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Il 2021 si è aperto con numeri di contagio da coronavirus che portano l’Italia a confrontarsi con una nuova emergenza sanitaria. I dati fanno parlare dell’arrivo della così tanto temuta terza ondata sollevando diversi quesiti sulle misure necessarie da applicare per contenere il più possibile il dilagare dell’epidemia. Ad oggi quelle teorie secondo le quali sarebbe meglio attuare dei lockdown generali sono sempre più in minoranza. Questo perché, dopo le esperienze della scorsa primavera, è stato dimostrato che una serrata totale può creare molti più danni, non solo a livello economico, ma anche nel contrasto stesso della diffusione della malattia.

L’impennata dei contagi nel 2021

Contrariamente alle speranze che tutti riponevano nell’inaugurare il nuovo anno, il 2021 si è aperto con l’innalzamento veloce della curva dei contagi. Tutto ciò ha sollecitato la corsa allo studio di nuove misure da applicare per contrastare al meglio quei corridoi che agevolano il cammino del virus. Ora più che mai è impensabile abbassare il livello di guardia e soprattutto commettere degli errori. Reduce dalle festività natalizie caratterizzate dall’alternarsi continuo dei colori rosso, arancione e giallo, il territorio nazionale adesso fa fatica a trovare la dimensione della stabilità e, con esso, anche i cittadini appaiono sempre più confusi e disorientati di fronte al susseguirsi di nuove regole.

Ma se l’Italia si trova ancora in difficoltà, ci saranno stati degli errori commessi nell’adozione delle misure anticontagio dall’autunno ad oggi? A questa domanda risponde su InsideOver il professor Matteo Bassetti, direttore del reparto Malattie Infettive del San Martino di Genova: “Secondo me – dichiara – l’errore forse più grosso è stato quello di Natale, perché in qualche modo si sarebbe potuto procedere con il sistema della suddivisione dei colori per regione e non con il lockdown generalizzato. Oltretutto a Natale si è fatto l’errore di passare da un giorno all’altro all’applicazione dei colori, confondendo evidentemente la gente che non ha più capito bene cosa fare e si è creato un lassismo nei comportamenti”.

“Il metodo più valido è quello della suddivisione per colori”

Accantonato il sistema del lockdown generalizzato per tutto il mese di gennaio e febbraio, l’Italia nei prossimi giorni tornerà a “colorarsi” nelle varie regioni in base ai parametri dettati dall’indice Rt. Un sistema condiviso dal professor Bassetti il quale ci spiega il perché della validità: “Credo – afferma su InsideOver – che la suddivisione dell’Italia a colori sia un ottimo strumento perché consente un controllo capillare del territorio permettendo di monitorare esattamente l’andamento dei contagi, ovvero l’indice Rt, il numero dei posti letto occupati negli ospedali, delle terapie intensive e qual è la prospettiva di possibilità di avere posto per altri”. Una misura questa, ritenuta dunque molto più puntuale dal primario del San Martino rispetto al lockdown generalizzato.

“Quest’ultimo- ci dice- può aver  funzionato a marzo del 2020 quando noi fondamentalmente di questo virus non conoscevamo nulla. Adesso, il metodo più valido è quello della suddivisione della nazione per colori. Ripeto, se c’era bisogno di una dimostrazione che il lockdown generalizzato non funzionasse, mi pare che l’esempio di Natale sia stato abbastanza chiaro”. Nell’ambito della comunità scientifica c’è anche chi avanza un’altra proposta, ovvero quella di istituire aree rosse provinciali senza penalizzare l’intera regione di appartenenza. Questo metodo, secondo i sostenitori, avrebbe il vantaggio di permettere un maggiore controllo del  singolo territorio richiamando, allo stesso tempo, il cittadino ad una maggiore presa di coscienza e responsabilità.

Il pericolo della diminuzione dei tamponi

Un lockdown generale potrebbe poi avere scarso successo se, alla base, manca un adeguato tracciamento dei contagi. Il perché è presto detto: il nuovo coronavirus lascia dietro di sé una lunga scia composta da un buono 90% di asintomatici. Prima si scovano coloro che hanno addosso il virus senza manifestare sintomi e prima si arresta un potenziale focolaio. In estremo oriente sta funzionando così: il tracciamento, come ricordato dall’immunologo Paolo Bonanni su InsideOver il 18 dicembre, è stato alla base della strategia sudcoreana contro il virus. Senza andare troppo lontano, in Gran Bretagna, secondo le statistiche fornite dal ministero della Salute, in media vengono effettuati più di mezzo milione di tamponi al giorno.

Tracciare i contagi, vuol dire anche avere cognizione dell’andamento epidemico in un determinato territorio. E dunque arrivare a decidere, senza coinvolgere un intero Paese, dove intervenire e dove agire con più discrezionalità nello spegnimento dei focolai. Per fare tutto questo, secondo il virologo Andrea Crisanti in Italia occorrerebbero almeno 300.000 test giornalieri. Una cifra che nel nostro Paese non è stata mai raggiunta. Il record in tal senso si è avuto il 13 novembre, giorno del picco della seconda ondata, con 254.908 tamponi effettuati. Oggi il nostro Paese naviga a una media di poco oltre i 150.000 al giorno. La metà rispetto a quanto auspicato.

La corsa verso l’immunità di gregge

Controllo del contagio, monitoraggio della situazione a livello territoriale e tracciamento sono quindi elementi che, ad oggi, permetterebbero di allontanare gli spettri di lockdown generali. Ad ogni modo però, dopo quasi un anno dall’inizio dell’emergenza, buona parte della popolazione si chiede sempre più frequentemente quando si potrà tornare alla normalità. Con contagi in aumento e con decisioni spesso poco chiare prese in ambito nazionale, l’unica speranza per molti è affidata al vaccino. Matteo Bassetti è stato tra i primi a riceverlo in Italia, al virologo è stata iniettata una delle dosi usate nel cosiddetto “V day” del 27 dicembre scorso.

“Credo che ci siano due piani da portare avanti – dichiara oggi Bassetti – Uno, “Piano A”, che è molto ambizioso ed è quello di vaccinare il 70% degli italiani entro il prossimo autunno. Questo potrebbe portare ad avere l’immunità di gregge”. Ma per la sua attuazione, non mancano le riserve: “Ci vuole la disponibilità dei vaccini oltre che un piano sul territorio di come fare i vaccini, cioè chi li fa, come li fa e quando li fa”, afferma. C’è poi un eventuale “Piano B”, quello cioè che consiste nel mettere in sicurezza le persone più esposte al virus: “I più fragili sono gli anziani e le persone con le malattie debilitanti – prosegue infatti Bassetti – Su queste persone dobbiamo concentrarci a portare una copertura del 90%. A quel punto potremmo aver messo in sicurezza almeno gli ospedali e la curva dei morti. Questo sicuramente lo si potrebbe ottenere”.

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