Fin dall’epilogo ormai scritto del Secondo confitto mondiale, l’intelligence americana, che allora si siglava OSS (Office of Strategic Services) e avrebbe preso a breve il nome di CIA, si prefisse l’obiettivo di arginare, contrastare e se possibile sabotare il vecchio alleato sovietico fino a provocare la completa dissoluzione di quello che è stato l’impero di Mosca.

Al centro di questo piano era l’Ucraina. Stato immenso e ricco di risorse, da destabilizzare attraverso una serie di “operazione nere” o black ops, se si preferisce la consuetudine anglofona, che sono state lanciata fin dal 1949 e avrebbero potuto raggiungere il loro culmine nell’intensificarsi della Guerra Fredda. Questo almeno secondo quanto suggerirebbero documenti e informazioni diligentemente raccolte e accumulate dall’agenzia fin dai primi anni ’50. Desecretati, potrebbe essere solo un caso, nel 2014. Mentre s’infiammavano gli scontri di piazza Maidan, e assistevamo in differita al rovesciamento del governo di Kiev.

Un “obiettivo” ben radicato

Non è un segreto come Londra e Washington temessero – per quanto ne avessero necessariamente bisogno – il grande Orso russo e l’inesauribile scorta di uomini votati alla gloria dell’Armata Rossa. Trentaquattro milioni di soldati da abbattere contro il Nazismo che aveva piegato l’Europa. Come riportato giustamente da Andrea Gaini nell’articolo dedicato al dossier della CIA datato agosto 1957 (“I fattori di resistenza e le aree di operazioni delle forze speciali in Ucraina – 1957”), è “interessante notare che in risposta all’Operazione Barbarossa lo stesso Harry Truman, senatore nel 1941, a dichiarare che “se vedessimo la Germania vincere dovremmo supportare la Russia ma se fosse la Russia prossima alla vittoria dovremmo aiutare la Germania e in questo modo lasciare che ne uccidano il maggior numero possibile”. 

Già alla fine del 1949, infatti, quelli che vengono riportati da Politico come “una serie di voli non contrassegnati” iniziarono a decollare da Cipro, dalla Germania dell’Ovest e dalla Turchia, per attraversare il Mar Nero e volare furtivamente in Ucraina. Erano i B-29 totalmente dipinti di interamente di nero e privati di qualsiasi insegna di riconoscimento, affidati a speciali reparti anglo-americani e operati dal “il 580°, il 581° e il 582° nucleo dell’Air Resupply and Communication Squadron e del Psycological Storm Wing”, che volando ad bassissima quota per mano ceca o polacca, eludevano i radar per lanciare su Leopoli dei i temerari commando che si sarebbero uniti ai partigiani dell’UPA, l’Esercito Insurrezionale Ucraino.

La loro missione una volta toccata terra con i loro paracadute era unirsi supportare la resistenza minando “dall’interno” il regime sovietico ed esportando oltre cortina le tattiche già sperimentate nella Francia occupata dai nazisti. Era una delle prime operazioni clandestine della neonata CIA nel preludio di quella che sarebbe diventata nota come Guerra Fredda. 

Solo una di tante

Tutte le azioni che seguirono l’Operazione Red Sox mirarono all’indebolimento dall’interno nel blocco sovietico, seguendo la tattica – brevettata in Medio Oriente nelle due guerre mondiali, e da allora mai abbandonata fino ai mujaheddin in Afghanistan – di istigare o alimentare la “rivolta”. Puntando quello che doveva essere un “ampio sostegno che veniva localizzato in “diverse aree della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina”; e confidando nello spirito nazionalista di diverse compagini o movimenti che stavano nascendo in Ucraina, Bielorussia, Polonia e nei Paesi baltici.

Dei moderni Lawrence d’Arabia della CIA dunque. Enumerabili secondo i documenti desecretati in almeno 85 operatori (solo in Ucraina), che nel corso degli anni avrebbero raccolto non solo preziose informazioni d’intelligence da recapitare al Pentagono, ma avrebbero supportato la sanguinosa “insurrezione dell’Ucraina” che da fulcro dell’operazione finì per essere considerata dagli storici come uno dei “fallimenti più evidenti” della CIA nell’intero teatro della Guerra Fredda. Di questi 85 coraggiosi infatti pochi sopravvissero all’arrivo a terra in un Paese controllato dai sovietici. Si ritiene che almeno in terzo di loro sia stato catturato, torturato e giustiziato, o immediatamente ucciso. E si scoprirà in seguito che in realtà secondarie come Lettonia, Lituania ed Estonia, i “presunti gruppi di resistenza” da sostenere erano dei fake; dei gruppi controllati segretamente dal KGB formati per attirare i sostenitori occidentali o gli esuli che venivano reclutati come spie e rimessi in circolazione oltre cortina.

Il completo fallimento e l’abbandono di perseguire un piano che rimase nel cassetto per diversi decenni, fino alla declassificazione da top-secret, impartì comunque una serie di importanti lezione al Pentagono: prima fra queste e forse ancora valida, la poca conoscenza dei piani di contingenza del Cremlino; e la consapevolezza che era pressapoco impossibile rendere concreto – almeno al tempo – una stravolgimento interno in grado di esautorare i sovietici dal controllo di un paese satellite importante come l’Ucraina.

Non solo CIA, ma anche servizi segreti britannici

Nell’ambito di un’atra operazione segreta condotta da Londra e chiamata in codice “Integral”, anche il SIS britannico, da tempo impegnato ad addestrare team di volontari dei paesi dell’Est d’Europa come si era specializzato a fare fin dai tempi del SOE e delle operazione che dovevano “infiammare l’Europa”, organizzò diversi aviolanci per “trasferire in territorio sovietico commandos e informatori“. Queste operazioni, strettamente collegate ai piani della CIA, non riguardarono solo il territorio ucraino ma anche l’Armenia, l’Azerbaijan e l’Albania.

Un errore inconsapevole dato che almeno secondo le cronache proprio una di queste missioni, non di maggior successo, avrebbe consentito alla nota spia doppiogiochista Kim Philby di mettere in allarme i sovietici e consentirgli di attivare tutte le contromisure necessarie ad accogliere e mettere fuori gioco gli agenti esteri, fossero addestrati dagli inglesi o inviati dagli americani. Dimostrando come fosse impensabile che dei gruppi di resistenza potessero esistere e proliferare sotto l’efficace e temibile sistema di sicurezza sovietico. Lo stesso UPA all’inizio dell’operazione era già stato indebolito se non decimato. Come scriveva Joseph Roth in Fuga senza fine, del resto, vivere in Russia già negli anni successivi alla rivoluzione d’ottobre significava essere “continuamente sorvegliati senza sapere da chi. Nell’ufficio in cui lavori, qualcuno è della polizia segreta (…) vedi in ognuno un sorvegliante e ognuno ti crede un sorvegliante (…) se non hai la coscienza sporca e sei innocente, allora temi per lo meno di essere preso per una spia”. Questo valeva agli albori dell’NKVD. Il KGB avrebbe addirittura affinato le sue tecniche negli anni a venire.

Errori da perpetuare o rivincite silenziose?

I documenti sopracitati, in particolare il dossier datato agosto 1957 già al centro di questo articolo di InsideOver, non possono non richiamare l’attenzione del lettore su una serie di parallelismi tra la storia che è stata fatta o si preparava, e quella che si sta facendo nella contemporaneità sul suolo ucraino.

Le dichiarazioni del segretario generale della Nato Stoltemberg, di concerto con le diverse indiscrezioni che hanno puntato i riflettori sul coinvolgimento di commandos occidentali, siano essi dell’US SOCOM, dello Special Air Service o dei Royal Marines britannici (gli ultimi ad essere stati menzionati in questi giorni) sembrano confermare una prosecuzione o quanto meno un’ispirazione ai piani d’antan che intelligence occidentali avevano già attentamente studiato negli anni ’50. Analizzando in dettaglio le regioni e le divisioni dello Stato che già veniva considerato dagli analisti di Washington come la “cerniera che univa la Russia all’Europa”.

Allora come adesso la linea di demarcazione tra gli affiliati di Mosca e le zone che potevano essere soggette alla mobilitazione anti-russa vedevano le autoproclamate repubbliche popolari del Donbass di Donetsk e Luhansk, e la Crimea come terreni ostili all’avvio di un’operazione che si prefiggeva la destabilizzazione del controllo di Mosca; mentre il settore occidentale era considerato il “più promettente” per innescare insurrezioni e infiltrazioni di matrice occidentale. Incerte invece erano le proiezioni su settori chiave che comprendevano le aree di Odessa e Kharkiv. Lasciando intravedere, come sostiene appunto Gaiani su AnalisiDifesa come “Dopo circa 60 anni non si possono che rivelare diverse similitudini rispetto alla situazione attuale”.

Non esistono dati sufficienti o adeguati a consentirci ulteriori parallelismi senza apparire avventati. Quello che è certo, è che lo scoppio di conflitto in Ucraina – che finalmente inizia ad essere visto più come una prosecuzione o ripercussione della guerra scoppiata nel 2014 e non è un accadimento spontaneo, slegato dagli eventi – fosse imprevedibile nella storia. Esso era anzi un evento che storici, analisti e generali avevano da sempre previsto, quale scontro decisivo per lo scacchiere geopolitico globale. Una partita che avrebbe misurato le capacità del Cremlino, e forse tarato davvero e definitivamente la sua capacità di potenza dell’era post-sovietica.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.