“L’ho licenziato perché non rispettava l’autorità del presidente. Non perché fosse uno stupido figlio di p****a. Effettivamente lo era, ma questo non va contro la legge per i generali, altrimenti da metà a tre quarti di loro sarebbe in prigione”. L’11 aprile del 1951, Harry Truman rimosse Douglas MacArthur dal comando delle forze Onu impegnate nella Guerra di Corea.

Nel 1973, e cioè 22 anni dopo i fatti, la rivista Time riportò la frase che avrebbe pronunciato l’allora presidente degli Stati Uniti per giustificare l’allontanamento del pluridecorato militare Usa. Non sappiamo se quelle parole uscirono mai dalla bocca di Truman. Sappiamo però che l’inquilino della Casa Bianca, temendo che il conflitto contro la Corea del Nord si trasformasse in un’apocalisse nucleare, preferì affidare il dossier coreano a Matthew Ridgway, un generale meno arrogante e presuntuoso del suo predecessore.

Pare che MacArthur si trovasse a Tokyo insieme a sua moglie Jean quando ricevette la notizia del suo licenziamento. La coppia stava partecipando ad un pranzo presso l’ambasciata statunitense in Giappone, insieme al senatore Warren Magnuson e al vicepresidente esecutivo della Northwest Airlines, William Stern, quando Sidney Huff, assistente personale di MacArthur, apprese la notizia da un notiziario radiofonico. Decise di comunicarlo in un primo momento soltanto alla moglie, mentre l’avviso ufficiale sarebbe arrivato mezz’ora più tardi.

Douglas MacArthur era uno dei volti più noti dell’esercito americano. Colonnello durante la Prima Guerra Mondiale, capo di Stato Maggiore delle forze Usa dal 1935 al 1941, consigliere militare del governo filippino, capo del comando Usa dell’Estremo Oriente, comandante supremo delle forze alleate in Giappone, con tanto di poteri assoluti di controllo sulle istituzioni nipponiche, imperatore Hirohito compreso: il curriculum di questo generale era ricco di prestigiosi riconoscimenti e la mossa di Truman innescò una mezza tempesta politica.

La Guerra in Corea e le scintille con la Casa Bianca

Nel 1950, nella penisola coreana la situazione era tesissima. Il 38esimo parallelo, e cioè la linea di demarcazione tra Corea del Nord e Corea del Sud, concordata da Usa e Unione Sovietica nel 1945 per impedire incidenti durante eventuali combattimenti contro i reparti giapponesi – coloni ormai prossimi alla capitolazione – si rivelò un argine fragilissimo.

Dopo vari incidenti, accadde l’irreparabile. Il 23 e il 24 giugno del 1950 le truppe del Sud bombardarono le linee del Nord e occuparono la città di Haeju. Il 25 giugno i nordcoreani passarono al contrattacco. Migliaia di soldati, all’alba, entrarono in Corea del Sud. Era appena scoppiata la Guerra di Corea e l’Organizzazione delle Nazioni Unite, affidandosi alla risoluzione 82, chiese agli Usa di nominare qualcuno che potesse guidare le loro forze militari. Truman e il Joint Chiefs of Staff pensarono a Douglas MacArthur.

Il generale, esperto degli scenari asiatici, aveva assicurato che il conflitto si sarebbe concluso, positivamente, nel breve periodo. In un primo momento, in effetti, lo “Shogun dagli occhi azzurri” – come era stato soprannominato lo stesso MacArthur – respinse l’offensiva nordcoreana oltre il 38esimo parallelo. Le forze Onu continuarono tuttavia a spingere indietro gli avversari, fino ad arrivare quasi al confine cinese. La convinzione di fondo degli statunitensi era che Pechino non avrebbe mai partecipato alla guerra. Accadde però che Mao Zedong fece intervenire le sue divisioni, che respinsero i nemici a sud. Molto a sud, al di sotto della futura linea di demarcazione intercoreana.

Trascorsero così anni di scontri violentissimi. Nel frattempo, MacArthur era entrato in collisione con l’amministrazione Usa. Il generale, vedendo che la situazione sul campo era molto lontana da quella immaginata, voleva utilizzare le armi nucleari. Va da sé, anche contro la Cina, nell’intenzione di risolvere del tutto il problema coreano alla radice, radendo al suolo il principale sostenitore di Pyongyang. Truman non aveva però alcuna intenzione di avallare simili richieste. E non solo perché gli Stati Uniti avevano sganciato ben due bombe nucleari soltanto pochi anni prima, a Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, scatenando un inferno di fuoco e radiazioni, e uccidendo migliaia e migliaia di innocenti. L’allora presidente Usa voleva infatti che la guerra coreana rimanesse confinata nella penisola, onde evitare un coinvolgimento mondiale di Cina, Urss e chissà quanti altri Paesi.

Il piano nucleare

McArthur, al contrario di Truman, era troppo ambizioso per ragionare sul lungo periodo. Il generale voleva semplicemente ottenere un risultato concreto, che coincideva con l’intenzione di chiudere la partita il più in fretta possibile, limitando al minimo le perdite di ulteriori soldati statunitensi. Tutto questo, nelle intenzioni del capo delle forze Onu in Corea, poteva essere conseguito attuando una sorta di “piano nucleare“.

Qui i contorni storici della vicenda sono sfumati, tra indiscrezioni e voci di corridoio amplificate. C’è chi sostiene che MacArthur avesse proposto un uso massiccio di bombe atomiche, addirittura una cinquantina, da riversare sulla Corea del Nord, in modo tale da renderla inabitabile per molti decenni, e sulla Cina, colpendo alcune tra le principali città del Dragone. In questo modo, pensava il generale, il conflitto sarebbe terminato nell’arco di una decina di giorni. Non di più.

Truman aveva però espressamente proibito di bombardare la Cina, e l’intraprendenza di MacArthur stava iniziando a stancarlo. Anche perché, non solo MacArthur pensava di impiegare l’atomica contro la Cina comunista, ma anche, per realizzare il piano, di far leva sui nazionalisti cinesi del Kuomintang a Taiwan. Sul terreno c’erano insomma due obiettivi contrapposti: Truman intendeva bloccare l’avanzata dei comunisti in Corea del Sud, mentre MacArthur auspicava di sfruttare l’occasione per liberare la penisola coreana e, se possibile, fare piazza pulita dei comunisti in Asia.

Bombe su Pechino

Nelle sue memorie del 1956, Truman scrisse un passaggio emblematico: “Se c’è un elemento fondamentale nella nostra Costituzione, è il controllo civile sui militari. Le politiche devono essere fatte dai funzionari politici eletti, non da generali o ammiragli”.

In ogni caso, MacArthur non era l’unico alto funzionario militare o politico statunitense che aveva accarezzato l’idea di sferrare un attacco nucleare contro la Cina. Sembra infatti che il Joint Chiefs of Staff avesse approvato la sua richiesta, anche se per il dispiegamento effettivo delle armi nucleari serviva comunque l’ordine di Truman, che non sarebbe mai arrivato.

Si dice che il generale avesse presentato un elenco di obiettivi, che una volta colpiti avrebbero creato una “terra di nessuno” radioattiva da considerare come cuscinetto d’emergenza per tenere distante quel che sarebbe rimasto della minaccia comunista cinese e l’ombra sovietica. Questa opzione sarebbe stata particolarmente dibattuta in seno all’amministrazione Truman, tanto che avrebbe avuto il sostegno di figure di spicco come il generale Curtiss LeMay e il direttore della pianificazione politica Paul Nitze. Fino al 1951 anche lo stesso Truman, pur pubblicamente contrario al nucleare, avrebbe esplorato diverse possibilità del suo utilizzo per vincere la guerra, mentre il successore, Dwight Eisenhower, arrivò a minacciare i cinesi di ricorrere alle armi nucleari a meno che non accettassero l’armistizio per porre fine alla Guerra di Corea.

In seguito, durante un’inchiesta del Senato Usa avviata dopo il suo licenziamento, MacArthur negò di aver mai raccomandato l’uso di armi nucleari contro la Cina. In realtà, ci sono prove certe che il generale abbia chiesto il trasferimento delle suddette armi al suo comando e discusso la possibilità del loro utilizzo. Semmai, è l’idea di un MacArthur assetato di sangue e desideroso di bombardare le più grandi città cinesi ad essere probabilmente un’esagerazione della storia.

Fatto sta che, una volta licenziato, il generalissimo statunitense rientrò in patria. Fu accolto come un eroe. “I vecchi soldati non muoiono mai. Semplicemente svaniscono”, affermò davanti al Congresso Usa.

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