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Il Sinai è sempre più terra di nessuno, un’appendice egiziana del Daesh e a confermare tutto ciò sono i continui scontri tra le forze di polizia e dell’esercito contro i terroristi islamici. L’ultimo è avvenuto lo scorso fine settimana, e ha portato alla morte 13 uomini della polizia che presidiavano un check point a El-Arish e sono stati attaccati a colpi di mortaio.

I militari egiziani uccisi nell’attacco compiuto domenica scorsa dalle forze dello Stato Islamico sono soltanto gli ultimi, di un lungo elenco di caduti nella penisola egiziana, a causa delle azioni delle brigate ribelli legate al Califfato di Al Bagdadi.

Da quando nel 2013 Mohamed Morsi è stato spodestato con un colpo di stato, centinaia di uomini della sicurezza sono stati uccisi in quella che è divenuta un’area estremamente fragile e delicata, non solo per la situazione del Paese nord africano ma anche in un’ottica regionale molto più ampia.

Anche se i 5 guerriglieri dell’Is che hanno commesso l’attacco sono stati poi uccisi, stando a quanto riportato dalle fonti interne egiziane, in ogni caso la strategia condotta dagli insorti sembra infliggere più perdite alle forze armate di quante poi queste siano in grado di infliggerne agli islamisti.

Nel Sinai infatti gli attentati, suicida e non, continuano a scuotere la penisola e non occorre dimenticare che è anche la zona dell’Egitto in cui si è verificata l’esplosione dell’aereo di linea russo. Un attentato rivendicato dall’Isis, che ha provocato la morte di 224 persone.

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