Nel mondo c’è un modello di lotta al coronavirus che ha ottenuto risultati eccellenti. E no, non stiamo parlando di qualche regime autoritario agevolato dalla possibilità di attuare misure draconiane senza troppo interessarsi della reazione dell’opinione pubblica. Ci riferiamo a Taiwan, dove non si vede un contagio interno da 200 giorni. Certo, il Sars-CoV-2 non è stato debellato completamente dall’isola, visto che Taipei deve fare i conti con i (pochi) casi provenienti dall’estero. Possiamo tuttavia sostenere che il virus non circola più all’interno del Paese.
Grazie al suo modus operandi, Taiwan ha fin da subito messo una museruola al Covid e arginato le successive ondate. Mentre l’Asia e il resto del pianeta hanno dovuto affrontare il ritorno di fiamma del virus, la provincia ribelle (come la chiama la Cina) non è stata minimamente scalfita. I numeri parlano chiaro: dall’inizio della pandemia a oggi si contano meno di 600 casi (557), meno di 10 morti (7) e appena 33 casi attivi. Calcolatrice alla mano sull’isola ci sono rispettivamente 23 casi e 0,3morti ogni milione di persone. Non male per un Paese che conta circa 24 milioni di abitanti. Anzi: un vero e proprio trionfo sanitario.
Il segreto del successo
Se diamo uno sguardo ai Paesi più virtuosi nella lotta al virus, praticamente nessuno ha fatto meglio di Taiwan. La Cina, ad esempio, che pure è riuscita a stoppare il virus, ha comunque dovuto scontare un inizio complicato e attuare provvedimenti pesanti per spegnere il focolaio di Wuhan. Gli esperti hanno elogiato il sistema taiwanese. Molti sono rimasti impressionati di come Taipei sia riuscita a stroncare la trasmissione del Covid all’interno della comunità. Una comunità, tra l’altro, che presenta aree densamente popolate.
Due sono i principali segreti del successo di Taiwan. Primo: decisioni tempestive. Secondo: il contact tracing spinto ai massimi livelli grazie a un intenso utilizzo della tecnologia. Scendendo nel dettaglio, il governo guidato da Tsai Ing Wen ha avviato un tracciamento pressoché immediato dei contatti di ogni caso risultato positivo, accompagnato da quarantene mirate e un utilizzo diffuso della mascherina (un’abitudine consolidata da precedenti epidemie, su tutte la Sars). Ricordiamo che il Paese ha iniziato a chiudere i confini già a partire da gennaio, prima ancora che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) diffondesse istruzioni più dettagliate sul virus.
Cosa possiamo imparare
A differenza di Cina e Corea del Sud, due dei Paesi che meglio hanno gestito la pandemia ma molto sui generis – il primo un sistema autoritario, il secondo troppo tecnologico per gli standard occidentali – la democratica Taiwan offre diverse lezioni che l’Occidente potrebbe imparare in vista dell’immediato futuro. Innanzitutto il caso Taipei evidenzia come il contact tracing e la quarantena immediata dei positivi risultino due pratiche efficaci.
Attenzione però, perché la parola d’ordine affinché tutto funzioni è tempestività. Detto altrimenti, il tracciamento deve avvenire quando i numeri dei contagi è ancora contenuto. Nel caso di Taiwan, il contact tracing dell’isola riesce a risalire mediamente a una trentina di contatti per ogni caso confermato. Ogni soggetto individuato deve restare in quarantena per 14 giorni (indipendentemente dal fatto che sia positivo o negativo al virus). In mezzo a tutto questo, il governo ha pensato misure apposite per fornire pasti e assistenza a chi è in isolamento (e qui la tecnologia aiuta, grazie ad alcuni programmi per smartphone). Chi infrange la quarantena rischia fino a 35mila dollari di multa.