L’indipendenza congolese ricorda un cortocircuito. Un guasto allâapparenza banale, risolvibile, aggiustabile, ma se lâelettricista è un incapace o un idiota il piccolo incidente domestico può trasformarsi in un incendio. Se poi i pompieri tardano ad arrivare o si rivelano a loro volta degli incendiari, non vi è speranza. Insomma, spiegare un cortocircuito, talvolta, non è cosa semplice. Soprattutto quando non si tratta dâelettricitĂ , di fili, contatori, contatti e altri stupidi e banali aggeggi. Soprattutto quando si tratta di donne e uomini, di popoli e nazioni. Di denaro e sangue. Tanto denaro, troppo sangue. Questo fu il destino del defunto Congo belga.
Agli occhi di molti osservatori lâultimo decennio del sogno di Leopoldo ancor oggi rimane un enigma. Il tracollo improvviso del sistema coloniale – un regime chiuso, occhiuto ma, apparentemente, solido – sorprese e sgomentò. In quel lontano 1960, nellâarco di pochi mesi, âlâimpero del silenzioâ (per molti) o la colonie modèle (per pochi) implose rovinosamente. Vergognosamente. Le ragioni, ancora una volta, sono complesse e vanno ricercate non tra Matadi e il Katanga, ma nei palazzi di Bruxelles.
La questione congolese fu in primis una crisi interna al potere metropolitano. Agli inizi degli anni Cinquanta ai segmenti piĂš avvertiti dei circoli politici e finanziari belgi lâinadeguatezza del sistema coloniale, perennemente incardinato sulla Charte coloniale, divenne evidente. Ma non solo. Inevitabilmente, anche a Bruxelles sâiniziò a ragionare sulla fine del Raj britannico nel subcontinente indiano, sulla ritirata olandese in Indonesia e le tragedie della Francia in Indocina e in Africa settentrionale. Poi Suez e il Marocco. Un susseguirsi di sconfitte, tradimenti, disfatte.
Ovunque i fortini del colonialismo franavano sotto i colpi dâariete dei movimenti nazionalisti. Unâoffensiva potente – alimentata dalle incrociate pressioni statunitensi e sovietiche, legittimata dagli intrighi dellâOnu e protetta dalle velleitĂ dei Paesi ânon allineatiâ – costringeva le grandi e piccole potenze europee ad ammainare le bandiere. Il tempo dellâimperialismo europeo stava finendo.
Per quanto il Congo sembrasse tranquillo e pacifico, i settori governativi meno ottusi ritennero urgente creare degli ascensori sociali per formare un primo abbozzo di borghesia locale da cui estrarre, in un non precisato futuro, un personale amministrativo e politico congolese adeguato. Da qui, trasferendo allâEquatore la polemica tutta belga tra lâinsegnamento laico contro quello confessionale, lâapertura repentina di scuole superiori e di due universitĂ – una cattolica a LĂŠopoldville e lâaltra laica ad Elisabethville -. Inoltre fu riconosciuto, come ricorda Bernard Droz, “il diritto sindacale e fu istituito un Fondo per il benessere indigeno, riorganizzata lâamministrazione tramite una riforma comunale. Sostenuta da unâeccezionale crescita economica, almeno fino al 1956, la piccola borghesia nera continuò a svilupparsi e il rapido processo dellâistruzione collocava il tasso di scolarizzazione del Congo Belga tra i primi in Africa”.
Nel 1955 la visita di re Baldovino, un successo pieno. Nel suo primo viaggio africano, il giovane monarca annunciò dinnanzi a moltitudini festanti la progressiva attuazione di una comunitĂ belgo-congolese, unâunione in seno alla quale le responsabilitĂ di governo sarebbero state suddivise tra bianchi e neri soltanto “in base alle qualitĂ e capacitĂ ”.
Baldovino fu sincero. La Casa Reale esperĂŹ, sino al limite estremo delle sue possibilitĂ , una politica africana autonoma – e spesso conflittuale – dal potere politico nazionale. Per motivi di prestigio e solidi interessi. Ma non solo. Negli anni, lâocchialuto erede dei Saxe Cobourg Gotha dimostrò una visione politica piĂš lucida e profonda dei suoi ministri. Dopo aver invano tentato di trasformare il Congo in un vicereame da affidare al padre, lâex re Leopoldo, Baldovino cercò dâavviare un processo dâemancipazione âdolceâ tramite uomini di sua fiducia – ben piĂš solidi dei messi governativi – e quando la situazione iniziò a traballare chiese, senza successo, un intervento militare.
Al suo ritorno in patria nel â55, il sovrano diede nuovo impulso alla creazione della âcomunitĂ belgo-congoleseâ e appoggiò, con reale discrezione e lâappoggio dei centri finanziari e parte del mondo politico, il fatidico Plan de trente ans pour lâĂŠmancipation de lâAfrique belge del professor Jef van Bilsen, pubblicato sulla rivista ufficiale del Mouvement Ouvrier ChrĂŠtien, il braccio sindacale del partito cattolico. Convinto che “lâemancipazione è ineluttabile e non è necessariamente catastrofica: al contrario, può costituire una fonte di reciproco arricchimento spirituale e materiale. SarĂ dolorosa soltanto se ci lasceremo sorprendere e sommergere dagli eventi”, il docente fiammingo proponeva un percorso trentennale e condiviso verso lâindipendenza della regione. Il piano – molto moderato e gradualistico – scatenò furibonde polemiche in patria e in colonia. Sorprendentemente, accanto alle scontate resistenze dei circoli coloniali, ad opporsi ed a indignarsi per le âstravaganzeâ di van Bilsen, furono gli ambienti progressisti. Il liberale Auguste Buisseret, ministro delle colonie, liquidò lâautore come “uno di quei strateghi irresponsabili che fissano delle date, dimostrando di non sapere niente e di non capire niente dellâAfrica”. Del resto, in quegli stessi anni il socialista François Mitterrand e il Pcf erano ancora convinti partigiani dellâAlgeria francese…
Nel frattempo, pressato dalle critiche dellâOnu e dalle insistenze di Baldovino, il nuovo governo brussellese – una stramba coalizione liberal-socialista che, per la prima volta nella storia belga, pose i cattolici allâopposizione – approvò lâintroduzione in colonia di limitate forme di democrazia rappresentativa. Il 26 marzo 1957 un decreto reale autorizzò la riorganizzazione dei poteri urbani nelle tre principali cittĂ congolesi, introducendo i consigli municipali elettivi (con urne, seggi e rappresentanze distinti tra bianchi e neri) e aprendo – riprendendo un dimenticato progetto del 1943 – le fila dellâamministrazione ai nativi. Furono provvedimenti importanti ma tardivi che rivelarono lâimbarazzo e, soprattutto, la debolezza del potere coloniale. Non a caso, il nascente movimento nazionalista congolese accolse con inattesa freddezza le concessioni e iniziò – confusamente ma con determinazione – ad organizzarsi. Il preludio del grande incendio.