Incastonato tra Sudafrica e Mozambico, il piccolo Stato dello Swaziland (noto ufficialmente come Eswatini) è una delle ultime monarchie assolute del pianeta, e l’unica dell’Africa. Il Regno, un’ex colonia britannica che dal 1986 è retta congiuntamente da re Mswati III e dalla madre Ntfombi, vive costantemente al crocevia tra il tradizionalismo più radicale e una voglia di modernità che, tuttavia, difficilmente lascia le stanze del palazzo reale, in un’atmosfera di arretratezza sociale ed economica sulla quale si stagliano le ombre del mancato rispetto dei diritti della massima parte della popolazione. Una situazione, quest’ultima, denunciata da numerosi gruppi umanitari, da ultimo Human Rights Watch lo scorso 18 luglio.

“Un monarca assolutista e autoritario”

Come riporta All Africa, l’ultimo report dell’organizzazione statunitense accusa in modo netto il governo dello Swaziland, attribuendo a re Mswati e ai suoi ministri numerose violazioni della libertà dei singoli individui: a detta di HRW, le proteste della popolazione, accesi negli ultimi mesi a causa della diminuzione dei salari dei lavoratori del settore pubblico, sarebbero state bloccate ricorrendo all’uso della violenza da parte della polizia locale, provocando almeno quattro feriti gravi.

L’esistenza di un atto denominato Sedition and Subversive Activities Act consente alle autorità swazilandesi di criminalizzare e punire “ogni azione o parola considerata sediziosa nei confronti dello Stato”, come dimostrano la repressione delle proteste e la chiusura di quotidiani ritenuti critici verso il regime, oltre alle proposte di bandire la comunità Lgbtq e di “marchiare e sterilizzare” le persone affette da HIV (il 26% della popolazione, su un totale di 1,6 milioni di abitanti). Inoltre, sfruttando una legge del 1973 (nata come decreto d’emergenza ma mai abrogata), il monarca possiede legalmente l’autorità suprema sia sul potere giudiziario che su quello esecutivo, e ha la facoltà di bloccare ogni decisione presa dal parlamento. Di fatto, il suo potere è elevato al di sopra della legge, e gli consente di prendere decisioni autonomamente e senza alcuna necessità di consultarsi con i propri ministri: un esempio è rappresentato dalla scelta, lo scorso anno, di rinominare il Paese in “Eswatini”, il termine comunemente utilizzato in lingua swazi per riferirsi al reame. Questo cambio di denominazione, a detta del sovrano rivelatosi necessario per evitare l’eccessiva assonanza tra “Swaziland” e “Switzerland”, è giunto nel cinquantesimo anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito, e di fatto è avvenuto senza nessuna modifica alla costituzione (che la stessa legge dello Stato prevederebbe, almeno in teoria). Una faccenda apparentemente innocua, ma che costituisce un precedente potenzialmente pericoloso.

Feticci e Rolls Royce

L’impianto autoritario del Paese si inserisce all’interno di un tessuto sociale e culturale estremamente complesso e, almeno sulla carta, profondamente tradizionalista e conservatore: lo dimostra il fatto che uno dei titoli ufficiali della Regina Madre sia “Custode dei Feticci” e che quest’ultima presieda a un evento importantissimo per la piccola nazione: l’Umhlanga, letteralmente “Danza del giunco”, nel corso del quale migliaia di ragazze nubili si radunano ogni anno presso il villaggio di origine della sovrana e danzano per il re. Al termine dell’avvenimento, che dura otto giorni, quest’ultimo sceglie 365 giovani, che sino all’Umhlanga successivo vivranno come concubine nel palazzo reale. Spesso, una prescelta tra loro va ad aggiungersi alle mogli del monarca, attualmente quindic

i. Non va poi dimenticato l’ambiguo rapporto del Paese con la stregoneria: sfide rituali tra sciamani e maghi locali hanno periodicamente luogo in tutto lo Swaziland, e, nonostante esista un Witchcraft Act promulgato nel 1889 e mai abrogato, è raro che la monarchia ne vieti lo svolgimento (un caso eclatante di questo tipo ha avuto luogo proprio qualche giorno fa, con la diffida nei confronti di un cittadino congolese presunto organizzatore di un duello tra stregoni). Le contraddizioni, tuttavia, non mancano: lo stile di vita di re Mswati è spesso al centro delle critiche della comunità internazionale per i suoi eccessi, tra i quali spicca una collezione di auto di lusso che il monarca, in seguito agli attacchi ricevuti, ha proibito di fotografare, e le numerose consorti (la maggior parte delle quali possiede un palazzo dedicato) si fanno spesso notare per le loro vistose spese all’estero. Una parte del budget nazionale viene appositamente riservato alla famiglia reale, in una nazione nella quale il 63% degli abitanti vive con meno di 1,25 dollari al giorno e il 69% si trova sotto la soglia di povertà.

Cina? No, grazie

Con simili premesse, non c’è da sorprendersi se l’economia dello Swaziland risulta notevolmente arretrata rispetto a quella dei suoi vicini. La moneta nazionale, il lilangeni, è equiparata al rand sudafricano, e Pretoria è il principale partner sia in termini di importazioni (il 95% dei beni totali) che di esportazioni (circa il 59%). Anche l’Europa si sta imponendo come un interlocutore d’interesse, specie per quello che riguarda l’industria tessile. Trattandosi di un Paese senza sbocchi sul mare, è molto importante il legame con il Mozambico, dai cui porti dipendono tutti i trasporti marittimi da e per l’esterno. Il paradosso reale riguarda però la ricchezza di risorse presenti nel territorio, come lo zucchero (i cui volumi produttivi situano il regno al quarto posto nel continente africano) e le miniere, il cui continuo declino è principalmente dovuto all’arretratezza delle leggi in merito (stilate in epoca coloniale).

Proprio l’industria mineraria è attualmente al centro dei contatti con la Cina, che vorrebbe incentivare lo sviluppo del settore in cambio del suo sfruttamento: ma il legame con Taiwan (dopo il passo indietro del Burkina Faso lo scorso anno, lo Swaziland è il solo Paese africano a riconoscerla) ha finora bloccato ogni mossa di Pechino, accolta a braccia aperte dalla gran parte dei leader africani. Lo stesso sovrano ha visitato Taipei in ben diciassette occasioni, e le autorità taiwanesi si sono spesso impegnate nell’elargizione di borse di studio e assegni per la realizzazione di infrastrutture: chiudere la porta a quello che, ad oggi, è il solo vero amico della monarchia, sarebbe un salto nel vuoto per Mswati III, e non necessariamente verso una situazione migliore.

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