Bascapé é un punto anonimo nella campagna pavese, un placido luogo dimenticato dalla storia fino a un tardo pomeriggio di ottobre del 1962. Il “caso Mattei” compie sessant’anni e possiamo chiamarlo, senza timori di smentite, con il suo nome: un omicidio. Enrico Mattei – questo è confermato giudiziariamente – non morì per una tragica fatalità quando precipitò con il suo aereo privato nei cieli di Bascapé il 27 ottobre 1962.
I misteri sull’incidente di Mattei
Quel giorno il Morane-Saulnier MS.760 Paris I-SNAP, avente al comando il pilota Irnerio Bertuzzi, ex asso degli aerosiluranti della Regia Aeronautica e dell’aviazione della Repubblica Sociale Italiana durante la Seconda guerra mondiale, e su cui Mattei viaggiava con il giornalista statunitense William McHale della testata Time–Life, incaricato di scrivere un articolo su di lui, si schiantò a pochi minuti dall’atterraggio all’aeroporto di Linate.
Viaggiando per strade sterrate e fangose, retaggio di un’Italia che fu, verso il Memoriale di Enrico Mattei a Bascapé si arriva a un piccolo sacrario nel luogo dello schianto dell’aereo. Ancora oggi sorvolato dalle rotte degli aerei che si dirigono verso lo scalo di Linate. Una coorte rettangolare di conifere circonda un prato al cui centro spicca una croce di pietra consumata dal tempo, con incisi sopra i nomi dei tre morti dell’incidente. Il luogo è di proprietà della Snam e formalmente interdetto al pubblico, ma anche nei giorni più uggiosi un continuo, per quanto mai travolgente, via vai di silenziosi pellegrini viene al cospetto del luogo in cui perse la vita il fondatore dell’Eni.

A dominare è il vuoto e non è una questione da poco: il “vuoto” avvolge ancora gli eventi di quel tragico giorno in cui la Prima Repubblica restò orfana di uno dei suoi costruttori. Mattei è morto in un attentato: lo ha stabilito la magistratura italiana indagando sulla morte del giornalista Mauro De Mauro, che proprio per la sua attenzione al caso Mattei sarebbe stato assassinato per mano della Mafia siciliana e mandanti ignoti, e lo ha studiato con particolare attenzione il magistrato Vincenzo Calia, che a metà degli Anni Novanta riaprì la bollente inchiesta, trovò nuove piste ma non riuscì a chiudere il cerchio non riuscendo a mettere dei volti a quarant’anni di distanza dai fatti, archiviando l’inchiesta nel 2003.
La morte di Mattei anticipò la strategia della Tensione
In un convegno di ex partigiani bianchi, tenuto a Salsomaggiore nel 1986, l’ex presidente del Consiglio democristiano Amintore Fanfani parlò espressamente di “abbattimento dell’aereo” di Mattei, raffigurandolo come “il primo gesto terroristico del nostro Paese” e il “primo atto della piaga» della violenza politica, poi esplosa su larga scala negli anni successivi” con la strategia della Tensione (1969-1974). Il timore di Fanfani era già ai tempi quella della perdita della memoria sul fronte del ricordo del suo compagno di avventura nelle fasi iniziali della Repubblica. Il “corsaro” Mattei con la coraggiosa strategia energetica garantì indipendenza e autonomia alla strategia economica, energetica e diplomatica del Paese nei quadri dettati dal neoatlantismo e dalla strategia mediterranea della Democrazia Cristiana.
La morte di Mattei è difficile ancora oggi da imputare a un singolo personaggio o a una singola entità. Molti nemici personali e politici di Mattei avrebbero interesse a vederlo sparire. “Non avremo mai una confessione dell’omicidio di Mattei, quindi quella ferita non sarà mai chiusa”, ha dichiarato l’analista geopolitico Alessandro Aresu, che indica una traccia nel movente più credibile per la morte del fondatore dell’Eni: “Mattei era profondamente anticolonialista.
L’anticolonialismo gli conveniva, per rafforzare il suo profilo e la sua ambizione, ma ci credeva davvero. Quindi costruisce una sorta di falange” anticolonialista“, passante soprattutto per il sostegno all’indipendenza di Paesi come l’Algeria per rafforzare il coinvolgimento, il profilo e gli interessi di Eni in Mediterraneo e in Medio Oriente. Nel caso algerino, fa molto di più, perché a finanziamenti e armi per gli indipendentisti affianca anche la consulenza legale sulle trattative con la Francia”. In un gioco delle parti con il generale Charles de Gaulle, timoroso del protagonista italiano, affascinato dal capo dell’Eni ma a lui accomunato dal nemico trasversale dell’Organisation de l’Arméé Secreté (Oas), l’esercito clandestino favorevole al mantenimento del ferreo controllo di Parigi sull’Algeria.

Oas, Cia, Mafia: chi ha ucciso Mattei?
I terroristi francesi sono uno degli indiziati più importanti per la morte di Mattei, che Aresu definisce non a caso “martire d’Algeria“. Un altro sospettato sono elementi degli apparati di intelligence militare degli Stati Uniti, o loro frange deviate, che avrebbero agito su istigazione delle big del petrolio scottate dal dinamismo dell’Eni. Fu solo nel 1989, durante un interrogatorio del giudice istruttore Giovanni Falcone, assassinato nel 1992, che il primo grande pentito mafioso, Tommaso Buscetta, suggerì che il caso De Mauro e il caso Mattei fossero collegati e collegò a una manovra congiunta tra Mafia americana e settori della sicurezza nazionale la “commissione” dell’omicidio. Buscetta aveva detto: “Uno dei cugini Greco [membri del massimo organo di governo della mafia, la Commissione, ndr] mi ha detto che Mattei è stato ucciso su richiesta dell’americana Cosa Nostra perché le sue politiche mettevano in pericolo importanti interessi in Medio Oriente. Dietro c’erano probabilmente le compagnie petrolifere americane”.
Mattei, negli anni, aveva iniziato un attacco frontale alle multinazionali nella seconda parte degli Anni Cinquanta. Le big del petrolio inizialmente lo trattarono con disprezzo e nel 1959 fu respinto nel tentativo degli americani di ottenere una partecipazione paritaria della sua Eni nel gruppo delle Sette sorelle. Dopo questa proposta, che gli americani consideravano quasi provocatoriamente impudente, Mattei si sedette con i capi degli stati petroliferi arabi, volò a Mosca e discusse di joint venture energetiche garantendo ai Paesi produttori tra il 50 e il 75% delle royalties. Inoltre, cercò anche di persuadere la nuova Comunità economica europea a muoversi in tali direzione.
In quest’ottica, Cosa Nostra avrebbe potuto svolgere un ruolo di manovalanza per conto terzi, elementi dei servizi Usa o Oas, solo se a sua volta avesse avuto un motivo ulteriore per compiere un delitto tanto grave capace di attrarre attenzioni notevoli sulla Sicilia. Ma Mattei aveva intenzione di portare la sua guerra al sottosviluppo fino in Sicilia. E questo la Mafia non poteva permetterselo.

Mattei contro il complesso di inferiorità dell’Italia
Anche in Sicilia i trivellatori dell’Eni avevano scoperto importanti giacimenti, e proprio il giorno prima della sua morte, Mattei era salito davanti a una folla enorme radunatasi a Gagliano Castelferrato, in provincia di Enna, e aveva invitato gli abitanti a riportare indietro i loro figli e fratelli emigrati: “Qui c’è lavoro per tutti”. È possibile che questo entusiasmo della gente in Sicilia sia stato il momento che ha suggellato la condanna a morte di Mattei aggiungendo anche la mano di Cosa Nostra ai possibili soggetti interessati ad eliminarlo: se avesse realizzato il suo progetto, se per la prima volta dopo secoli lo Stato fosse venuto alla ribalta come un benefattore aperto, i mafiosi – che fino ad allora avevano rivendicato il monopolio su ciò che le persone ottengono – si sarebbero sentiti pesantemente messi in un angolo.
Questo era Mattei, ricorda Aresu: “un uomo impetuoso, quindi in grado di rappresentare una stagione impetuoso della storia d’Italia, sicuramente il momento migliore dell’Italia unita. Era anche un uomo molto ambizioso, e ossessionato da un’idea: la liberazione di un complesso di inferiorità del nostro Paese rispetto al mondo”.
Questa idea fu molto importante per un Paese sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale e dove ci fu una guerra civile, dove Mattei si schierò apertamente, come partigiano bianco”. Un manager di Stato che “ha incarnato il miracolo italiano” e proprio per questo motivo si è fatto dei nemici potenti dentro e fuori il Paese. Tra chi voleva un’Italia subalterna e con la testa chinata. Tra chi non la voleva protagonista delle grandi reti del capitalismo globale. Tra chi voleva perpetrare le logiche dello sfruttamento. Il grande vuoto di Bascapé parla anche della loro sconfitta. Che si sostanziò con l’azione di Mattei e della classe dirigente coeva. Il gesto di reazione scellerato del 27 ottobre 1962, chiunque sia stato il mandante, rese felici molti. Ma non cancellò le imprese di Mattei, ancora vive a sessant’anni di distanza: l’impresa a partecipazione pubblica, garanzia della proiezione del sistema-Paese nel mondo; la concezione che l’Italia poteva vincere il complesso di inferiorità; la garanzia di poter competere nel mondo. Tutte dinamiche ancora vive e da tenere ben presenti oggi.