Bisogna ascoltarli i cristiani di Siria, piegati da dieci anni di guerra. Nel 2011, quando tutto è iniziato, erano il 10% della popolazione, ma il conflitto, la leva obbligatoria e l’avanzata delle fazioni jihadiste hanno provocato un vero e proprio esodo, facendone fuggire all’estero oltre 900mila.

“Sai, noi stiamo vivendo i sette anni di carestia annunciati dalla Bibbia, ma presto arriveranno quelli della prosperità” – ci aveva detto ormai due anni fa suor Yola Girges, francescana di Damasco ora in partenza per l’Iraq, in missione – che sperava in un futuro migliore per il suo Paese. Ma in questi due anni la situazione non ha fatto altro che peggiorare: sono sempre di più i cristiani che hanno lasciato la Siria e i pochi che sono rimasti lo hanno fatto a caro prezzo, sperando contro ogni speranza. Una scelta non facile, la loro: in soli dieci anni, hanno dovuto sfidare prima le persecuzioni islamiste, poi una devastante crisi economica e, infine, l’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Tre piaghe tremende, che sembrano non volersi rimarginare.

Insciallah, dicono indistintamente cristiani e musulmani in questa fetta di terra. Se Dio vuole. Eppure molti si chiedono dove sia finito Dio – che pure è nato non lontano da lì e che ha inviato il suo apostolo prediletto, Paolo, in quella Siria oggi martoriata? C’è chi dice che stia guardando altrove e chi, invece, sostiene che abbia tempi che gli uomini non possono comprendere perché non sono di questo mondo, ma di un altro, dove i secondi si contano in millenni. Insciallah, dicevamo. Se Dio vuole. 

Insciallah, pensano le famiglie siriane che si stanno preparando a festeggiare il Natale. “I cristiani qui ora sono diventati una minoranza. Il loro numero è sempre più piccolo. In questo Paese non hanno denaro e chi rimane è perché non ha i mezzi per andarsene”. Ma non solo: “L’Occidente si è dimenticato dei cristiani di Siria, che ora vivono sotto la legge islamica e la sharia. Inoltre, la situazione finanziaria è molto precaria”. Mentre in Italia, poco alla volta, i negozi riaprono per permettere alle persone di fare i regali di Natale, in Siria si fanno i salti mortali per tutto: “Stiamo pagando moltissimo l’elettricità, le medicine, il cibo e i vestiti. Tutto è diventato molto costoso”. Per questo motivo, ilGiornale.it ha lanciato una raccolta fondi per aiutare i cristiani di Siria. Non servono cifre folli per fare la differenza e bastano alcuni numeri per comprenderlo: un euro equivale a oltre 600mila lire siriane, lo stipendio medio ad Aleppo è di circa 69 euro e in buon ristorante si pranza con 7.91 euro. Con pochi euro, quindi, si può fare la differenza e donare una speranza a chi, da dieci anni, è costretto a vivere tra le macerie e a convivere con il terrorismo. 

Non c’è solo la Siria tra le campagne proposte dall’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre (Qui tutti i dettagli).

Per sostenere i cristiani che soffrono potete donare tramite Iban, inserendo questi dati:

Beneficiario: Aiuto alla Chiesa che Soffre ONLUS
Causale: ILGIORNALE PER I CRISTIANI DI SIRIA
IBAN: IT23H0306909606100000077352
BIC/SWIFT: BCITITMM

Oppure tramite pagamento online a questo link

Proprio ieri, a Koshobe, in Nigeria, i terroristi di Boko Haram hanno ucciso 110 persone. Si è trattato di un blitz in piena regola: i jihadisti sono arrivati all’improvviso e hanno cominciato a colpire chiunque si parasse loro davanti. Uomini, donne e bambini: nessuna differenza davanti ai proiettili. “Sono stati uccisi con crudeltà”, ha detto Edwar Kallon, coordinatore umanitario dell’Onu in Nigeria. Anche in questo caso, i numeri ci aiutano a comprendere cosa stia accadendo in questo Paese: da oltre dieci anni, i terroristi che vietano l’educazione occidentale – questa la traduzione di Boko Haram – hanno ucciso oltre 36mila persone e provocato l’esodo di oltre due milioni di profughi. La speranza sembra non trovare più casa qui. Quando, nel 2017, Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini sono stati in Nigeria hanno trovato una realtà devastante. Come quella di Sara Tuzakaria, 43 anni e miracolosamente riuscita a scappare dai terroristi: “Era l’agosto del 2014, quando i miliziani di Shekau si sono impossessati di Gwoza. Dopo aver fatto fuggire i soldati governativi e, una volta conquistato il centro abitato, hanno iniziato con le esecuzioni sommarie. Gli uomini sono stati radunati, poi uccisi con un colpo in testa e gettati nel fiume; noi donne, invece, siamo state rapite e io sono stata portata via insieme ai miei figli”. Gli islamisti le hanno portato via i bambini. Di loro non sa più nulla. “Da quel momento non li ho più rivisti. Sono stata costretta a lavorare e cucinare per i miliziani. Volevano che mi convertissi e mi frustavano perché ero cristiana. Io ero disperata perché non sapevo nulla dei miei figli e, a un certo punto, ho smesso di mangiare: volevo morire, non potevo vivere senza avere notizie dei miei ragazzi”, ha raccontato. Come lei, sono tante le ragazze fuggite, ma solo in parte, dall’incubo jihadista. Noi vogliamo aiutarle, sostenendo la costruzione di un centro, con sede a Maiduguri, che permetterà a 150 donne di essere seguite da un team di esperti che le aiuterà a costruire un futuro per sé e per i propri figli.

Dall’Africa profonda al Pakistan, dove non si ferma la persecuzione contro le donne cristiane. Nel Paese asiatico, infatti, sono sempre di più i rapimenti organizzati da gruppi islamici radicali ai danni di giovani credenti in Cristo. Huma Younus è una di loro. La sua storia, per come lei stessa l’ha raccontata, è un continuo crescendo di violenze: “Dall’ottobre 2019 la mia vita è stata stravolta. Sono stata rapita, violentata e data in moglie al mio sequestratore. Ricevo pressioni per abbandonare la mia fede”. Ha solo 15 anni, ma la sua esistenza è già segnata. I suoi occhi, nonostante un sorriso appena abbozzato, sono spenti. A volte inespressivi. Huma è rimasta incinta in seguito alle continue violenze compiute dal suo rapitore che, tra le altre cose, ha anche un fratello (Mukhtiar) arruolato nei rangers, le forze di sicurezza pachistane, che continua a inviare video di minacce ai genitori della quindicenne. Tabassum Yousaf, avvocato dell’Alta Corte del Sindh che segue il caso, ha raccontato: “Ha chiamato i genitori di Huma con video-telefonate e, facendo vedere loro le armi, li ha minacciati dicendo che li avrebbe uccisi qualora avessero cercato la figlia. Lo stesso Mukhtiar ha aggiunto, tramite messaggi-audio, che anche se tutti i cristiani si mettessero insieme per riavere Huma lui ucciderebbe sia i genitori sia chiunque intenda aiutare questi ultimi”. Huma non è però la sola a subire questa sorte. In Pakistan vengono infatti rapite oltre 2mila cristiane ogni anno. Solamente poche riescono a fuggire. Noi vogliamo aiutarle, fornendo assistenza legale alle vittime di sequestri, matrimoni forzati e conversioni coatte, dando vita a consultazioni con le autorità di governo e i rappresentanti politici.

Siria, Nigeria, Pakistan. Tre Paesi, un’unica sofferenza. Aiutaci ad aiutare. Fai la differenza.