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Storia /

Il Patto di Varsavia, formato tra gli Stati socialisti dell’Europa orientale nel 1955, era il contrappeso nominale dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (Nato) nel continente europeo.

A differenza dell’Alleanza, fondata nel 1949, il Patto di Varsavia non aveva una struttura organizzativa indipendente, ma funzionava come parte del Ministero della Difesa sovietico. In effetti, negli oltre trent’anni dalla sua fondazione, il Patto è servito come uno dei principali meccanismi dell’Unione Sovietica per mantenere i suoi alleati dell’Europa orientale sotto il suo controllo politico e militare. L’Urss ha utilizzato il Patto di Varsavia per erigere una facciata di decisioni e azioni collettive attorno alla realtà del suo dominio politico e dell’intervento militare negli affari interni dei suoi alleati, allo stesso tempo lo ha anche utilizzato per sviluppare eserciti socialisti nell’est europeo (e non solo) e sfruttarli per la sua strategia militare.

Il Patto non aveva un comando multilaterale o una struttura decisionale indipendente dall’esercito sovietico, al contrario del suo diretto avversario, la Nato, che risponde a un organismo decisionale collettivo. Dall’inizio degli anni ’60, l’Urss ha utilizzato il Patto di Varsavia per preparare le forze non sovietiche a prendere parte alle operazioni dell’esercito sovietico nel teatro di guerra europeo nella forma di Joint Armed Forces, ma comunque strettamente al comando di Mosca. In tempo di guerra, il comandante in capo e il capo di Stato maggiore del Patto avrebbero trasferito le proprie forze mobilitate e schierate al controllo operativo delle forze di terra sovietiche.

I Paesi dell’Europa orientale hanno svolto ruoli specifici nella strategia sovietica contro la Nato determinati sulla base delle loro particolari capacità militari. La Polonia, ad esempio, aveva la più grande e migliore forza aerea tra tutti i membri del Patto di Varsavia che l’Unione Sovietica avrebbe potuto impiegare in un conflitto in Europa. All’interno di questo organismo i rapporti di forza non erano gli stessi: Mosca, infatti, avrebbe affidato agli eserciti meno capaci, come quelli di Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria, compiti sostanzialmente difensivi al contrario di altri, come quelli di Polonia e Ddr (Repubblica Democratica Tedesca), che avrebbero coadiuvato l’Armata Rossa nella sua penetrazione nel cuore del continente europeo. In generale, tutti i Paesi dell’Europa orientale erano responsabili della sicurezza del proprio territorio, delle retrovie sovietiche e delle linee di comunicazione.

Il Patto nacque come meccanismo collettivo di autodifesa caratterizzato da non interferenza reciproca, tuttavia, tale assetto interno era chiaramente in contrasto con le esigenze dell’Urss di controllare i suoi satelliti europei. Pertanto, per aggirare questa falla, i sovietici si limitarono a ridefinire l’aggressione esterna in modo da includere qualsiasi rivolta antisovietica e anticomunista spontanea in uno Stato alleato. Postulando quindi come impossibili le rivolte interne spontanee, l’Unione Sovietica dichiarò che tali focolai erano il risultato di provocazioni imperialiste e quindi costituivano un’aggressione esterna. Questa particolare caratteristica ci porta direttamente all’unico intervento armato del Patto di Varsavia: la repressione della Primavera di Praga.

L’invasione della Cecoslovacchia

Tra il 20 e il 21 agosto 1968, l’Unione Sovietica insieme a forze di Bulgaria, Ungheria, e Polonia (la Repubblica Democratica Tedesca si limitò a dare supporto logistico), invase la Repubblica Socialista Cecoslovacca per fermare le riforme di liberalizzazione politica di Alexander Dubcek.

Cecoslovacchia, trentennale primavera di praga
Un giovane con la bandiera cecoslovacca in mano corre davanti a un carro armato sovietico in fiamme, incendiato dai praghesi nel centro di Praga il 21 agosto 1968, quando l’invasione guidata dai sovietici e dagli eserciti del Patto di Varsavia stroncò le riforme della cosiddetta Primavera di Praga nell’ex Cecoslovacchia

Alle 23 del 20 agosto, la Settima divisione paracadutisti dell’Armata Rossa, equipaggiata con cannoni semoventi leggeri tipo Asu-57, arrivò in volo all’aeroporto Ruzyne di Praga. Era cominciata l’operazione “Danubio”. Poco prima, con un volo speciale da Mosca, più di 100 agenti in borghese avevano rapidamente messo in sicurezza l’aeroporto, insieme a quello di Brno, e preparato la strada per l’imminente ponte aereo, in cui gli aerei da trasporto An-12 scaricarono le truppe aviotrasportate di occupazione, come nella migliore tradizione sovietica: lo stesso modus operandi si è ripetuto in Afghanistan poco più di dieci anni dopo, e, in piccolo, nel primo giorno di conflitto in Ucraina, quando i paracadutisti e le forze speciali russe hanno cercato di mettere in sicurezza l’aeroporto di Gostomel, non lontano da Kiev, per poter far affluire gli Il-76 col grosso delle truppe, ma questa è un’altra storia.

In quella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968 le prime unità di terra della 20esima Armata corazzata sovietica giunsero a Praga da nord. I primi carri armati T-55 arrivarono in via Vinohradska intorno alle 8:00 del 21 e trovarono le prime barricate: la popolazione locale, informata dalla radio fedele a Dubcek, si oppose alla repressione di Mosca e delle forze del Patto di Varsavia. I carri armati avevano simboli di identificazione diversi, romboidali e quadrati, dipinti vicino ai codici di unità sulle torrette. Qualcosa che si è rivisto anche nel recente conflitto in Ucraina.

Primavera di Praga
Abitanti di Praga ritratti in una foto del 21 agosto 1968, mentre circondano un carro armato sovietico in Piazza San Venceslao a Praga durante gli scontri tra i manifestanti e le truppe e i carri armati del Patto di Varsavia, che avevano invaso la Cecoslovacchia per schiacciare la ritrovata libertà e ristabilire un regime totalitario

La maggior parte delle forze d’invasione proveniva dall’Unione Sovietica e il secondo contingente più numeroso era quello dei polacchi, presenti con 28mila soldati della Seconda Armata del distretto militare della Slesia comandati dal generale Florian Siwicki, seguiti dagli ungheresi, le cui truppe vennero ritirate entro il 31 ottobre: complessivamente le forze non sovietiche ammontavano a circa 80mila uomini.

In totale per l’operazione Danubio furono mobilitati 480mila uomini (pari a 27 Divisioni), 6300 carri armati, 800 velivoli e 2mila pezzi di artiglieria. La Repubblica Ceca avrebbe potuto far intervenire il suo esercito composto da 200mila uomini (600mila mobilitabili in 2-3 giorni), più di 250 velivoli e un numero di carri e veicoli corazzati compreso tra 2500 e i 3mila (stimati), ma Dubcek ordinò di non opporre nessuna resistenza. Spontaneamente, però, rivolte scoppiarono a Praga e in altre città cecoslovacche che portarono alla morte di 108 civili (oltre 500 i feriti), e di 96 soldati sovietici, insieme a 10 polacchi, 4 ungheresi e 2 bulgari.

L’operazione, dal punto di vista tattico, fu un pieno successo proprio perché l’esercito cecoslovacco non intervenne direttamente ma si limitò, sporadicamente, a sostenere i civili: Dubcek fu arrestato e portato a Mosca già la mattina del 21 agosto insieme a molti dei suoi colleghi, per poi fare ritorno a Praga il 27 a fronte della situazione progressivamente sempre più instabile onde evitare ulteriori spargimenti di sangue; le forze del Patto di Varsavia invasero rapidamente il Paese e presero il controllo delle principali città e aeroporti. “Danubio” è stata un’operazione ben pianificata ed eseguita, e con poco spargimento di sangue la Cecoslovacchia era stata “messa in sicurezza”.

L’epilogo lo conosciamo: nonostante la presenza di truppe sovietiche e l’instaurazione di un regime dalla linea dura a Praga, i semi della rovina dell’impero sovietico erano stati gettati. Si era formato un gruppo di leader che avrebbero portato avanti lo spirito di indipendenza per vent’anni, sino alle “Rivoluzioni di Velluto” che sancirono la fine della Cortina di Ferro e portarono con sé la dissoluzione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia.

Il Patto di Varsavia come proxy dell’Urss

Con l’Europa orientale in una fase relativamente quiescente, l’Unione Sovietica iniziò a costruire un sistema di alleanze informali nel Terzo Mondo negli anni ’70. In questa impresa Mosca sfruttò i suoi alleati del Patto di Varsavia come delegati per “rafforzare il ruolo del socialismo negli affari mondiali”, cioè per sostenere gli interessi sovietici in Medio Oriente e in Africa.

Scopri il dossier di InsideOver sul Patto di Varsavia

Dalla fine degli anni ’70, i paesi del Patto sono stati attivi principalmente in Angola, Congo, Etiopia, Libia, Mozambico, Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (Yemen del Sud) e Siria. L’Unione Sovietica ha impiegato i suoi alleati del Patto di Varsavia come veri e propri proxy principalmente perché le loro attività avrebbero ridotto al minimo la necessità di un coinvolgimento sovietico diretto, e ovviato a possibili critiche internazionali alle azioni di Mosca nel Terzo Mondo, secondo il ben noto principio della “negazione plausibile”.

Così in quel decennio, i Paesi del Patto di Varsavia si adoperarono nel firmare trattati di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca con la maggior parte degli alleati dell’Urss nel Terzo Mondo. Ispirati dalla “divisione socialista del lavoro”, si specializzarono nella fornitura di determinati aspetti dell’assistenza militare o economica, con la prima al centro dell’agenda di politica estera: negli anni ’70 e ’80, Bulgaria, Cecoslovacchia e Germania dell’Est sono stati i principali delegati dell’Urss per i trasferimenti di armi al Terzo Mondo.

Il procedimento ricorda quello statunitense: si fornivano attrezzature, pezzi di ricambio e personale per l’addestramento (i “consiglieri militari” che molto probabilmente parteciparono attivamente ai combattimenti) e oggi sappiamo che in questo modo l’Unione Sovietica ha potuto fornire armi alla Repubblica Democratica del Vietnam (Vietnam del Nord) all’inizio degli anni ’70, alle forze filosovietiche nella guerra civile angolana del 1975 e in Nicaragua negli anni ’80.

Mosca, in particolare, faceva affidamento sui consiglieri della Germania Orientale per istituire milizie armate, forze di polizia paramilitari e organizzazioni di sicurezza interna e di intelligence per alleati selezionati del Terzo Mondo. I sovietici consideravano questo compito particolarmente importante perché un apparato di sicurezza efficiente sarebbe stato essenziale per sopprimere le forze di opposizione e mantenere un regime amico al potere. Si ritiene che Ungheria e Polonia abbiano deciso di concentrarsi solo sul sostegno economico/commerciale forse perché più preoccupate dall’ambito europeo.

Scioglimento Patto di Varsavia
Il presidente Iliescu (Romania), il vicepresidente dell’Unione Sovietica Yannayev, i presidenti Havel (Cecoslovacchia), Walesa (Polonia), Zhelev (Bulgaria) e Antall (Ungheria) ritratti a Praga tra altre personalita’ il primo luglio 1991 in occasione della firma dello scioglimento del Patto di Varsavia

Il Patto di Varsavia fu sciolto ufficialmente il primo luglio del 1991, ma al tempo delle rivoluzioni in Europa orientale (1989) aveva già cessato di svolgere le sue funzioni di controllo dei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica: Mosca non aveva più la forza politica di poter reprimere l’onda lunga della Primavera di Praga, diffusasi nel suo estero vicino europeo.

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