Istituire stazioni di vaccinazione Covid per immunizzare i cittadini cinesi all’estero e, allo stesso tempo, lavorare spalla a spalla con il Comitato Olimpico Internazionale per somministrare i vaccini agli atleti olimpici in vista dei XXIV Giochi olimpici invernali in programma a Pechino nel 2022. Dopo giorni di calma apparente, durante i quali tutti i riflettori erano puntati sullo Spunitk V, tornano a farsi largo i vaccini cinesi. Sieri, tra l’altro, già presenti presenti in Europa in quanto approvati o autorizzati per uso limitato in Ungheria, Serbia e Ucraina.

La notizia principale non riguarda tuttavia i vaccini cinesi, quanto l’ultima strategia che potrebbe presto adottare Pechino al di fuori della Grande Muraglia. “Ci stiamo preparando a creare siti di vaccinazione regionali per i vaccini prodotti a livello nazionale nei Paesi in cui le condizioni lo consentono, per fornire servizi ai compatrioti bisognosi nei paesi vicini”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Wang Yi, in conferenza stampa. In sostanza, Pechino vuole espandere la propria rete di vaccinazione in modo tale da poter coprire anche i cinesi residenti all’estero per i più svariati motivi. Anzi: lo stesso Wang ha affermato che alcuni cittadini stavano già ricevendo vaccini di fabbricazione cinese, secondo la legge locale.

Il piano di Pechino

Come ha sottolineato l’agenzia Reuters, la Cina ha sviluppato oltre quattro vaccini a livello nazionale, avviando la propria campagna di vaccinazioni con l’obiettivo di immunizzare il 40% della sua popolazione entro il mese di luglio. A dire il vero, e a differenza di molti Paesi occidentali, la campagna vaccinale di Pechino non è partita a razzo. Vari i motivi: in primis una situazione epidemiologica nazionale sostanzialmente tranquilla in seguito alle misure draconiane adottate nel corso della prima ondata, lo scorso marzo.

Pur senza vaccini, ma solo con chiusure e quarantene, il Dragone è riuscito a mettere una museruola al Sars-CoV-2. Risultato: a fase emergenziale finita, le aziende farmaceutiche cinesi hanno avuto la possibilità di concentrarsi sui mercati esteri, affamati di dosi. Certo, la Cina ha subito preventivato di immunizzare tutta la propria popolazione, ma lo ha fatto senza arrivare all’appuntamento cruciale con le ossa distrutte. Oltre ai cinesi residenti in patria, Pechino ha intenzione anche di raggiungere i tanti espatriati, trasferiti all’estero per lavoro, studio o altre ragioni. In che modo? Attraverso la costruzione di strutture ad hoc, ma sul tema non sono stati forniti ulteriori dettagli specifici. Il ministro Wang ha anche accennato alla volontà cinese di riconoscere reciprocamente i vaccini con altri Paesi.

Vaccini per tutti

Il governo cinese prevede di fornire 10 milioni di dosi di vaccini anti Covid a Covax, il programma globale di condivisione dei vaccini. In più, come se non bastasse, gli antidoti anti Sars-CoV-2 delle aziende cinesi sono stati già offerti a moltissimi Paesi, tra cui Turchia, Indonesia, Emirati Arabi Uniti e Brasile. L’approccio sposato dalla Cina, da un certo punto di vista, è diametralmente opposto rispetto a quello adottato da certe potenze europee.

Da una parte, quindi, abbiamo il metodo della condivisione, sposato da Pechino e utilissimo per tessere nuovi rapporti internazionali; dall’altra, ecco prendere forma il “nazionalismo del vaccino“, come lo ha definito il ministro cinese Wang. Stati Uniti e Unione europea, ad esempio, hanno espressamente ribadito di voler prima pensare ai propri cittadini, e solo in seguito anche al resto del mondo (ciò nonostante, l’Ue avrebbe esportato diverse dosi all’estero). Nel frattempo, la Cina ha già fatto capire di aver intrapreso la strada opposta.

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