Con l’avvento della pandemia di coronavirus, in tutto il mondo si è registrato un aumento delle diseguaglianze sociali e delle tensioni interne tra la popolazioni. In modo diverso ma al tempo stesso anche speculare, Americhe, Europa, Asia ed Africa hanno visto una rinascita delle proteste di piazza, a lungo fermate sia dalla paura per il patogeno sia dalle forti limitazioni imposte dagli organi nazionali. E in questo scenario, che in momenti diversi ha preso piede in tutto il mondo rendendo però l’idea di un fenomeno destinato ad essere duraturo nel tempo, potremmo assistere a quella che potrebbe essere definita come una nuova stagione di proteste e insurrezioni popolari.

Gli Stati Uniti sono spaccati in due

La prima vera e propria protesta di questo 2020 è iniziata nel mondo americano a seguito dei fatti successivi all’uccisione del cittadino afroamericano George Floyd da parte della polizia. La rinascita infatti dei movimenti in favore dei diritti della popolazione nera ha segnato una netta spaccatura all’interno dell’opinione pubblica americana, contribuendo in modo molto più marcato che in passato alla campagna elettorale per le elezioni presidenziali.

Tra chi – come il candidato democratico Joe Biden – ha scelto di appoggiare il movimento del Black lives matter  e chi – come il presidente uscente Donald Trump – ha scelto invece di schierarsi a favore delle forze dell’ordine e della sicurezza nazionale, gli Usa sono spezzati da una gola più profonda della faglia di San Andreas. E proprio da questo clima di instabilità, in fondo, potrebbe uscire dalle urne elettorali – per un verso o per l’altro – il nome del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America.

L’Europa è sul piede di guerra

Mentre il fenomeno razziale ha trovato il suo “successo” nel mondo trans-oceanico, fatta salva qualche sporadica manifestazione e in modo leggermente più importante soltanto in Francia e Regno Unito in Europa il movimento non ha mai davvero attecchito. Questo perché, verosimilmente, con il passaggio della pandemia di coronavirus e con le elezioni lontane ancora in molti Paesi l’argomento divisivo in campo socio-politico non ha incontrato in modo così marcato l’interesse popolare.

Un argomento che ha però colpito particolarmente gli Europei è quello riguardante lo stato di salute dell’economia e – benché ciò si fosse reso evidente già nella prima ondata – in questo autunno la situazione è divenuta ancora più calda. Dalle battaglie contro le restrizioni portate avanti in Germania, Spagna e Francia alle proteste di piazza dei commercianti che si sono verificate in Italia nelle ultime ore, la popolazione europea è di fatto insorta contro quella che molti – forse erroneamente – hanno definito “dittatura sanitaria”. E questo aspetto, in fondo, potrebbe essere destinato ad accompagnare la nostra quotidianità per molte settimane ancora a venire, così come a divenire ago della bilancia nella scelta degli stessi esecutivi nazionali.

Anche dove il coronavirus ope legis quasi non esiste si sono verificate delle forti proteste di piazza nei confronti della presidenza nazionale: e questo, infatti, è il caso della Bielorussia. Per la prima volta dal 1994 Aleksandr Lukashenko è stato investito da un moto d’insurrezione popolare senza precedenti, che per la prima volta è riuscito a mettere in crisi e portare lo sguardo internazionale su quel piccolo ex-soviet dell’Urss a lungo dimenticato dal mondo. E se la sfiducia verso il presidente non è provenuta soltanto dai moti popolari – le stesse alleanze di Minsk non sono mai apparse tanto traballanti – ad essere messo in crisi in questo modo è lo stesso sistema politico della Bielorussia, forse il quanto di più simile rimasto come gestione interna alla ex-Unione sovietica.

L’Italia riscopre la guerra di strada

Un caso dalle declinazioni particolari e sul quale è necessario soffermarsi non soltanto per la vicinanza riguarda quanto è accaduto nelle scorse ore e che con molte probabilità potrebbe riaccadere anche nei prossimi giorni nel nostro Paese. In Italia, infatti, il clima di sfiducia nei confronti dell’esecutivo e soprattutto la rabbia – e il disgusto – di molte persone nei confronti di alcune misure ritenute eccessivamente stringenti e potenzialmente in grado di strangolare l’economia è sfociato nelle violenze di strada. Da Napoli a Milano, passando per Torino e arrivando sino a Roma, al fianco delle manifestazioni pacifiche sono entrati in scena i movimenti di protesta, in un panorama rivelatosi particolarmente amalgamato ed esteso ad ogni ideologia politica.

La sensazione, però, è che in queste ore l’esecutivo italiano stia affrontando una fase molto complicata e nella quale il suo gradimento è sceso ai minimi dal proprio insediamento. Anche tra coloro che sino agli scorsi giorni lo avevano sostenuto ed anche all’interno dello stesso esecutivo – vedasi Italia Viva – sono cresciuti i malumori, al punto da aver messo di fatto il governo spalle al muro, chiuso dalla morsa delle proteste popolari, dalle insurrezioni interne e dalla morsa della pandemia di coronavirus. In generale, la situazione che si è creata ha generato una guerra di trincea tra opinione pubblica e governo, con davvero poche voci ormai che sostengono a viso aperto l’operato del Consiglio dei ministri. E in questa situazione, tenute di conto anche le criticità della gestione della pandemia che permangono tali e quali a prima, si potrebbe quasi dire che il governo ormai sia sul piede di guerra.

La Francia ha riscoperto Charlie Hebdo

A seguito dell’uccisione del professore francese accusato dal suo omicida di aver mostrato in classe ai suoi alunni delle vignette di Charlie Hebdo raffiguranti l’immagine del profeta Maometto, la Francia ha riscoperto le sue differenze con la comunità islamica. E in modo particolare, le immagini successive all’uccisione del professore hanno generato una nuova ondata di sdegno che ha portato lo stesso governo francese a irrigidire le proprie posizioni nei confronti dell’islam – ovviamente, con particolare attenzione a quello radicale.

Anche in questo caso, però, il peggioramento delle condizioni sociale nel Paese ha dato vita ad un degenerare della situazione che, forse, senza il passaggio della pandemia non sarebbe venuto alla luce. E soprattutto, ha evidenziato quanto una popolazione assai variopinta ma poco amalgamata possa rivelarsi una bomba ad orologeria, mettendo in discussioni la stessa riuscita dell’integrazione all’interno del sistema francese.

In Asia ci si rivolta all’ordine costituito

Nascono da tre motivazioni assai distinte, ma le rivolte popolari che hanno di nuovo preso piede in Iraq nelle ultime ore, le proteste ormai durature dei giovani thailandesi e l’insurrezione delle scorse settimane del popolo kirghiso hanno un sostanziale elemento in comune: la lotta contro la corruzione e contro un sistema politico, forse, diventato ormai vetusto. E questo accade anche nel più solido mondo asiatico.

Dopo il fermo provocato dai blocchi per la pandemia di coronavirus, la popolazione irachena è scesa di nuovo nelle piazze, invocando libere elezioni e la destituzione del governo del Paese. Con delle scene che pensavamo di aver dimenticato dall’inizio del 2020, dunque, Baghdad è tornata centro delle proteste mediorientali, in un momento in cui l’esecutivo locale affronta forse la più grande fase di debolezza dal suo insediamento. E soprattutto, questa volta e mai come prima dovrà fare i conti con le minoranze del Paese.

A muovere invece il popolo del Kirghizistan sono state anche le minoranze, ma quelle residenti all’estero: l’allusione è chiaramente alla condizione degli uiguri – i “fratelli” della Cina – e ai rapporti troppo fitti che, nonostante ciò, Biskek intratterrebbe da anni con Pechino. In questo caso, infatti, la rabbia della popolazione nei confronti di un rapporto economico stretto a doppia mandata con la Cina è degenerata in esasperazione, e per la prima volta il popolo kirghiso ha messo seriamente in discussione un sistema politico duraturo sin dalla dissoluzione dell’Unione sovietica e dalla conseguente riappacificazione della regione.

Maggiori diseguaglianze, maggiori paure, maggiori proteste

Come sottolineato nell’introduzione, l’aumento della diseguaglianza percepita e le preoccupazioni riguardanti il futuro sono divenute l’elemento chiave per lo scoppio di una nuova e sempre crescente serie di proteste diffuse a livello mondiale. Sebbene queste insurrezioni non siano in sé strettamente legate fra di loro hanno un elemento in comune molto interessante: la tempistica. Particolare non di secondo piano, considerando l’evento epocale che si sta attraversando da quando dalla regione dello Hubei si è diffuso il coronavirus.

In questo scenario, dunque, la sensazione è che il mondo si trovi davanti ad una nuova stagione di insurrezioni, ognuna delle quali con le volontà e le capacità di mettere in discussione le fondamenta stesse del modo in cui viene fatta la politica in ogni rispettivo Paese. E soprattutto, potrebbe aprire uno squarcio ancora dalla difficile lettura e dalle offuscate conseguenze che potrebbe cambiare il volto della situazione interna e degli equilibri anche internazionali dei prossimi anni.