Novembre 1956. Dal ponte delle portaerei inglesi e francesi che incrociano nel Mediterraneo, centinaia di aerei da combattimento con strisce gialle e nere sulle ali – quale segno d’inconfondibile riconoscimento – decollano e convergono su obiettivi prefissati su zone costiere e interne dell’Egitto. La loro missione è quella di paralizzare le difese egiziane allo scadere di un ultimatum ignorato per impedire una risposta difensiva “adeguata” allo sbarco anfibio che è stato pianificato di concerto con gli israeliani, coinvolti e impegnati in un’operazione di alleggerimento sul fronte orientale. La poderosa flotta congiunta, come non se ne vedevano dal termine del Secondo conflitto mondiale, è composta da 155 navi da guerra. Tra di esse, oltre a incrociatori, fregate e navi d’appoggio, spiccano ben sei portaerei: tutte schierate al largo di Port Said e Port Fouad. Città che sorgono sul settore a est e a ovest dell’imboccatura del Canale di Suez. Il più importate alveo artificiale realizzato dall’uomo.
Sul ponte della portaerei Hms Albion, come su quello della portaerei La Fayette, vengono preparati per il decollo cacciabombardieri ad elica del Fleet Air Arm come i poco noti Wyvern, elicotteri carichi di commandos come i vecchi e gloriosi Whirlwind, e i celeberrimi Corsair dell’Aéronavale francese: veterani dell’Indocina. È il preludio dell’Operazione Moschettiere: il colpo di mano escogitato da due grandi potenze militari del Vecchio continente che, con la collaborazione del neonato e influente Stato d’Israele, vogliono recuperare il predominio sull’essenziale e strategico Canale di Suez. Si tratta di un’operazione di una certa importanza, lanciata in grande stile con uno straordinario dispiegamento di forze. Un’operazione che però non troverà, per la prima volta nella storia, il benestare dell’alleato americano. La super potenza occidentale che dal 1945 detta le regole del gioco – grande o piccolo che sia – e che per questo lascerà che il tutto si concluda in un fallimento. Seppure con stile.
Un accordo segreto per colpire l’Egitto
Come redatto al primo punto del protocollo di Sèvres – accordo diplomatico segreto stretto tra Francia, Regno Unito e Israele – “le forze israeliane” avrebbero lanciato “un attacco su vasta scala contro le forze Egiziane con l’obiettivo di raggiungere la Zona del Canale il giorno successivo” mentre “le forze anglo-francesi” – nemiche/amiche della storia – si impegnavano a “lanciare offensive militari contro le forze egiziane dalle prime ore della mattina del 31 ottobre” in base alla rispetto o meno dell’ultimatum consegnato al Cairo. Ultimatum che, come sappiamo, verrà ignorato.
Sono gli inglesi a comandare Moschettiere e coordinare lo sforzo congiunto. Mentre i francesi – che hanno denominato la missione “Operation 700“, forse in virtù della loro inferiore esperienza in operazioni aeronavali su vasta scala – seguono, avendo il controllo e comando esclusivo delle forze schierate in campo.
Ma facciamo un passo indietro. Come spiega questo articolo, alla base dell’operazione c’erano ovvi interessi economici, geostrategici e geopolitici. Il Canale di Suez – imponente opera fluviale portata a termine con fondi francesi e britannici nel XIX secolo, nonché nuova rotta essenziale per collegare i possedimenti d’oltremare delle grandi potenze europee con il Mediterraneo, senza costringere i convogli a circumnavigare il continente africano – venne nazionalizzato in seguito al colpo di Stato mosso dall’ al-Ḍubbāt al-Aḥrār (il movimento dei Liberi Ufficiali, ndr) che, dopo aver deposto il sovrano Farouk I nel luglio 1952, aveva prima ordinato il ritiro di tutte le truppe mantenute dai britannici in quella che era designata come la “Zona del Canale” entro il giugno del 1956 e poi nazionalizzato la compagnia franco-britannica del Canale di Suez appena un mese dopo. Inibendo la navigazione e il traffico commerciale.
In risposta a questa presa di posizione ritenuta inaccettabile, Londra e Parigi pianificarono di concerto con Tel-Aviv un’operazione militare su vasta scala che prevedeva inizialmente uno sbarco in forze per prendere Il Cairo e rovesciare il governo di Gamal Nasser. Sostenendo – almeno secondo i dossier consegnati dalla spie inglesi – che l’Egitto volesse avvicinarsi pericolosamente al blocco sovietico nell’acutirsi della Guerra fredda.
Sebbene l’Operazione Moschettiere – riconsiderato il suo obiettivo principale di ottenere nuovamente il controllo di Suez – vide una facile occupazione di Port Said e degli altri punti strategici all’estremità settentrionale del canale, grazie al coinvolgimento di truppe scelte aviotrasportate, di unità scelte di Legione straniera, dei Royal Marines e dei Commandos Marine; subì un arresto immediato e venne interrotta per pressione di Washington che – si chiarirà solo in seguito – nutriva più interesse nell’impegnarsi ad impedire un possibile coinvolgimento dell’Unione sovietica in un conflitto più vasto nel cuore del Medio Oriente che ad appoggiare i suoi vecchi e fedeli alleati nella pretesa di riconfermare il loro status di grandi potenze del passato. Lo stesso valeva per l’appoggio alla causa di Israele.
Fu così che le truppe anglo-francesi – dopo aver dimostrato una buona efficienza nel colpire e costringere a terra il grosso delle forze aeree egiziane con i raid aerei lanciati dalle basi di Malta, Cipro e dai vettori aeronavali e dopo aver proceduto in azioni di commandos traspostati dagli elicotteri d’assalto e dai mezzi anfibi per costituire teste di ponte e prendere il controllo degli snodi strategici in appena nove giorni di ostilità – saranno costrette a ritirarsi rapidamente dalle posizioni ottenute e mantenute, per essere sostituiti in tutta fretta dai contingenti delle forze d’emergenza delle Nazioni Unite.
Fallire con stile
Dal punto di vista militare l’Operazione Moschettiere fu un completo successo, ma allo stesso tempo anche un totale fallimento sul piano politico. Quella che verrà ricordata come la Crisi di Suez terminerà infatti con il ritiro del corpo di spedizione anglo-francese e con l’ottenimento da parte dell’Egitto della proprietà e della sovranità del Canale. Canale che verrà riaperto alla navigazione solo nell’aprile 1957.
Le tattiche aeronavali e d’assalto sostenute da una buona logistica e dall’affidabilità di uomini e mezzi – che per la Francia reduce dalla scottate sconfitta in Indocina non potevano non essere celebrati – a poco valsero rispetto all’ingerenza della grande diplomazia concentrata su equilibri geopolitici di più ampia portata.
La Crisi di Suez non verrà di fatto ricordata principalmente come un’impresa militare combattuta sul campo da soldati, carri armati, aerei o navi, ma come un vero e proprio spartiacque che sacrificando la geostrategia indispensabile per due potenze del passato ridefinisce gli equilibri di potere nel contesto della geopolitica dei massimi sistemi che accompagnerà tutta la durata della Guerra Fredda.
Le conseguenze di questa crisi spesso tralasciata nelle analisi storiche più generaliste, e tornata al centro dell’interesse come “lezione” solo dopo gli avvenimenti dell’aprile 2021, portò diverse conseguenze tra i singoli attori che vi rimasero coinvolti: un rafforzamento dei rapporti tra l’Egitto di Nasser e Unione sovietica che sovvenzionerà la diga Assuan; un rafforzamento dei rapporti tra Francia e Israele – che per la prima volta e forse unica della storia, ricevette un diniego da Washington; un rafforzamento tra i rapporti che vedevano legati Regno Unito e Stati Uniti; e in fine un allontanamento tra Londra e Parigi, che dopo aver armato insieme la crociata si ritrovarono in contrasto come semplici dirimpettaie d’Europa. In seno a questa incoerente politica regionale, Parigi concentrerà tutti i suoi sforzi per accelerare l’ottenimento della sua forza di deterrenza in seno al nucleare francese; per mettersi in pari con Londra e la sua bomba atomica “With a bloody Union Jack on top”, ottenuta nel 1952. E imporre, anche attraverso la propria capacità di deterrenza, il suo peso specifico a livello continentale e intercontinentale.
Va citato in ultimo, ma non può essere annoverato nel fallimento che da titolo a questo paragrafo, il successo dello Stato d’Israele, che aveva dimostrato la netta superiorità militare nei confronti dell’Egitto, infierendo un duro colpo ad un avversario con il quale si sarebbe misurato nuovamente in battaglia.
Se esistono degli eventi nella storia che possono rendere onore all’immortale frase di Henry John Temple, terzo visconte Palmerston, che asseriva come “non ci siano alleanze permanenti, solo interessi permanenti”, la crisi di Suez può senza dubbio e buon titolo essere annoverata tra di essi.