In quest’ultimo periodo sta facendo “discutere” la strategia inglese in merito alla somministrazione dei vaccini. Il governo di Londra già a dicembre ha infatti deciso di dare priorità all’inoculazione della prima dose a tappeto ritardando la seconda. In altri Paesi, tra cui l’Italia, al contrario, si sta ancora seguendo la linea stabilita dal protocollo il quale prevede il richiamo tra le due e le tre settimane successive. Quale strategia garantisce maggiore efficacia in termini di protezione?
Il metodo inglese
Era fine dicembre 2020, il coronavirus in Gran Bretagna correva nel corso della sua seconda ondata e occorreva trovare nuove strategie per difendere più persone possibili. Ecco allora che il comitato scientifico governativo in quei giorni ha espresso un nuovo orientamento sull’inoculazione dei vaccini raccomandando ai centri vaccinali di estendere ad un maggior numero possibile di cittadini la prima dose. Per fare ciò era necessario ritardare il richiamo di 12 settimane circa. La nuova strategia è stata figlia di una grave situazione sanitaria che al contempo non riceveva risposte adeguate dalle industrie Pfizer-Biontech, Moderna e Astrazeneca in termini di forniture di vaccini.
Garantire alla stragrande maggioranza della popolazione la possibilità di poter beneficiare almeno della prima dose di vaccino è stato quindi un primo strumento per correre ai ripari. Ad oggi nel Regno Unito ad aver ricevuto la prima dose sono circa 21.599.027 di persone. Ad essersi sottoposti anche alla seconda dose sono stati invece 895.412 cittadini. Le persone che quindi hanno ricevuto entrambe le dosi sono 1.35% della popolazione. Si tratta di un metodo che può proteggere davvero tutta la popolazione? Dopo il picco raggiunto il 9 gennaio scorso con 59.937 casi al giorno, la curva dei contagi è iniziata a calare. Oggi si contano in media circa 6.700 casi quotidiani.
Si apre il dibattito e si guarda Israele
Che i casi in Inghilterra siano notevolmente diminuiti con questo metodo è un dato di fatto, almeno guardando i dati sui contagi giornalieri. Mentre in Italia si è entrati nella terza ondata, nel Regno Unito si sta iniziando a tirare un sospiro di sollievo seppur mantenendo sempre alta la guardia. Ma ci sono Paesi che hanno seguito il metodo inglese? L’inoculazione della prima dose a una platea più numerosa che ha atteso più a lungo per ricevere la somministrazione della seconda, ha sortito effetti favorevoli in Israele. Qui, pochi giorni fa, il premier Benjamin Netanyahu si è espresso con parole che fanno invidia al mondo: “Siamo usciti dalla pandemia”. Entro la fine di marzo gli israeliani saranno tutti vaccinati e potranno ritornare, con le dovute precauzioni del caso, a riprendere la vita con normalità.
Nel Paese si è scelto di ritardare la somministrazione dei richiami. Più del 90% dei cittadini hanno già ricevuto la prima dose, mentre il 40.26% della popolazione è stata sottoposta ad entrambe le dosi. Iniziata la campagna vaccinale il 20 dicembre scorso, i contagi sono diminuiti del 41% rispetto alla fine del 2020 e le ospedalizzazioni del 31%. Lo Stato ebraico si sta avviando verso l’immunità di gregge e, a fine mese, potrebbe davvero mettere da parte questo triste capitolo di storia.
La situazione in Italia
Nel nostro Paese la campagna vaccinale sta andando a rilento. Qui, così come nel resto del territorio dell’Ue, il V-Day si è tenuto il 27 dicembre. Da allora, poco più di tre milioni e mezzo di cittadini hanno ricevuto almeno una dose. In termini percentuali, vuol dire che soltanto il 5.7% della popolazione italiana è stato vaccinato. C’è però un dato che risalta agli occhi. La seconda dose in Italia è stata somministrata a un milione e mezzo di persone, pari al 2.5% complessivo della popolazione. Rispetto alla Gran Bretagna il nostro Paese è molto indietro sul numero totale dei vaccini già iniettati, ma più cittadini hanno già avuto la seconda dose. Le cifre mostrano quindi la strategia applicata dalle nostre autorità, quella cioè di continuare a somministrare anche i richiami.
Londra e Roma seguono due approcci differenti: nel primo caso, pur di fermare nell’immediato la crescita dei contagi, si sta preferendo una strategia di vaccinazione “a tappeto”, nel secondo invece si punta ad aumentare l’efficacia immunitaria sulle poche persone vaccinate. In una fase in cui in Italia scarseggiano, come nel resto d’Europa, dosi e si segnalano ritardi nell’arrivo delle forniture, in molti hanno iniziato a chiedersi se eventualmente non sia il caso di attuare il metodo visto in Gran Bretagna. Destinare cioè le dosi per il richiamo a chi ancora non ha avuto somministrato il vaccino. Un’apertura in tal senso si è avuta il 2 marzo, quando dal ministero della Salute è stata emanata una nuova circolare sui vaccini: “È possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-Covid-19 – si legge – nei soggetti con regressa infezione da SARS-CoV-2”. Per risparmiare le fiale, si potrà quindi applicare la strategia inglese ma soltanto su chi ha già avuto il virus nei mesi precedenti.
Qual è la strategia migliore?
“Il metodo inglese credo che potrebbe essere molto valido anche per l’Italia”: ha esordito così al telefono il primario del reparto malattie infettive del San Martino di Genova, Matteo Bassetti. Il virologo è favorevole a lavorare al momento con le prime dosi, in attesa dell’arrivo di altre forniture: “Attenzione però – ha proseguito nella sua dichiarazione rilasciata su InsideOver – Questo non vuol dire accantonare la seconda dose, ma farla più avanti. Si può procrastinare anche fino a tre o quattro mesi. Parlo per il vaccino di AstraZeneca, ma vale anche per Pfizer o Moderna”. In tal modo si metterebbe nell’immediato in sicurezza il maggior numero possibile di persone: “I dati inglesi parlano chiaro – ha proseguito Bassetti – si parla di un’efficacia anche del 90% anche dopo tre settimane dalla somministrazione e di una diminuzione dei ricoveri”.
Il virologo si è mostrato d’accordo con la scelta di non effettuare una seconda dose su chi è già stato positivo: “Giusta decisione – ha dichiarato – perché l’unica dose fungerebbe da conferma di quelli sono gli anticorpi che l’individuo ha già sviluppato”. Per adesso comunque, in Italia non si dovrebbe avere una totale inversione di tendenza rispetto all’attuale strategia: “Io sono per il rispetto dei protocolli già approvati in precedenza – ha infatti ad esempio dichiarato su InsideOver il virologo Massimo Clementi – Sono stati fatti degli studi che hanno portato le autorità a ritenere essenziale la somministrazione anche del richiamo. Occorre quindi mantenersi dentro le linee già tracciate”. Anche perché non tutti concordano sull’efficienza della strategia inglese . Sul The Lancet il 19 febbraio alcuni ricercatori ne hanno messo in dubbio l’efficacia: “Il ritardo del richiamo – si legge nell’articolo – potrebbe prepotentemente favorire la formazione di varianti del virus, risultato di un’immunità sub-ottimale o parziale”.