Uno dei (tanti) aspetti negativi delle guerre o delle crisi internazionali, è la strumentalizzazione sotto il profilo mediatico delle sofferenze dei bambini. I minori vengono usati talvolta per giustificare un intervento od un’azione militare, altre volte invece per cercare di orientare il pubblico in base alle emozioni suscitate da determinate immagini. La storia recente è piena di esempi di questo tipo: nell’era della comunicazione di massa, suscitare un’emozione di massa oltre ad essere più semplice è anche a volte necessario per giustificare un’azione. E le immagini di bambini che soffrono sono il più delle volte il mezzo che serve a questo preciso scopo. 

Il caso più eclatante: la falsa testimonianza al congresso Usa di Nayirah

È il settembre del 1990: da poco più di un mese il Kuwait risulta occupato dalle forze irachene. Saddam Hussein ne rivendica la sovranità, considerando il piccolo Stato sul golfo come la diciannovesima provincia irachena. Tutto nasce dal comportamento del Kuwait nei primi anni successivi alla guerra tra Iraq ed Iran. Gli emiri decidono di aumentare la produzione di petrolio, facendo crollare il prezzo del greggio. Ma non solo: i servizi segreti iracheni scoprono trivellazioni illegali da parte dei kuwaitiani, i quali rubano il petrolio a Baghdad. Un dramma per l’Iraq, che invece in quel momento ha bisogno disperato di soldi per ricostruire il paese dopo la guerra. Da qui la decisione di entrare in Kuwait. Ma gli Usa non ci stanno ed intervengono a difesa degli emiri. Nel golfo persico rullano i primi veri tamburi di guerra dopo il crollo del muro di Berlino. Perdere le forniture kuwaitiane di petrolio, oltre che avere un Iraq più forte nella regione, per Washington risulterebbe una sconfitta in un momento poi dove la crisi dell’Urss lascia agli Usa la palma di unica superpotenza mondiale. 

L’obiettivo è intervenire, ma il conflitto risulta inizialmente impopolare all’opinione pubblica statunitense. Serve quindi convincere il pubblico che una guerra deve essere fatta. Saddam Hussein, elogiato pochi anni prima come eroe anti Khomeyni, diventa il nuovo nemico numero uno. Iniziano ad essere raccontate presunte atrocità compiute dal suo esercito in Kuwait. Come se non bastasse, gli emiri dal loro esilio pagano una società statunitense per “rifare il look” a Saddam. Si tratta della ‘Hill&Knowlton’, incaricata di elaborare strategie comunicative volte a screditare il governo iracheno. E per fare questo viene ingaggiata anche una bambina: si tratta di Nayirah. In quel settembre del 1990 per l’appunto, è lei a parlare al congresso per testimoniare il rovesciamento delle incubatrici con all’interno i neonati ad opera dei soldati di Saddam presso l’ospedale di Kuwait City. La bambina inizia a piangere mentre le telecamere la inquadrano. L’emozione suscitata è fortissima, si parla di neonati morti ed a farlo è una ragazzina di appena nove anni davanti il Congresso. Il pubblico le crede e la guerra inizia ad essere popolare. Anzi, quando poi a gennaio i primi aerei Usa sganciano le bombe su Baghdad uno dei pretesti è proprio il pianto di Nayirah.

Un anno dopo, il New York Times svela l’arcano. Nayirah è figlia dell’ambasciatore kuwaitiano a Washington, ad agosto e settembre di quell’anno non ha mai messo piede in Kuwait. La ragazzina ha recitato una parte che le hanno fatto imparare appositamente. È troppo tardi: la guerra, con il suo carico di morte e con le sue distruzioni, risulta già finita da diversi mesi. 

Da Aleppo alle navi Ong 

Un altro esempio recente è indubbiamente la guerra in Siria. Tante e troppe volte, quando ancora nel 2016 la città di Aleppo risulta in parte occupata da terroristi e miliziani jihadisti, si cerca di orientare l’opinione del pubblico in base alle immagini di bambini in difficoltà. Si parla di ospedali colpiti da parte dell’aviazione, di clown inviati in mezzo le macerie di interi quartieri devastati per intrattenere minori rimasti orfani. In quel caso, occorre nascondere il fallimento mediatico da parte occidentale in Siria, lì dove nei primi anni di guerra terroristi senza scrupoli vengono fatti passare invece per gruppi di liberatori. Nei mesi che anticipano l’intera riconquista di Aleppo da parte dell’esercito siriano, avvenuta poi nel dicembre del 2016, nelle tv è un susseguirsi di immagini di bambini sofferenti. A Parigi, per alcuni giorni, viene anche spenta la Tour Eiffel in segno di solidarietà ai minori di Aleppo. 

Un “effetto pietà” che proprio in relazione alla guerra siriana viene usato anche per cercare di suscitare emozione circa la crisi dei migranti originata da quel conflitto. Quando si parla di accoglienza e della necessità della stessa, sui volti dei minori le telecamere indugiano sempre di più. È il caso di Alan Kurdi, il bambino di Kobane ritrovato riverso senza vita su una spiaggia turca nel settembre 2015. Il suo volto diventa simbolo dell’emergenza innescata dall’apertura della rotta balcanica, ma anche elemento strumentalizzato politicamente contro chi critica le misure volte ad un maggior controllo dei confini e ad un ridimensionamento del numero di migranti da far entrare in Europa. 

Stesso scenario anche nelle recenti polemiche in merito la chiusura dei porti italiani alle navi Ong. Proprio in questi giorni si vive l’ennesimo tira e molla sulla nave Sea Watch, che a bordo ha 49 migranti recuperati nel canale di Sicilia. Come fa notare su La Verità Maurizio Belpietro, durante alcuni talk show le immagini indugiano spesso su due bambine presenti a bordo della nave. Il pubblico sembra avere l’impressione che sulla Sea Watch ci siano soltanto minori e bambini fatti rimanere a largo delle nostre coste senza pietà. Anche sul caso Diciotti, ad agosto, si parla della necessità di far scendere minori e bambini. Su questa spinta mediatica, si dà via libera all’approdo di venti migranti che però, una volta inquadrati, non appaiono affatto minorenni. Passano gli anni e cambiano le situazioni, ma il pericolo di una strumentalizzazione mediatica e politica dei volti dei soggetti più indifesi, quali i bambini, è sempre dietro l’angolo. Con il pubblico a sua volta spesso anch’egli indifeso quando a vincere è la mera emozione.