BĂ©atrice, Gabrielle, Eliane, Dominique, Françoise, Isabelle: questi i nomi in codice scelti per le colline di altissimo valore strategico su cui era basata la difesa dell’avamposto militare francese di Dien Bien Phu, in quella che fu e piĂą non sarĂ l’Indocina francese. A sceglierli era stato un estroso ed egocentrico colonnello, De la Croix de Castries, comandante delle forze francesi schierate nel settore. Erano i nomi delle sue prostitute predilette.
Era la primavera del 1954 in Indocina quando il contingente di rinforzo aviotrasportato nell’Operation Castore si attestava a difesa della spianata insieme al resto del Groupement OpĂ©rationnel du Nord-Ovest. Tredicimila uomini in tutto, un forza mista composta battaglioni di paracaduti dell’ArmĂ©e de Terre, della Legione Straniera, di “tirailleurs” algerini, e truppe scelte tai dam e marocchine, coadiuvati da pezzi di artiglieria e mezzi corazzati leggeri del tipo M-24 “Chafee” di produzione americana, ben trincerati in una rete di bunker e casematte.
L’obiettivo principale dei francesi era quello di occupare la zona in prossimitĂ del confine con il Laos creando un aerosuperficie avanzata che potesse accogliere ulteriori rinforzi per tentare di riequilibrare le forze in campo e arginare i guerriglieri fedeli alla causa Viet Minh, intesi a collegarsi con formazioni ribelli laotiane per combattere e dissipare una volta per tutte il colonialismo francese in Indocina.
Negando l’indipendenza tout court al futuro Stato del Vietnam nel 1945, ma concedendone solo una limitata – il settore della difesa e la politica estera dovevano continuare a essere supervisionati dalla Francia – Parigi era diventata una potenza nemica e usurpatrice secondo il direttivo politico militare guidato dal nazionalista vietnamita Ho Chi Min, spinto da ideali marxisti leninisti. Ebbe così inizio una guerra decennale (appoggiata dalla Cina e dalla Urss) contro l’esercito francese visto come “occupante” del territorio che veniva considerato ufficialmente colonia francese dal 1887.
Il territorio comprendeva l’attuale Vietnam; il Laos, cui era stata accordata indipendenza nel 1949; e la Cambogia, a cui era stata accordata l’indipendenza nel 1953. Dal canto suo la Francia giĂ in vista di abbandonare il campo data la condizione di instabilitĂ raggiunta, intendeva limitarsi a “rafforzare” la sua posizione strategica-militare prima di sedere al tavolo dei negoziati per trovare quella che allora veniva definita “un’uscita di scena onorevole“.
Una sconfitta che farĂ storia
Quella che doveva essere un’astuta mossa strategica per sbarrare la strada ai nazionalisti vietmin, si tramutò in una carneficina per le truppe francesi che, una volta perse le prime colline e di conseguenza la possibilitĂ di utilizzare le due piste del campo d’aviazione – devastate dal tiro dell’artiglieria -, vennero cinte d’assedio.
Costrette a combattere una battaglia di logoramento, con un appoggio aereo insufficiente e l’impossibilità di ricevere ulteriori rinforzi, battuti notte e giorno dalla pioggia dei monsoni, i 56 giorni di combattimenti a Dien Bien Phu furano scanditi da assalti drammatici, sortite audaci, contrattacchi incapaci di ribaltare le sorti dello scontro che si concluse nella resistenza disperata, fino all’ultimo uomo, fino all’estremo sacrificio da parte di chi non accettava di arrendersi come i legionari a difesa di Isabelle.
Quando la prima offensiva vietnamita lanciata nella metà di marzo porto alla conquista, in soli quattro giorni, delle postazioni fortificate con i nomi in codice di Beatrice, Gabrielle e Anne Marie, la situazione si fece già disperata. Esse dominavano la parte settentrionale della valle a la mancanza di controllo di queste alture compromise l’integrità della base aereo-terrestre francese.

Una volta trincerate, le tre divisioni di vietmin agli ordine del generale Vo Nguyen Giap impedirono ad ogni convoglio di rifornimenti di raggiungere l’avamposto francese via terra. Isolando la guarnigione che veniva lentamente dissanguata dai mortai e dagli assalti all’arma bianca. In aprile caddero le posizioni Eliane, e Hughette, e all’inizio di maggio le perdite registrate tra i francesi erano tali da aver compromesso ogni speranza di tenere la posizione.
Fino all’ultimo uomo
Con i difensori francesi indeboliti e impossibilitati a ricevere ogni tipo di rifornimenti, la terza offensiva condotta dai vietnamiti nella notte tra l’1 e il 2 maggio portò all’accerchiamento della “posizione principale” dove era il quartier generale che vedrĂ sventolare, il 7 di maggio, la bandiera rossa con la stella dei vietnamiti, mentre il comandate della guarnigione francese veniva fatto prigioniero con i suoi ufficiali.

Quando tutto era definitivamente perduto, solo l’avamposto di Isabelle, ultimo caposaldo tenuto dai mille uomini della Legione straniera, continuò a combattere nella speranza di riuscire in una manovra evasiva. I legionari ai comandi del colonnello Leland rifiutavano di arrendersi e consegnare le insegne. Dopo aver esaurito tutte le scorte di munizioni, tentarono un’ultima sortita con il favore del buio: vennero trucidati tutti, fino all’ultimo uomo. La battaglia si era conclusa. Nella valle dei fantasmi giacevano tra il fango e le trincee devastate dalle granate ben cinquemila francesi caduti, in larga parte di paracadutisti e legione straniera. Ottomila erano i caduti tra le file dei viet che avevano raccolto una forza di 50mila uomini.
Un epilogo non privo di conseguenze storiche
Nonostante il conflitto rientrasse, al pari dell’appena terminata guerra di Corea, nel più ampio scacchiere della Guerra fredda, il presidente americano Dwight Einsenhower negò l’intervento degli Stati Uniti limitandosi per tutta la durata del conflitto a fornire solo ed esclusivamente assistenza finanziaria e logistica: quasi fosse un affaire che i francesi dovevano sbrigare da soli.
Questa decisione, giustificata dal diniego della Nato che riteneva inutile appoggiare una “causa persa”, e dalle nette conclusioni come quella del capo di stato maggiore dell’Us Army che riteneva lo scontro in Indocina un “conflitto sbagliato nel posto sbagliato“, proiettò gli americani verso una lenta discesa negli inferi della regione. Iniziata con una complessa guerra segreta gestita dalla Cia, che con anni di ritardo si sarebbe tramuta, un passo dopo l’altro, in un conflitto di grandi dimensioni destinato a concludersi con la piĂą aspra sconfitta mai patita da Washington – che pure era interessata almeno quanto Parigi a frenare l’ingerenza del comunismo e Estremo oriente, e gestire le risorse presenti nella regione: stagno, petrolio, gomma e ovviamente riso.
La pesante sconfitta vide la delegazione francese e vietnamite – in presenza di mediatori di Stati Uniti e Cina – sedere al tavolo dei negoziati a Ginevra per discutere del futuro dell’Indocina.
I due accordi raggiunti riguardarono il cessate il fuoco che i francesi e i vietmin avrebbero dovuto rispettare nella temporanea divisione del paese lungo il 17° parallelo dove le forze francesi sarebbero rimaste nel sud e le forze di Ho Chi Minh avrebbero controllato il nord. Proprio come era avvenuto per la Corea del 38° parallelo, ma con confini meno netti e non così militarizzati; e la promessa che né il Nord filo-comunista né il Sud filo-occidentale avrebbero stretto alleanze con partiti esterni, per poi andare a elezioni 1956. Laos e Cambogia sarebbero dovute rimanere neutrali. La storia ci mostrerà il contrario e graduale mutare della condizioni di alleanza e supporto esterno.
L’8 maggio 1954 su Le Figaro comparve un fondo del direttore Pierre Brisson, che onorava il sacrificio dei soldati francesi ingannati dalla loro stessa patria, e giudicava duramente l’atteggiamento dei vertici comunisti francesi, accusati di aver compiuto una “marcia indietro miserabile” quando versarono lacrime d’occasione “per il massacro causato dalle armi che il comunismo ha messo nelle mani dei nemici”. “Il coraggio speso su questo sanguinoso pezzo di terra nel profondo della giungla, il valore del generale de Castries e le sue truppe, le imprese dei piloti e dei paracadutisti, il continuo sacrificio di vite umane, l’entusiasmo di questa disperata fraternitĂ di volontari: tutto ciò che sappiamo della spietata battaglia condotta dagli uomini liberi contro le forze del fanatismo ha suscitato l’ammirazione universale e ci ha commosso nel profondo”, gridavano le pagine del quotidiano parigino.
Ma a nulla valse. Né a risvegliare nella Francia l’appoggio alla causa coloniale, in difesa di quei francesi che sarebbero presto dovuti fuggire dalle terre oltremare, né a riaccendere l’ardore necessario alle giovani generazioni per proseguire in quello che a tutti gli effetti era diventato un sogno anacronistico che s’infrangeva, in Indocina, in Nord Africa; lasciando ferite profonde nella vecchia potenza europea che ancora non ha finito di fare i conti con il suo passato imperialista.