Quattro, otto, sei, o meglio quattrocentottantasei, questo è il numero dei colpi di stato, riusciti e tentati, che, secondo una ricerca congiunta dell’Università della Florida centrale e dell’Università del Kentucky, sono stati compiuti nel mondo fra il 1950 e il 2022.
Quattrocentottantasei congiure di palazzo in settantadue anni equivale a dire sette l’anno, ogni anno, dal 1950. Africa e Latinoamerica le aree più colpite: aggregatori di due terzi di tutti i golpe, riusciti e falliti, rilevati dagli studiosi della Florida centrale e del Kentucky. Europa e America settentrionale le aree meno a rischio. Quadro realistico, ma incompleto, perché il golpe, come il Diavolo, è nascosto nei dettagli.
Non sono 486 i colpi di stato avvenuti nel pianeta dal 1950 a oggi, e non perché nel conteggio dell’indagine delle due università manchino parte dell’anno 2022 e l’intero 2023. Non lo sono perché il golpe, lungi dall’avere le forme di un cesaricidio o di una deposizione manu militari, è un’opera molto più fumosa, evanescente e sfuggevole. Il golpe è, a volte, invisibile agli occhi.
Di golpe in golpe
La storia si ripete sempre due volte: la prima come golpe, la seconda pure. Perché i colpi di stato, destituzioni che sono il frutto di intrighi orditi da sottoposti invidiosi o da re stranieri, spesso dai primi in combutta coi secondi, sono il motore della storia.
Il putsch è con l’uomo dalla notte dei tempi, da quando Iblīs si ribellò alla volontà di Allāh mettendosi a capo di una sedizione destinata a incidere sul destino degli uomini. A partire da quel momento, che è andato perduto nel tempo immemore, lo spodestamento è la spada di Damocle che pende sul capo di ogni sovrano.
Imperi e imperatori sono stati abbattuti dai colpi di stato fin dall’antichità, come ricorda la detronizzazione del duca Hú di Qi nel lontano 860 avanti Cristo, ma il Novecento è stato sicuramente il loro secolo. Si è aperto nel 1900 col violento colpo di maggio in Serbia e si è concluso, la sera del 31 dicembre 1999, col golpe morbido dello stato profondo russo ai danni di Boris Eltsin.
Scrivere del putsch dei siloviki dell’ultimo capodanno del Novecento è il modo migliore per capire dove abbiano sbagliato i ricercatori della Florida centrale e del Kentucky: oltre ai golpe neri, consumati dalle forze armate, e ai golpe istituzionali, compiuti dall’opposizione o da elementi del governo, esistono e vengono attuati con una certa frequenza i golpe bianchi.
Il colpo di stato bianco è indolore e viene venduto all’opinione pubblica, nonché alle istituzioni, come un cambio in cabina di regia dettato da esigenze emergenziali, quali possono essere una guerra civile, una crisi economica o un grave scandalo, e che sarebbe avvenuto per proteggere l’integrità delle istituzioni e della costituzione.
I golpe bianchi, esito delle trame di magistratura, poteri finanziari e/o servizi segreti, quasi mai vengono conteggiati nei registri dei colpi di stato e trattati come tali dagli storici. Golpe bianco è stato Russia 1999. Golpe bianco è stato Italia 2011. E di golpe bianchi, di cui la storia recente è piena, non v’è ombra nella mastodontica ricerca delle università del Kentucky e della Florida centrale.
Cui golpest?
Il Novecento è stato il secolo breve ma intenso che, tra guerre mondiali e competizioni coloniali, non ha dato tregua all’umanità. Tanti sono stati i putsch nel corso del ventesimo secolo che, secondo CoupCast, la probabilità che un anno qualsiasi terminasse con almeno un episodio golpistico registrato da qualche parte nel mondo era del 99% – nel 2018, a titolo esemplificativo, corrispondeva all’88%.
I colpi di stato sono la cifra distintiva delle epoche attraversate da colossali smottamenti geopolitici. Perciò non deve sorprendere che l’aggravamento della competizione tra grandi potenze, scatenata dai conti in sospeso della Guerra fredda, stia venendo accompagnato dal ritorno in auge dei golpe.
Oggi come ieri, nel Duemila come nel Novecento, magistrati, militari, operatori finanziari, politici e securocrati non sono che i meri esecutori di messinscene scritte da registi-sceneggiatori corrispondenti a grandi potenze e corporazioni multinazionali.
Stati Uniti, Unione Sovietica e, per un breve periodo, la Germania nazista, sono stati i burattinai principali del Novecento. I finanziatori di rovesciamenti intrisi di ideologia, ma nell’intimo pianificati per ragioni essenzialmente pragmatiche, che non hanno risparmiato nessuna parte del globo.
La tendenza al putsch di Washington affonda le origini nella dottrina Monroe, avendo inizialmente come focus le terre latinoamericane, ed è stata la causa primaria dell’instabilità sociopolitica che ha caratterizzato a lungo la parte centromeridionale dell’emisfero occidentale. Tra il 1898 e il 1994, secondo uno studio targato Harvard, gli Stati Uniti sarebbero stati dietro almeno quarantuno interventi a scopo cambio di regime nel loro estero vicino.
Berlino, durante la parentesi hitleriana, esportò l’idea nazista in tutto il mondo, rivelandosi un propagatore di destabilizzazione di primo livello. Golpe dai caratteri nazisti furono compiuti, o tentati, dal Cile al Sudafrica.
Mosca, a partire dall’era staliniana e per l’intera durata della Guerra fredda, finanziò colpi di stato nel Terzo mondo e sovvenzionò gli anni di piombo nel Primo nel contesto dello scontro per l’egemonia globale con gli Stati Uniti. Rispetto alla rivale Washington, però, Mosca avrebbe sofferto e infine perso a causa di un grave deficit: l’assenza di partner ai quali esternalizzare, in parte o in tutto, guerre civili, cesaricidi e congiure di palazzo. Partner come le corporazioni multinazionali, lo storico asso nella manica di Washington, come rammentato dai casi delle guerre delle banane, l’operazione PBSUCCESS e il rovesciamento di Salvador Allende.
Oggi è ieri
La competizione tra grandi potenze ha riportato le lancette dell’orologio indietro di alcuni decenni, a un’età che ricorda un po’ il primo preguerra e un po’ l’alba della Guerra fredda, causando il ritorno in scena del golpismo.
A partire dal 2018, l’unico anno del Duemila terminato senza golpe, i rovesciamenti hanno ripreso gradualmente piede. E nessun continente, come ai tempi della Guerra fredda, è completamente al sicuro: lo dimostrano i periodici allarmi putsch in Moldavia, l’emergere della coup belt nell’Africa sahariana e il fermento in Latinoamerica.
Nuovi e vecchi attori sono dietro le destituzioni, bianche e nere, che stanno colpendo le terre emerse. Vecchi come gli Stati Uniti, impegnati nella difesa dello scricchiolante unipolarismo – da Bolivia ’19 a Pakistan ’22 –, e la Francia, alle prese col declino della Françafrique – Gabon ’23. Nuovi come la Cina, la regista di Myanmar ’21, e la Russia, l’artefice della coup belt. Le ragioni son le stesse di sempre: la partecipazione al grande risiko globale.