’appuntamento giungono in tanti, tantissimi, decine di migliaia. Costantinopoli è in silenzio, accalcata presso quel sito che secoli prima fu l’emblema della Cristianità orientale e che Maometto II consegnò trionfalmente ai figli di Osman il 29 maggio 1453. L’attesa è snervante: colui che si rivolgerà alla folla oceanica è la seconda figura più importante ed autorevole dell’Impero, perciò non può aver chiesto un incontro con gli abitanti della Sublime Porta senza un motivo valido.

Quando la sabbia nella clepsidra finisce, e il Gran Muftì si materializza, cominciando a leggere ai presenti il contenuto di un’ambasciata che impugna tra le mani come se fosse una sciabola, il tempo si ferma, o meglio torna indietro. Torna indietro di secoli, ai tempi delle guerre per la sottomissione della Rumelia, delle battaglie navali per l’egemonizzazione del Mediterraneo e delle guerre russo-turche. Torna indietro di un’era, riportando le lancette dell’orologio ai tempi del Jihād della spada e della prima espansione islamica: ai tempi della guerra santa contro i kāfir e i mushrik, cioè gli infedeli e i politeisti.

Il Gran Muftì di Costantinopoli aveva riunito gli abitanti della Nuova Roma per proclamare pubblicamente un Jihād offensivo, da lui ribattezzato il “Jihād della felicità”, giustificandolo in termini di obbligo coranico, inquadrandolo nel contesto della prima guerra mondiale e rivolgendolo non soltanto ed esclusivamente alla platea ottomana, ma all’intera umma, ovverosia ai musulmani di tutto il mondo.

Coloro che avrebbero risposto a quel takfir sotto forma di dichiarazione di guerra, combattendo anima e corpo i Nemici di Allah – identificati con i membri e gli alleati della Triplice Intesa –, avrebbero ottenuto felicità, onore e mitizzazione sulla Terra e salvezza eterna nell’al di là. Coloro che avrebbero risposto a quella chiamata alle armi, senza saperlo, avrebbero combattuto una guerra santa voluta, più che da Allah, dall’allora Kaiser di Germania, Guglielmo II.

L’orientalista olandese Christiaan Snouck-Hurgronje, testimone della Grande Guerra e acuto osservatore degli accadimenti che stavano avendo luogo lungo la Berlino–Costantinopoli, dopo aver riflettuto sul contenuto della fatwa emessa dal Gran Muftì di Costantinopoli, le avrebbe affibbiato un nome più consono: non Jihād della felicità, ma Jihād fabbricato in Germania.

L’Aquila e la Mezzaluna

La Sublime Porta era entrata nella prima guerra mondiale il 31 ottobre, supportando la causa dei cosiddetti imperi centrali, e la proclamazione di guerra santa del 14 novembre avrebbe giocato un ruolo determinante nel persuadere l’opinione pubblica ad accettare il fatto. Perché non era più una questione di politica, ma di fede. E non si trattava più di combattere dei semplici soldati, ma degli infedeli armati.

Affiatati dal movente religioso, i turchi ottomani avrebbero appoggiato en masse le ostilità contro la Triplice intesa e partecipato personalmente e direttamente a quella che era divenuta nottetempo una guerra di civiltà, una guerra santa. I nemici della Sublime Porta avrebbero compreso molto presto le potenzialità mortifere di quella proclamazione di Jihād: lo straordinario dispiegamento di quasi 200mila soldati nel fronte caucasico, la temporanea messa in secondo piano dei dissidi interetnici tra turchi e curdi – con questi ultimi in prima fila nella conduzione dei genocidi armeno e assiro –, la divinizzazione di Enver Pasha e le sollevazioni filo-ottomane in Egitto, India, Maghreb, Caucaso russo e Asia centrale.

Berlino avrebbe appoggiato il Jihād offensivo lanciato da Costantinopoli in una varietà di modi, tra i quali risaltano la diffusione di materiale propagandistico filo-ottomano negli spazi coloniali delle potenze della Triplice intesa da parte dell’Ufficio di Intelligence per l’Oriente (Nachrichtenstelle für den Orient), lo sdoganamento dell’islam negli ambienti intellettuali tedeschi – trainato dall’attivismo irrefrenabile di Max Freiherr von Oppenheim (teorico dell'”arma islamica”), Friedrich Naumann e Friedrich Bronsart von Schellendorff – e i tentativi simultanei di infiltrare i moti islamisti nell’Eurafrasia – nell’aspettativa, forse, di profittare del risveglio dei popoli islamici per subentrare culturalmente (e politicamente) ai francesi nel Maghreb, ai britannici tra Egitto ed India e ai russi tra Caucaso e Asia centrale.

Il tramonto della guerra santa turco-tedesca

All’acme del Jihād offensivo lanciato dal Gran Muftì di Costantinopoli, localizzabile nel biennio 1915-16, le campagne di propaganda e mobilitazione totale operate da tedeschi e ottomani avrebbero sobillato Mesopotamia, Africa settentrionale, Asia meridionale e Sudest asiatico, sullo sfondo dei crimini genocidiali perpetrati contro armeni e assiri tra Anatolia e Caucaso dalle truppe turche e dalla gente comune.

Apogeo di questa guerra santa di cui nessuno sembra avere memoria, sebbene la sua esistenza sia un fatto storico acclarato e documentato, sarebbe stato il celebre ammutinamento di Singapore. Il 15 febbraio 1915, per quasi una settimana, la componente islamica del quinto reggimento di fanteria dell’esercito anglo-indiano (British Indian Army) si sarebbe sollevata contro il personale britannico. Un episodio culminato con la morte di trenta persone, oltre la metà delle quali di nazionalità britannica, che la storiografia ha poco a poco rivalutato, riletto e reinterpretato, finendo con il contestualizzarlo all’interno di quella chiamata alle armi contro gli infedeli proveniente da Costantinopoli (e della più vasta e altrettanto sconosciuta cospirazione indo-tedesca).

Alla fine, come è noto, il fronte degli imperi centrali avrebbe perso la Grande Guerra, con il Kaiser costretto a siglare una resa ignominiosa e con il Sultano testimone della fine di un’epoca – quella ottomana –, provocata tanto da contraddizioni interne quanto dal genio strategico di Lawrence d’Arabia, il beduino venuto da Londra che riuscì ad annientare la forza siderea del potente richiamo al Jihād della Sublime Porta mettendo La Mecca contro Costantinopoli.

Ritenere il Jihād globale del Sultano e del Kaiser un fallimento, però, non gli renderebbe giustizia storica. Perché non lo fu. Sui sermoni antioccidentali degli imam che risposero all’appello di Costantinopoli si formò un’intera generazione, da Gerusalemme a Islamabad, che nei decenni seguenti avrebbe combattuto per la decolonizzazione. Da quei sermoni ipnotici fu stregato un adolescente palestinese destinato a figurare tra i protagonisti della Seconda guerra mondiale: Amin al-Husseini, futuro Gran Muftì di Gerusalemme (e alleato di Adolf Hitler).





Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.