Wuhan, primo epicentro noto della pandemia di Covid-19, può tranquillamente essere soprannominata “la città dei misteri”. L’arcano sulle origini del Sars-CoV-2 si intreccia assieme ad altre domande rimaste tutt’ora senza risposta. Nei prossimi giorni, una task force di esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) volerà nel capoluogo dello Hubei proprio per far luce sul virus (quando è nato, in quali circostanze e via dicendo). Collegate alla pandemia, o meglio dirette conseguenze dell’emergenza sanitaria, vi sono almeno altre due zone d’ombra.
La prima: è vero che la Cina ha tardato nell’avvisare il mondo intero di quanto stava accadendo a Wuhan? La seconda: è altrettanto vero che le autorità cinesi hanno tappato la bocca a blogger, giornalisti e professionisti che, nelle prime fasi della pandemia, cercavano di informare gli altri cittadini sui social in merito alla gravità della situazione? Per quanto riguarda i ritardi, a detta di molti esperti è altamente improbabile – se non impossibile – che il governo cinese si sia volutamente mosso in ritardo sulla pandemia.
Molto più verosimile ipotizzare un mix di concause, tra cui l’errore di sottovalutazione da parte delle autorità locali di Wuhan – che tuttavia si trovavano di fronte a qualcosa che nessuno conosceva – e la fatica a comprendere quanto stava accadendo. Questo ha generato un certo ritardo comunicativo tra il centro e la periferia, colmato in un secondo momento da misure restrittive tanto fulminee quanto stringenti.
La gestione degli eventi catastrofici
Molto più complesso fare luce sulla seconda zona d’ombra, quella relativa agli arresti dei cittadini che avrebbero tentato di raccontare i fatti di Wuhan dall’interno megalopoli. Impossibile avere certezze assolute, data la mancanza di prove concrete e la presenza di più versioni contrastanti tra loro. Proviamo però a mettere insieme le tessere del puzzle cercando di fare più chiarezza possibile.
Sono lontani i tempi della Sars quando, a cavallo tra il 2002 e il 2003, la Cina reagì con il silenzio all’epidemia di un coronavirus lontano parente del Sars-CoV-2. In quell’occasione, il governo avvertì l’Oms soltanto nel febbraio 2003 nonostante i primi casi dell’infezione apparvero nel novembre 2002. Da quel momento in poi, e dopo le critiche ricevute, Pechino ha completamente rivoluzionato il meccanismo alla base della gestione degli eventi catastrofici (epidemie comprese). Tra la stesura di precisi piani di emergenza, regolamenti, provvedimenti e leggi, la creazione di uffici specifici e centri di controllo – sia a livello nazionale che locale – e l’approvazione del Piano Generale per la Risposta Rapida alle Emergenze Pubbliche, la macchina cinese dei soccorsi cambia radicalmente cilindrata. Eppure, a Wuhan, lo scorso gennaio qualcosa è andato storto. La colpa ricade sugli amministratori locali, molti dei quali rimossi dagli incarichi ricoperti.
Anche alcuni cittadini vengono puniti con diffide, richiami e arresti. Tra questi spicca il nome di Li Wenliang, il medico cinese divenuto famoso per esser stato il primo ad aver dato l’allarme sullo scoppio della pandemia legata al diffondersi del Sars-Cov-2. Inizialmente, il dottor Li viene accusato dalle autorità di un eccesso di allarmismo. La polizia di Wuhan, il 3 gennaio, censura il medico per “aver fatto commenti falsi su Internet”. Li non ha mai ricevuto sanzioni, e per questo può subito tornare a lavoro. Riceve però un chiaro avvertimento: quello di subire un procedimento formale in caso di recidiva. In un secondo momento Li, silenziato dalle autorità, viene contagiato dal Covid e perde la vita sul campo di battaglia. È troppo tardi quando il medico viene riabilitato e il governo cinese invia a Wuhan un gruppo d’indagine per far luce sulla morte del giovane cinese.
Scomparsi
Accanto alla vicenda di Li Wenliang trovano spazio le storie di altri cittadini silenziati dalle autorità. Abbiamo visto qual è il modus operandi cinese davanti a catastrofi nazionali. La cabina di regia spetta al governo centrale che, su input delle amministrazioni locali coinvolte nei disastri, interviene fornendo output ben precisi. Nessuno può interrompere questo processo, o peggio generare confusione mettendo in circolazione voci non confermate da Pechino (con il rischio di alimentare il caos). Considerando poi che nessuno sapeva cosa fosse e come si comportava il Covid-19, e che certi amministratori locali sperano di risolvere i problemi relativi ai loro territori senza scomodare Pechino, è facile immaginarsi perché, nel caso iniziale di Wuhan, diverse persone siano sparite dai radar.
A distanza di mesi, la blogger Zhang Zhan è stata condannata a quattro anni di carcere. Le accuse a suo carico, come riporta il sito della Bbc, sono di aver fornito “false informazioni” nei suoi reportage e averle diffuse attraverso Twitter, YouTube e WeChat, relative alla pandemia in atto e di aver concesso “interviste a media stranieri”. La donna deve rispondere anche del reato di aver creato disordini. Zhang, 37 anni, si era recata a Wuhan a febbraio e ha pubblicato su varie piattaforme di social media racconti sull’epidemia. La blogger è stata arrestata a maggio mentre il Paese stava introducendo rigide misure restrittive volte a frenare i contagi e una forte censura per stroncare sul nascere ipotetiche voci diffuse sulla rete.
Oltre a Zhang anche Chen Qiushi, un ex avvocato diventato giornalista, è stato arrestato a gennaio. Anche il giornalista Li Zehua, che si è recato a Wuhan per raccogliere informazioni dopo la scomparsa di Chen, è scomparso all’inizio di febbraio ma è stato rilasciato ad aprile. Fang Bin, residente a Wuhan, è scomparso nello stesso periodo, ma da allora non è più stato visto. Diverso il discorso relativo a Fang Fang, una scrittrice cinese famosa in tutto il mondo per aver raccontato quotidianamente, e senza filtri, quanto stava accadendo nella città di Wuhan durante il lockdown, al tempo del coronavirus. La signora Fang, al netto di qualche episodio di censura, non è scomparsa dai radar. Anzi: ha potuto pubblicare un libro-diario sui fatti di Wuhan (uscito in Italia con il titolo Wuhan. Diario di una città chiusa).