Descrivere il Reporter Day in poche righe non è facile. Mi sono iscritta, quasi per caso, un pomeriggio mentre ero nello studio radiofonico della mia Università. Non sapevo ancora cosa aspettarmi.
Qualche settimana dopo ho ricevuto la conferma di accettazione. “Ci sei piaciuta, sarai fra i partecipanti del concorso” Io? E ora cosa presento? I dubbi erano tanti, gli argomenti tra cui scegliere potenzialmente infiniti. Volevo proporre qualcosa che mi rispecchiasse e che facesse capire chi sono, per questo ho scelto un reportage sulle organizzazioni che si occupano di fornire aiuto umanitario in tutto il mondo. In particolare mi interessava capire come queste possano mobilitare enormi quantità di risorse umane, mediche e materiali e recapitarle nel giro di poche ore nelle zone colpite da carestie, calamità naturali o altre problematiche. Le ONG oggi sono sotto attacco su tutti i fronti. Riconosco che, come tutto ormai, non sono meccanismi perfetti, anzi. Avranno enormi falle nei loro bilanci e non so onestamente a quanto ammonti lo stipendio di un medico volontario. Però, almeno, fanno qualcosa.
Esporre la mia idea davanti a grandi reporter è stato emozionante, non ho realizzato di trovarmi faccia a faccia con loro fino a quando mi sono seduta a quel tavolo nella sede del Giornale, nel centro storico di Milano. Una possibilità che non capita spesso.
Il giorno seguente ho partecipato insieme agli altri 165 candidati alla cerimonia di premiazione. Mi ha colpito il discorso fatto dai responsabili de Gli occhi della Guerra, riuscivo davvero a ritrovarmi in ogni parola.
Di certo il Reporter Day ha dato avvio a quel cammino che va dal “Non si può” ed arriva a dire “Vai, puoi partire”. Incoronando il sogno di ogni (aspirante) reporter.