Nel destino del giovane tenente Robert Lee, non c’era una vita da eroe militare. Non era per quello che aveva studiato a West Point. La sua specializzazione era quella di ingegnere militare e quindi era destinato ad affrontare la costruzione di forti e altre infrastrutture che servivano a ospitare i soldati e le merci a loro destinate. Un lavoro duro, ma Lee sapeva di non avere alternative. Il senso del dovere che gli era stato instillato a livello familiare gli fece accettare l’incarico di buon grado, anche avendo con sé una giovane moglie come Mary, che era vissuta fino ad allora nell’agio di Mount Vernon, la lussuosa residenza di George Washington e ora si ritrovava ad affrontare una vita difficile in contesti climaticamente ostili.

Gli anni del genio militare

Affrontando anche quella che si scoprì essere una differenza caratteriale non da poco: Lee amava l’ordine e la puntualità, qualità che invece difettavano alla moglie. Nonostante tutto, il matrimonio ebbe un esito felice e nacquero sette figli: tre maschi e quattro femmine. Il primo incarico fu proprio in Georgia, stato dov’era morto suo padre, in una zona paludosa, dove avrebbe dovuto costruire un forte in un terreno paludoso. I piani per la costruzione del nuovo edificio si rivelarono datati e così venne trasferito nuovamente in Virginia, a Fort Monroe. Anche in quel caso gli si prospettava davanti un rinnovamento strutturale. Del resto, era per quello che aveva studiato. Svolgere lavori di questo genere però mostrava come spesso gli artiglieri, formati con i concetti napoleonici di guerra, fossero ostili ai cambiamenti.

Questa vita però, anche se gli fece conoscere la moglie, durò poco. Perché dal 1834 al 1837 diventò l’assistente del capo ingegnere dell’esercito americano, Charles Gratiot. Per lui supervisionò altri lavori di rinnovo in Ohio e in Michigan. Non si pensi però che questo ruolo gli garantisse uno status significativo: il capitano Lee non trovò nessuna casa in affitto e pertanto faceva il pendolare con Arlington muovendosi a cavallo. Quando le strade erano impraticabili per le piogge eccessive, prendeva una stanza in una pensione infima. Sembrava comunque aver trovato la sua strada. Magari un giorno Lee sarebbe a sua volta diventato il capo ingegnere. Negli anni successivi però successe qualcosa che avrebbe cambiato non solo la vita di Lee, ma anche quella di molti altri ufficiali. Parliamo del conflitto con il Messico, scoppiato nel 1846 per il mancato riconoscimento dell’annessione statunitense della Repubblica del Texas, che veniva considerato ancora territorio messicano. In quel conflitto si forgiò parte della nuova identità americana e nacque la concezione del “Destino Manifesto” degli Stati Uniti a espandersi in tutto il Nord America. Lee però, rimaneva comunque un ufficiale del Genio. Come mai invece vide l’azione e acquisì la fama di “miglior soldato americano”?

La svolta della guerra

All’inizio della guerra, il capitano Robert Lee mise al servizio dell’esercito americano le sue note doti di cavallerizzo per le quali era noto durante i suoi giorni di West Point, partecipando a missioni di ricognizione verso l’esercito del generale Antonio Lopez de Santa Anna nel febbraio 1847. Ad aprile di quell’anno, fu il responsabile dell’artiglieria nell’assedio di Vera Cruz. La sua perizia gli guadagnò un posto al fianco del generale Winfield Scott. Virginiano come Lee e costantemente in sovrappeso, ciononostante Scott nella sua veste di comandante dell’esercito americano fu il grande stratega della vittoria totale nei confronti del Messico, assecondando il volere del presidente James Polk, che vide in questo conflitto la chance di acquisire nuovo territorio utile all’espansione degli Stati Uniti.

Non solo: quel territorio avrebbe fornito nuove terre per nuovi Stati schiavisti, riequilibrando l’espansione degli stati liberi nel Nord. Sul campo, soprattutto nella battaglia di Cerro Gordo del 18 aprile 1847, dove ricevette la promozione temporanea a maggiore, Lee mostrò tutto il suo acume tattico. Scott fu molto impressionato dalle sue abilità tanto da affidargli, prima della vittoriosa battaglia di Chapultepec del 13 settembre 1847, l’incarico di colonnello. Finita la guerra Lee tornò al suo lavoro di geniere militare, prima a Fort Baltimore e poi in Florida, all’epoca poco popolata, per aggiornare le mappe dell’esercito americano.

Verso al guerra civile

Dopo un periodo da sovrintendente a West Point nel 1855 Lee viene inviato in Texas per difendere gli insediamenti dei nuovi coloni statunitensi dalle incursioni dei Mohawks e dei Comanches. Fu proprio in quel periodo che lui passò definitivamente nelle file della cavalleria: il lavoro che avrebbe sempre desiderato, libero da quei doveri ingegneristici che lo avevano stufato dopo tanti anni con il loro carico di fatica burocratica. E finalmente arrivò la promozione definitiva: tenente colonnello.

Prima della guerra dovette affrontare altre due crisi: la prima nell’ottobre 1859, quando risolse brillantemente la crisi creata dall’abolizionista John Brown nell’armeria di Harper’s Ferry, in Virginia, dove Brown voleva innescare una rivolta di schiavi. Brown fu processato per alto tradimento e in Lee si rafforzò l’idea che gli abolizionisti erano degli inutili sovversivi. Ciò non vuol dire che si fosse schierato per questo con i “mangiafuoco”, la fazione sudista che chiedeva anticipatamente di staccarsi dagli Stati Uniti, né la frequentava. Anzi, ancora nel 1860 partecipò, sempre in Texas, a una missione per catturare il bandito-rivoluzionario messicano Juan Cortina. Fino all’ultimo Lee non fece presagire nulla. Anzi, una volta che la secessione si innescò, Winfield Scott raccomandò al nuovo presidente Abraham Lincoln di promuovere Lee a colonnello perché era “solido come una roccia” per quanto riguarda la sua fedeltà all’Unione. Era il 22 aprile 1861. Sorprendentemente, però, decise di dimettersi dall’esercito americano il giorno dopo, il 23 aprile.





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