Il terremoto del 6 febbraio 2023 che ha devastato la Turchia meridionale e la Siria ha una città-martire in particolare, Gaziantep. Città che dalle immagini diffuse nelle prime ore dopo il sisma appare quasi completamente rasa al suolo e in cui è ridotto in macerie anche l’antico castello simbolo di Gaziantep e della Turchia contemporanea. La cui nascita passa anche dall’antica Antep, che fu nel 1921 per settimane teatro dell’assedio francese durante la guerra scatenata da Mustafa Kemal Ataturk contro le potenze occidentali sbarcate in Anatolia in seguito alla Grande Guerra.
L’antica Antep ricevette nel febbraio 1921 il titolo di Gazi (“guerriero vittorioso” in turco) dopo che la capitolazione della guarnigione avvenne di fronte a forze francesi soverchianti. Oltre 6mila civili della città morirono in una battaglia che segnalò quanto la tenacia turca fosse evidente in quella che Ataturk viveva come una vera e propria guerra di indipendenza.
Proprio il castello di Gaziantep, in cui parte degli ultimi resistenti turchi si provarono a arroccare, era sede del Museo della difesa e del panorama eroico in cui si è costruita la storia della narrazione nazionale turca. Oggi sublimata, a un secolo dalla nascita della Repubblica di Turchia, nel dualismo tra Ataturk e il nazionalismo laico da un lato e il presidente Recep Tayyip Erdogan e il neo-ottomanesimo dall’altro.

Gaziantep, erede dell’antica Doliche in una zona contesa fin dall’epoca di Ittiti e Assiri tra i grandi imperi del Medio Oriente, situata al confine con la Siria vicino alla parte terminale dell’Eufrate, è città che ha riassunto nella sua storia il ruolo di crocevia per l’Anatolia e la Turchia dai tempi in cui questa zona era l’Asia Minore fino alla transizione tra Impero Ottomano e Turchia. Il suo castello fu struttura di osservazione romana tra II e III secolo prima e roccaforte di Giustiniano, artefice bizantino della renovatio imperii, poi. Doliche cadde in mano agli Arabi nel 637, segnando l’inizio dello sdoganamento dell’Islam in Anatolia e, rinominata Antep, fu conquistata dai Turchi selgiuchidi nel 1071 dopo la vittoria contro i bizantini a Manzicerta. Fu dunque la prima città turca dell’odierna Turchia, ma anche la prima, pochi decenni dopo, caduta nel mirino dei Crociati.
Soprattutto, dopo la conquista ottomana nel 1516 Antep fu un tutt’uno con Aleppo, altra città martire del terremoto, in una sinergia commerciale, culturale e umana interrotta solo dalla Grande Guerra, quattro secoli dopo. Una comunità viva e coesa il cui ricordo ha mosso, dodici anni fa, gli appetiti di Erdogan per l’egemonia nel Paese travolto dalla guerra civile che confinava con la Repubblica della Mezzaluna.
Il passaggio da Antep a “Antep la Valorosa” è, come detto, parte del mito nazionale turco. Tutte queste storie impetuose si sono svolte all’ombra del castello simbolo della città e oggi andato in macerie assieme a un pezzo importante della storia turca. Da ultimo, Gaziantep è stata interessata dalla problematica autostrada della Jihad attraverso cui la Turchia mandava combattenti ai ribelli siriani e in cui si inserirono molte reclute giunte dall’Europa per unirsi all’Isis. E nel 2016 fu teatro di un durissimo attentato suicida dell’Isis contro la comunità curda, che causò 51 morti.
Oggi la natura, leopardiana “matrigna” inclemente, unisce oltre i confini Gaziantep e Aleppo, la Turchia e la Siria, l’estrema propaggine dell’antica Mezzaluna Fertile nel nome della tragedia. E la città-crocevia si trova a essere martire. Vittima della violenza del sisma che impatta su una regione già piagata dalla storia recente, fatta di violenza e conflitti. A cui ora si aggiunge la tragedia livellatrice, in ogni senso, del più grande terremoto del secolo che ha colpito l’Anatolia. E mentre la conta dei morti è ancora da aggiornare, il danno culturale e simbolico appare già in tutta la sua gravità.