Con le dimissioni del governo Medvedev e l’ascesa del tecnocrate-antiburocrate Mikhail Mishustin è ufficialmente iniziata l’ultima fase dell’era putiniana. Questo non significa che, a partire dal 2024, il presidente russo abdicherà da ogni ruolo, ritirandosi a vita privata, ma che, più semplicemente, il Paese entrerà in un’epoca di importante e storica transizione, dal cui successo dipenderà la permanenza nell’alveo delle grandi potenze, uno status ri-acquisito con fatica proprio durante gli anni di Vladimir Putin.

Nel dopo-Eltsin sono stati raggiunti molti traguardi ma, come ha ribadito il presidente nel suo recente discorso all’Assemblea federale, “non tutto è stato fatto”, e la questione natalità rientra fra gli obiettivi non conseguiti. Il Paese è entrato in un limbo demografico all’indomani dell’implosione dell’Unione sovietica e, sebbene la crisi delle culle sia stata alleviata negli anni, le misure implementate non l’hanno arrestata completamente e, dopo una timidissima ripresa, la fertilità è tornata a diminuire.

Cosa propone Putin

Il mondo sviluppato è da oltre un ventennio alle prese con un tremendo inverno demografico, senza precedenti nella storia globale, che nel prossimo futuro sarà fonte di gravi ripercussioni di natura sociale ed economica per tutti quei paesi che non troveranno soluzioni a riguardo. Non sono soltanto i Paesi del Vecchio continente ad essere afflitti da tale dramma, ma anche il Giappone ed una parte consistente dello spazio postsovietico e postcomunista eurasiatico, come l’ex Iugoslavia, la Bulgaria, l’Ungheria, la Polonia, ed anche la Russia.

Ed è proprio alla natalità che il presidente russo ha dedicato uno dei passaggi-chiave del suo discorso all’Assemblea federale, spiegando come “il futuro della Russia dipende da quanti di noi ci sono”. Si tratta di una pura e semplice presa di consapevolezza basata sul realismo, che anche altri statisti europei hanno compreso: le culle vuote di oggi, sono la forza lavoro vacante di domani e l’anticipo di una tragedia che colpirà nel dopodomani.

Putin ha, perciò, proposto il lancio di un piano di durata quadriennale che aumenti il tasso di fertilità a 1,7 figli per donna – una cifra bassa, ben al di sotto del tasso di sostituzione naturale di 2,1, ma comunque migliore dell’attuale 1,48 – amplificando il sistema di bonus ed esenzioni fiscali esistente.

Il progetto è ancora in fase di discussione ma alcune linee guida sono già state elencate: sgravi per famiglie a basso reddito con figli da 3 a 7 anni, somministrazione gratuita dei pasti nei primi quattro anni di scuola, benefici spettanti alle madri con più di tre figli allargati anche a coloro alla prima gravidanza, estensione e potenziamento del cosiddetto “capitale materno” (un premio di circa 6mila euro a partire dalla nascita del secondo-genito), maggiorazione degli stipendi per le famiglie numerose. I costi di tali politiche aumenteranno di anno in anno, attestandosi per il 2020 fra i 6 miliardi e 500 milioni di dollari e i 7 miliardi e 300 milioni.

La situazione

Nel 1999 in Russia è stato registrato uno dei tassi di fertilità più bassi del pianeta: 1,1 figli per donna. Negli anni a seguire, con la ripresa economica, il declino dell’emigrazione, la riduzione della mortalità e il generale miglioramento delle condizioni di vita, quel tasso è cresciuto, seppur lentamente, fino a toccare quota 1,6 nel 2016.

Ma nonostante l’introduzione di politiche per incentivare l’immigrazione di lavoratori russofoni e il cospicuo aumento delle famiglie con due figli, che è stato il risultato principale del “capitale materno”, la tendenza alla procreazione è tornata a diminuire da due anni e nel 2019 si è registrata una perdita di 300mila individui.

Secondo Rosstat, l’agenzia statistica nazionale, anche se l’agenda pro-natalista di Putin dovesse avere successo, alla luce della drastica riduzione del numero di donne in età fertile e dell’invecchiamento della popolazione, si otterrebbe comunque una vittoria irrisoria perché, nello scenario migliore, gli attuali 145 milioni di abitanti salirebbero a 150 milioni entro il 2036. Nel peggiore dei casi, invece, la popolazione potrebbe diminuire fino a 134 milioni nello stesso periodo.

Le proiezioni elaborate dalle Nazioni Unite dipingono un quadro ancora più cupo: 124 milioni di abitanti nel 2050, 83 milioni nel 2100.

L’opinione degli esperti

La scuola demografica russa è unanime: le politiche pro-nataliste basate sul denaro da sole non bastano a incidere in maniera duratura sulle scelte di pianificazione familiare degli individui. Come spiega Vitaliy Sazin Sergeeivich, ricercatore presso la Higher School of Economics di San Pietroburgo, lo stesso “capitale materno”, pur essendo considerato il maggiore successo dell’era Putin in tema di natalità, non ha avuto alcun effetto sostanziale nel lungo termine.

Mentre le autorità si focalizzano sul lato economico delle scelte riproduttive, il lato culturale viene trascurato, perciò non si indaga sulle ragioni dei divari che separano le regioni a maggioranza slavo-ortodossa, come ad esempio l’oblast di Leningrado in cui si registra un tasso di natalità medio di otto neonati ogni mille abitanti, e quelle a maggioranza islamica, come ad esempio la repubblica cecena in cui lo stesso è pari a 19 nuovi nati ogni mille abitanti.

Nella Russia occidentale, gravitante sull’asse Mosca-San Pietroburgo, il mercato del lavoro è sempre più femminilizzato, ossia aumenta costantemente il numero di donne sole, emancipate, alla ricerca di carriera. La naturale conseguenza dello spostamento del focus esistenziale sulla mobilità sociale e sulle scalate professionali è la tendenza a mettere in secondo piano la famiglia, ossia di iniziare a fare figli in età inoltrata e in misura minore.

Altri fattori culturali che, secondo i demografi, stanno ostacolando gli sforzi del Cremlino sarebbero l’alcolismo, il tabagismo e la cultura dell’aborto – quest’ultima sarebbe alla base di una media di 500mila interruzioni di gravidanza l’anno.

Elargire incentivi di natura pecuniaria, quindi, non invertirà la tendenza: occorrono soluzioni trasversali, perché la denatalità stessa è un fenomeno multidimensionale che si origina dal concatenamento di diversi elementi.