Storia /

Il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici è celebre per le sue “Leggi Livornine”,  un apparato legislativo con cui invitava nel 1591 a Livorno, la nuova città portuale dello Stato Toscano “mercanti di qualsivoglia nazione, Levantini, Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani et di altri Stati di venire, stare, trafficare, passare et liberare con le vostre famiglie o senza di esse, partire et tornare e negoziare nella nostra diletta città di Pisa e scalo di Livorno et anco stare per negoziare altrove per tutto il nostro Ducal dominio senza impedimento o molestia alcuna”. Nei quaranta articoli si enunciavano sovvenzioni economiche e sgravi fiscali con garanzie in campo sociale, religioso, amministrativo e, persino, penale. Nessuno dei nuovi arrivati avrebbe potuto essere giudicato per “delitto o maleficio enorme, grave, enormissimo e gravissimo, commesso fuori dagli Stati nostri per il passato”. Restavano esclusi solo i reati di falsa moneta, lesa maestà e usura.

Grazie alla liberalità del granduca in breve tempo nell’area urbana si insediarono numerose comunità straniere e in vent’anni la popolazione passò da meno di mille abitanti, agli oltre diecimila registrati a inizio del nuovo secolo. A contare e decidere erano però i commercianti olandesi e inglesi, calvinisti ed anglicani. Su loro impulso lo scalo toscano divenne in pochi lustri la principale piazza di scambio e il canale di trasformazione per merci e capitali sulla rotta tra Londra e Amsterdam e il Nord Africa e il Medio Oriente oltre che una preziosa vetrina sul redditizio mercato italico.

Ma Ferdinando pensava decisamente in grande come conferma la sua passione per le esplorazioni e i sogni d’espansione oltremare. Non si trattava di bizzarrie ma di progetti abbastanza realistici basati su resoconti diplomatici ed informazioni raccolte tramite la vasta rete commerciale toscana — in particolare dai mercanti fiorentini di Lisbona che dal 1570 gestivano la Carreira da India, la rotta lusitana per le Indie — e dai sudditi residenti a Goa, capitale dell’India portoghese, come la famiglia Strozzi, banchieri e commercianti di pietre preziose, e Filippo Sassetti, singolare figura di etnografo, botanico e linguista.

Altre preziose notizie furono fornite dal fiorentino Francesco Carletti, il primo viaggiatore “privato” ad aver circumnavigato il globo. Una vicenda interessante quanto dimenticata. Assieme al padre Antonio, l’intraprendente Francesco era partito nel 1594 per il Perù e il Messico; sempre alla ricerca di buoni affari, da Acapulco i due raggiunsero le Filippine passando poi in Giappone e in Cina. Nel 1598 morto il genitore a Macao di “mal di pietra”, il Carletti riprese il suo viaggio verso Occidente giungendo, dopo aver toccato Sumatra e Ceylon, a Goa dove rivendette le sete acquistate in Cina e acquistò preziose merci indiane. Nel Natale 1601 Carletti s’imbarcò su una nave portoghese diretta a Lisbona ma tre mesi dopo, al largo di Sant’Elena, il vascello fu abbordato dai corsari olandesi che sequestrarono l’intero carico e arrestarono l’equipaggio.

In qualità di suddito granducale Carletti ottenne la libertà ma, dopo una lunga battaglia legale, perse i suoi beni considerati dal tribunale olandese “buona preda”. Finalmente rientrato nel 1606 l’avventuroso fiorentino divenne consulente di Ferdinando per le questioni coloniali e scrisse “I ragionamenti di Francesco Carletti sopra le cose da lui vedute”, una densa relazione dei suoi viaggi (e una testimonianza importante sulla psicologia del mercante cinquecentesco). 

Accumulato un ricco corpus di relazioni, mappe, pareri, calcoli economici, il granduca si convinse delle possibilità di un’integrazione autonoma nel mondo atlantico. Falliti i tentativi d’insediamento in Sierra Leone e in Marocco, nel 1608 organizzò, affidandone il comando all’inglese Robert Thorton, la spedizione del galeone Santa Lucia e di una tartana nel delta del Rio delle Amazzoni e l’Orinoco. Era la proiezione coloniale a lungo immaginata dai medicei: l’esploratore individuò nell’attuale Guyana francese il luogo adatto per una prima stazione commerciale — da affidare a coloni lucchesi e livornesi — ma al suo ritorno nel 1609 Ferdinando era morto e il suo successore, il malaticcio Cosimo II, bloccò ogni progetto transoceanico preferendo il consueto modello di partecipazione indiretta al servizio di poteri stranieri.

Continuativo, seppur velleitario, fu invece l’interesse di Cosimo per le cose mediterranee e levantine come conferma la sua duratura amicizia con l’emiro libanese Fahkr-al-Din II, grande ammiratore dei Medici e strenuo oppositore degli ottomani. Una figura romanzesca. Nel 1608 il principe druso, allora governatore del Libano e della Galilea, strinse un’alleanza segreta con Ferdinando promettendo, in cambio di un aiuto militare contro il sultano, il trasferimento del Santo Sepolcro a Firenze (da ricostruire nella Cappella dei Principi in San Lorenzo) oltre a vantaggiose intese commerciali. Nel 1613 i turchi si stufarono di tanti intrugli e costrinsero Fahkr-al-Din all’esilio; giunto a Livorno fu accolto a braccia aperte da Cosimo che lo ospitò a corte — immaginando con lui, tra una festa e l’altra, improbabili crociate e illusorie conquiste in Oriente — per due lunghi e assai confortevoli anni. Non se ne fece di nulla ma nel ’18, una volta tornato a casa, l’emiro, folgorato dallo splendore mediceo, chiese al granduca maestranze toscane per ammodernare e abbellire il suo Paese. Un interscambio fruttuoso di cui restano ancor oggi tracce evidenti nelle architetture storiche libanesi.

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