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La pirateria è tornata a terrorizzare i caraibi. Le coste dello stato venezuelano di Sucre, un tempo maggior produttore di tonno del mondo, sono infestate da imbarcazioni di ex-pescatori divenuti predoni del mare per cercare di sopravvivere alla gravissima crisi economica in cui è sprofondato il Venezuela.A Sucre molti ricordano come un tempo i porti dello stato ospitassero la quarta flotta al mondo di pescherecci per la pesca del tonno e una prospera industria ittica. Oggi l’intero settore è al collasso, insieme a praticamente tutte le altre attività economiche in Venezuela, a causa delle scellerate decisioni del governo bolivariano. Spinti dalla disperazione e dalla fame, gang di pescatori disoccupati hanno convertito le loro imbarcazioni in navi pirata, attaccando gli altri bastimenti che si avventurano per quelle acque, rubando il carico (molto spesso pesce) e i motori. Gli sfortunati equipaggi delle navi attaccate vengono legati e gettati in mare, o spesso eliminati con armi da fuoco. Dall’inizio del 2016 le autorità locali hanno registrato quotidianamente centinaia di segnalazioni di abbordaggi in alto mare, le quali hanno provocato la morte di decine di persone.“I pescatori non riescono più a sopravvivere pescando, e per questo motivo usano le loro navi per le opzioni che gli restano: contrabbandare benzina, trafficare droga e la pirateria”, ha affermato José Antonio García, leader del principale sindacato dello stato di Sucre.Collasso economicoNella regione costiera del Venezuela, la pesca si è ridotta a meno di un terzo delle 120 mila tonnellate di tonno che il Venezuela produceva nel 2004. Lo scorso giugno Sucre è stata l’epicentro di tumulti causati dalla mancanza di alimenti, che si sono rapidamente diffusi in tutto il Paese. E pensare che lo stato di Sucre era tradizionalmente considerato un bastione della rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez. Ma l’appoggio alla “revolucion” e al “socialismo del XXI secolo” è iniziato a scemare rapidamente quando nel 2010 il governo ha decretato la statalizzazione della maggiore azienda di pesca della regione, la Pescalba. Con risultati ovviamente disastrosi. Se un tempo i pescherecci partivano prima dell’alba e rimanevano tutto il giorno al largo, oggi più della metà della flotta rimane attraccata al porto, oziosa, con barche crivellate di colpi e scafi arrugginiti. Il porto è così silenzioso che sembra che i lavatori marittimi siano in sciopero permanente. Molte aziende private hanno trasferito le loro attività all’estero, perché il governo pretende che vendano la metà del pescato in moneta venezuelana, il bolivar, il cui valore virtuale è zero. Tanto che ormai non viene neanche più contata dagli esercenti commerciali, ma pesata con bilance.“Non ho mai visto un’implosione completa come questa senza che ci fosse una guerra a provocarla”, ha dichiarato l’economista venezuelano Alejandro Grisanti, che un tempo lavorava per la banca Barclays Capital.Zuppa di caneConseguenza diretta di sedici anni di chavismo: la fame. Le famiglie di Punta de Araya sono sopravvissute nel terzo trimestre di quest’anno nutrendosi di “zuppa di cane”, un brodo fatto con acqua del mare e i piccoli pesci che un tempo erano ributtati in mare dai pescatori. “Quelle piccole sardine hanno salvato le nostre vite”, ha dichiarato il bibliotecario Efren Pares.Disperati, i venezuelani stanno rubando quello che resta di un’era prospera, come le reti elettriche, i generatori di energia e i motori di poppa delle navi da pesca. Uccidendo senza pietà chiunque opponga resistenza. Le calde acque del Mar dei Caraibi si stanno trasformando ogni giorno di più in un violento campo di battaglia.@carlocauti





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