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Il 18 aprile del 2018 scoppiavano proteste in varie parti del Nicaragua in seguito a consistenti tagli al settore pensionistico e alla previdenza sociale; proteste evidentemente non previste dal presidente Daniel Ortega, al potere dal 2007, che ha risposto duramente, scatenando contro i manifestanti non soltanto la polizia ma anche bande armate di sostenitori sandinisti che hanno preso di mira indiscriminatamente chiunque capitasse a tiro. Il bilancio reso noto dalle organizzazioni per i diritti umani il mese successivo parlava di almeno 65 morti, molti dei quali studenti.

Un aspetto interessante quello della partecipazione degli studenti alle dimostrazioni di piazza, considerato che le università avevano tradizionalmente la reputazione di essere ideologicamente legate al movimento sandinista. Cosa è successo dunque? Sono in molti a ritenere che la difficile situazione economica del Paese, peggiorata drasticamente dopo la crisi in Venezuela (paese finanziatore del governo Ortega), i tagli al sistema pensionistico, le difficoltà in ambito sanitario, ma soprattutto la risposta violenta della polizia nei confronti dei manifestanti, hanno portato gli studenti nicaraguensi a unirsi alle proteste. Un problema di non poco conto per il governo Ortega, ben consapevole del ruolo fondamentale del settore universitario per quanto riguarda la formazione ideologico-politica della popolazione e non a caso i sandinisti sono da sempre molto attenti a quanto accade all’interno di tali strutture.

Violenza di Stato organizzata

Per contrastare i manifestanti Ortega non si è limitato all’utilizzo della polizia, ma ha anche sguinzagliato bande di sostenitori sandinisti, meglio noti come “turbas”, col compito di attaccare i manifestanti e nonostante il governo di Managua abbia negato ogni responsabilità, l’attività di questi gruppi è stata ampiamente documentata, con tanto di testimonianze degli aggrediti e con un rapporto pubblicato da Amnesty International.

Il sito statunitense Insight Crime è inoltre riuscito a raccogliere la testimonianza di “Eduardo”, un ex ufficiale della polizia nicaraguense con 20 anni di servizio alle spalle ed attualmente in esilio in Messico, il quale ha illustrato come Ortega abbia ordinato agli investigatori con maggior esperienza di far infiltrare i propri uomini tra i manifestanti con l’obiettivo di scoprire i movimenti, le identità dei leader, i luoghi di residenza; tutto materiale da consegnare poi al direttorato dell’intelligence della polizia nazionale che a loro volta istruiva i gruppi armati responsabili delle aggressioni e delle sparizioni; insomma, un vero e proprio spionaggio politico da regno del terrore. L’ex ufficiale ha poi svelato come alla polizia sia stato ordinato, durante le ultime due elezioni che hanno visto riconfermato Ortega, di sequestrare le schede elettorali coi voti dell’opposizione affinché venisse eletto il leader sandinista.

Un aspetto interessante reso noto da “Eduardo” è legato al fatto che Ortega aveva inizialmente ordinato alla polizia di non scendere in strada per contrastare i manifestanti, convinto che i suoi sostenitori si sarebbero riversati nelle piazze per fronteggiare gli oppositori, fatto che non si è però verificato. A quel punto un infuriato Ortega dava l’ordine alla polizia di scendere in strada per uccidere, mentre i superstiti sarebbero stati processati come “terroristi”. Non a caso tre mesi dopo il governo di Managua emanava una nuova legge “anti-terrorismo” che in sunto prevede pene fino a 20 anni di reclusione per chiunque danneggi proprietà privata o pubblica nonché nei confronti di chi ferisce o uccide in situazioni non legate a conflitto armato. Una definizione ambigua che fa temere il peggio in quanto a criminalizzazione dell’opposizione.

Il governo Ortega non prendeva di mira soltanto i manifestanti e gli studenti, ma anche tutte quelle attività commerciali sospettate di essere dalla parte dell’opposizione, procedendo con la chiusura forzata di negozi, distributori di benzina, farmacie, supermercati, procurando così un ulteriore duro colpo a un’economia già devastata dalla drastica riduzione dei flussi finanziari da Caracas che contribuivano a tenere a galla le casse dello Stato nicaraguense.

La repressione dei media e il caso di Manuel Diaz

La situazione risulta difficile anche per quanto riguarda i media nicaraguensi, con gran parte dei canali tv e della stampa in mano alla famiglia Ortega e con le poche eccezioni costantemente spiate e assediate, come nel caso della stazione Tv 100% Noticias, assalita in diretta lo scorso dicembre da paramilitari e polizia anti-sommossa che hanno poi posto in stato di arresto il direttore, Miguel Mora, con l’accusa di “terrorismo” e “incitamento all’odio”.

Una repressione che non risparmia neanche i blogger, come nel caso di Manuel Diaz, consulente per il marketing digitale e a capo del più famoso blog del Paese, “Bacanalnica“, nato anni prima con iniziativa ricreativa, assieme ad alcuni amici, come ci spiega lo stesso Manuel: “Il blog l’avevo creato assieme a tre amici nel 2001 ed era diventato il più famoso a livello nazionale per quanto riguardava l’umorismo e  l’intrattenimento. Poi, ho iniziato a occuparmi di fatti politici, sempre con humor e in seguito ai disordini dell’aprile sono partito con le critiche al governo”. Manuel Diaz è così divenuto rapidamente una delle principali voci del dissenso contro il governo Ortega, grazie anche al suo stile di scrittura, accattivante, ironico e diretto che lo ha portato ad avere un seguito di centinaia di migliaia di utenti.

Una popolarità che ha evidentemente messo in allarme il governo Ortega e un’ attività che ha portato Manuel a diventare bersaglio dei sandinisti, con tanto di minacce ed atti di diffamazione nei suoi confronti perpetrati anche via web, con tanto di foto che lo ritraggono in carcere, in manifesti da ricercato e con scritte che lo additano come “traditore della patria”. Il blogger a quel punto non ha potuto far altro che trasferirsi all’estero con la famiglia e fare domanda di asilo politico. Diaz però non demorde e da fuori dei confini del Nicaragua continua a condividere i suoi contenuti sul blog e ad essere critico nei confronti di quel governo Ortega che non tollera alcun tipo di dissenso.

Manuel ha tenuto a precisare ad Inside Over che il suo obiettivo è quello di ritornare al più presto in Nicaragua perchè quello è il suo Paese e che la sua situazione di asilo è prettamente temporanea. Il blogger ha inoltre fornito un’interessante visione per quanto riguarda la situazione di Ortega e della moglie, la vice-presidente Rosario Murillo; i due sarebbero infatti sempre più isolati, anche per quanto riguarda il proprio entourage politico. Basti pensare alla fuga in Costa Rica di Rafael Solis, ex giudice della Corte Suprema del Nicaragua, precedentemente molto vicino a Ortega e ora fortemente critico nei suoi confronti.

Manuel Diaz metteva in evidenza come Ortega e il suo entourage siano spalleggiati da vecchi sandinisti del periodo della guerra civile e come vivano immersi in una visione del mondo obsoleta, alienata, lontana dalla realtà e fondata su una retorica da guerra fredda che fa leva su quell’eredità sandinista difficilmente coniugabile con l’attualità e con la reale situazione del popolo nicaraguense.

In aggiunta, la crisi venezuelana ha segnato un duro colpo per Ortega visto che non può più contare sul supporto economico e petrolifero di Caracas. Il mandato del presidente scadrà nel 2021 e fino ad allora Ortega ha tutto l’interesse a mantenere il controllo sui media e a fare in modo che l’opposizione resti divisa, aggrappandosi al fatto che attualmente l’opposizione in Nicaragua non ha una solida figura di leader. In ogni caso, da qui al 2021 molte cose possono accadere e l’accentramento di potere accumulato negli anni da Ortega rischia di tramutarsi in un deleterio isolamento che potrebbe portare al crollo dello stesso governo-regime man mano che il dissenso nei confronti di presidente e consorte prende piede anche negli ambienti a loro favorevoli.

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