I fortunali della competizione tra grandi potenze sono arrivati in Latinoamerica, un tempo protetta dalle chiusure antivento della dottrina Monroe, e minacciano di scoperchiare il tetto dell’egemonia globale degli Stati Uniti.
L’estero vicino di Washington è più debole e frammentato delle apparenze. Ex satelliti passati ad altre orbite, come Cuba, Nicaragua e Venezuela. Potenze regionali con aspirazioni multipolari, come il Brasile. Improbabili alleanze fra cartelli della droga e rivali dell’America. E conflitti congelati, come la questione Malvine/Falkland.
L’estero vicino di Washington è la grande trincea della neonata Battaglia dell’Atlantico, di cui l’Argentina è uno dei fossati principali. Argentina che geostrategia, l’Antartide, e geoeconomia, le terre rare, hanno portato al centro delle guerre sinoamericane, delle quali il contenzioso delle Malvine/Falkland potrebbe diventare una propaggine; di qui la necessità di riscoprirne origini e ragioni.
Londra e le Falkland
La storia britannica di questo arcipelago alle porte dell’Argentina inizia nel 1690, l’anno del loro attraversamento da parte del capitano John Strong, un uomo di mondo inviato da Sua Maestà in ricognizione nei pressi del Capo di Buona Speranza dell’America meridionale: Capo Horn.
L’arcipelago era stato abitato nei tempi antichi da comunità della tribù Yámana, che in alcune isole avevano lasciato segni del loro passaggio, ma alla fine del Seicento risultava completamente disabitato. Condizione che avrebbe facilitato notevolmente sbarchi e stabilimenti di avamposti di, in quest’ordine, francesi, britannici e spagnoli.
Dei tre imperi europei in gara per l’egemonizzazione dell’arcipelago, Parigi – che, delegando ai maluini l’opera di colonizzazione, diede l’etimo alle isole –, Londra e Madrid, soltanto il britannico sarebbe stato volente e in grado di costruirvi degli insediamenti di natura permanente. Per una questione di lungimiranza: i consiglieri di Sua Maestà ne avevano intuito il potenziale geostrategico – un trampolino di lancio verso il Sudamerica a disgregazione dell’Impero spagnolo ultimata ed una base navale puntata su Capo Horn.
La lungimiranza di Londra avrebbe assunto la forma della colonia di Port Egmont, costruita fra il 1765 e il 1766, e di una crisi diplomatico-militare nel 1770 con Madrid, erede dell’insediamento coloniale francese di Port Louis – edificato nel 1764, trasferito agli spagnoli nel 1767 e da loro ribattezzato Puerto Soledad –, risoltasi con un accordo sul disaccordo: l’arcipelago come terra nullius, con gli spagnoli in un lato e coi britannici nell’altro.
La situazione di stallo sarebbe stata trasmessa agli argentini, una volta imploso l’impero latinoamericano della Spagna, e aggravata da eventi successivi, come la scoperta dell’Antartide e di giacimenti significativi di risorse naturali di primo livello, in particolare petrolio. Stallo che, nel 1982, avrebbe traghettato Buenos Aires e Londra alla guerra.
Buenos Aires e le Malvine
La storia argentina delle Malvine inizia nel 1820, anno dello sbarco in loco del capitano David Jewett e della piantatura della bandiera delle neonate Province Unite del Río de la Plata, entità statale precorritrice dell’Argentina, nel loro terreno.
Non Jewett, comunque, ma il veterano della guerra d’indipendenza Jorge Pacheco e un mercante tedesco di origine ugonotta rispondente al nome di Luis Vernet sarebbero stati i padri fondatori delle Malvine argentine. Su mandato del governo di Buenos Aires, nel corso degli anni Trenta, Pacheco e Vernet provarono a integrare l’arcipelago, ritenuto un lascito de jure degli spagnoli, nell’economia continentale. Col risultato di accattivarsi il supporto degli Stati Uniti, vittime dei raggiri del duo, e del Regno Unito, impaziente di avere una scusa per reclamare interamente per sé il controllo di un arcipelago sul quale aveva gettato lo sguardo quasi un secolo e mezzo prima.
A causa di problematiche di ordine e organizzazione interni e complice il deterioramento delle relazioni con Washington, risanate soltanto nel 1850, Buenos Aires avrebbe perduto di vista la questione Malvine fino al secondo dopoguerra. Pur continuando, per più di un secolo, ad inviare note di protesta all’indirizzo di Londra circa l’occupazione dell’arcipelago.
Nel 1982, un anno dopo il fallimento di una lunga serie di negoziati bilaterali patrocinati dalle Nazioni Unite, la dittatura argentina avrebbe provato a risolvere la questione manu militari, anche per distrarre l’opinione pubblica domestica dall’aggravamento delle condizioni economiche, dando il via alla guerra delle Falkland.
La guerra del 1982
Argentina, 1982. L’economia nazionale sta vivendo una devastante crisi, causata dall’applicazione di una terapia d’urto iperliberista ispirata alle politiche implementate nel vicino Cile dai Chicago Boys, mentre la polizia segreta e le forze armate faticano a contenere la sollevazione delle masse, arrabbiate per la repressione e stremate dalla povertà. La caduta, complice anche il deterioramento delle relazioni bilaterali con Washington, potrebbe essere dietro l’angolo.
La giunta, nella persona dell’ammiraglio Jorge Anaya, ha un’idea: capitalizzare l’odio dilagante volgendolo contro Londra, appropriandosi della questione sempreverde delle Malvine/Falkland, nella speranza-aspettativa di migliorare la propria immagine agli occhi dell’inferocita opinione pubblica. In assenza del panem, dare al popolo del circenses.
Gli scenari elaborati da Anaya sono due, entrambi ottimistici, e prevedono una vittoria di Buenos Aires: a tavolino, qualora Londra accolga l’invasione come un fait accompli, o ad occhi chiusi, qualora Londra reagisca inviando un piccolo dispositivo militare. Una risposta massiccia da parte di Londra non viene neanche contemplata da Anaya, che la ritiene irrealistica alla luce della storia britannica post-1945 – la fuga dall’India-Pakistan, la crisi di Suez e la decolonizzazione.
L’Impero britannico era una realtà morente, sul viale del tramonto, per la quale la perdita delle Malvine/Falkland avrebbe potuto rappresentare il colpo di grazia. Anaya aveva ragione sulla diagnosi dello stato di salute di Londra, ma aveva decisamente sopravvalutato le capacità belliche argentine, sottovalutato la volontà britannica di difendere un avamposto tanto geostrategico e ignorato il “fattore Guerra fredda”.
Alle prime luci del 2 aprile 1982, dopo aver intravisto nell’esclusione dei falklandesi dal British Nationality Act e nell’annunciato ritorno a casa della HMS Endurance le prove della validità delle tesi di Anaya, la giunta argentina dava l’ordine di occupare l’arcipelago. Una missione compiuta con successo dopo una breve ma intensa battaglia lunga un giorno.
Ventuno giorni dopo la cattura dell’arcipelago, il 21 aprile, le forze armate britanniche avrebbero dato torto al piano Anaya. Una coalizione internazionale, composta da membri NATO, paesi CE e Five Eyes, avrebbe contribuito in maniera determinante alla vittoria di Londra, fra sanzioni economiche, invio di armamenti, scambio di intelligence e operazioni coperte in chiave antiargentina sui mercati neri del globo, costruendo un asfissiante cordone sanitario attorno a Buenos Aires.
L’obiettivo della coalizione dei volenterosi per le Falkland era di ottenere la capitolazione dell’Argentina il prima possibile. Perché Unione Sovietica, Patto di Varsavia e un agglomerato di forze antioccidentali, dalla Cuba comunista alla Libia gheddafiana, stavano rapidamente gettando le basi per una contro-coalizione dei volenterosi, chi inviando armi e chi erogando intelligence.
Buenos Aires andava sottomessa prima che la contro-coalizione dei volenterosi in divenire prendesse forma concreta e strutturata. L’IMINT che i sovietici stavano girando agli argentini aveva già causato parecchi danni al prestigio della Marina reale britannica: l’affondamento della HMS Coventry e della HMS Sheffield.
L’aumento da parte di Londra della potenza di fuoco sulle difese argentine, accompagnata dalle ambigue manovre cilene alle porte della Patagonia – manovre pilotate di concerto coi britannici per instillare in Buenos Aires il timore che Augusto Pinochet volesse approfittare del conflitto per invadere l’Argentina occidentale –, avrebbe sortito l’effetto desiderato entro metà giugno, il 14, con l’atto di resa delle forze armate albicelesti e l’espulsione di ogni argentino dall’arcipelago.
1983-2023: 40 anni di pace di piombo
La breve ma intensa guerra sarebbe servita a Londra come un monito per il futuro: non dare segni di cedimento in rimasugli coloniali di cui non è in discussione l’abbandono. Il disimpegno, ritenuto uno dei motivi alla base dell’aggressione argentina, sarebbe sostituito da piani di investimento economico, di consolidamento militare e di integrazione nella remota metropoli. Nuovi avamposti. Più soldati. La concessione della cittadinanza, prima negata, ai falklandesi. Collegamenti aerei. Visite di delegazioni di alto livello – da Margaret Thatcher a Lady Ogilvy. E la definitiva inclusione dell’arcipelago nei Territori d’oltremare.
Argentina e Regno Unito avrebbero ripristinato le relazioni diplomatiche nel 1989, riavviando l’interscambio di prodotti militari quasi un decennio dopo, nel 1998, a dimostrazione della chiusura nel cassettone dei ricordi della guerra delle Falkland. Dando semaforo verde alla vendita di armi a Buenos Aires, invero, Londra comunicava di non avere ragione di temere un loro utilizzo improprio in futuro.
Pace di piombo. Il dialogo anglo-argentino è aumentato quanti-qualitativamente nel corso degli anni, sebbene vivendo di fasi altalenanti a causa dell’opposta interpretazione datagli dai due interlocutori. Un modo per migliorare le relazioni con il vinto – per Londra. Una via con sbocco l’apertura di un tavolo negoziale sul quale ridefinire la sovranità sull’arcipelago – per Buenos Aires.
La questione Malvine/Falkland è andata assumendo un’importanza crescente per l’Argentina a partire dall’era Kirchner. E ciò è accaduto più per moventi economici che per ragioni ideologiche – la scoperta di immense ricchezze nel sottosuolo malvinese, possibile contenitore di oltre cinque miliardi di barili di petrolio, in grado di incidere profondamente sull’economia dell’utilizzatore.
Gli investimenti di Buenos Aires in lobbismo hanno significato l’aumento dei paesi favorevoli ad una rinegoziazione dello statuto delle Malvine/Falkland, dal Sudamerica al Medio Oriente, ma le ricadute concrete sono state nulle. Le rivendicazioni territoriali presentate dall’Argentina in sede di Nazioni Unite non hanno prodotto risultati. E le compagnie britanniche hanno iniziato a estrarre petrolio dalle acque falklandesi.
Il crescendo di tensione, emblematizzato dal referendum sulla sovranità delle Malvine/Falkland del 2013 – stravinto dal fronte filobritannico e bollato come una farsa da Buenos Aires –, era stato congelato dal raggiungimento di un accordo sul disaccordo nel 2016, il patto Foradori-Duncan, inclusivo di clausole su cooperazione energetica e ittica rimaste su carta.
Nel 2023, dopo sette anni di (in)operatività, il patto Foradori-Duncan, che, comunque, non imponeva sui contraenti alcun vincolo, è stato sciolto dalla presidenza Fernández nel corso del Vertice dei Ministri degli Esteri del G20 di Nuova Delhi. Forse per mere ragioni elettorali. Forse in coordinamento con Pechino, di cui Buenos Aires sta diventando la protégé da amare e armare. O forse nell’aspettativa di coartare i britannici a scendere a patti con Buenos Aires, il cui risentimento per lo status quo post bellum, accentuato dalle estrazioni petrolifere e dai “furti di pesce” dei falklandesi, è stato così palesato. Certo è che, in ogni caso, la questione della Malvine/Falkland è tornata per restare.