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Brutte notizie dalla Cina. La revoca delle rigide normative COVID-19 ad inizio dicembre — normative che erano state applicate inflessibilmente per quasi tre anni, in nome della cosiddetta politica “Zero-Covid” del Paese — è stata seguita da un enorme aumento dei contagi. Un’ondata che si sospettava da settimane ma che era stata confutata dalle autorità cinesi, le quali non avevano fornito dati in merito. A seguire, il 14 gennaio una rappresentante della Commissione Sanitaria Nazionale ha ammesso che dall’8 dicembre precedente il Paese aveva sofferto di circa 60.000 morti legate al Covid. Seppure in ritardo, il virus sta dunque tormentando la Cina come aveva tormentato l’Italia settentrionale, la città di New York e alcune regioni del Brasile nella primavera del 2020.

L’ondata in Cina ha colpito innanzitutto le aree urbane, tra cui Pechino e Shanghai, ma anche città più remote come Dongguan e Yulin, rispettivamente nel sud e nord del Paese. Gli ospedali sono stati presi d’assalto, le medicine hanno cominciato a scarseggiare (anche semplici antipiretici quali ibuprofene), e molti professionisti sanitari hanno continuato a lavorare nonostante fossero stati anche loro contagiati. Dall’inizio di gennaio, il virus ha poi iniziato a mietere vittime anche nelle aree rurali, con le piccole cliniche e i centri sanitari comunali che si stanno riempiendo di pazienti a cui possono offrire soltanto un’assistenza minima. La popolazione cinese rimane specialmente vulnerabile, in quanto l’immunità dalle infezioni precedenti è molto bassa, così come i cicli di vaccinazione completa per gli anziani. Tre anni di “Zero-Covid” sono stati evidentemente gettati al vento dalle autorità cinesi, le quali avrebbero potuto utilizzare tale periodo di ritardo per prepararsi all’inevitabile. E invece no.

La pandemia non è dunque finita. Il coronavirus Covid, noto come SARS-CoV-2, non è sparito. È anzi attivo come sempre e si replica, trasforma ed evolve. Rimarrà all’interno della popolazione umana forse per sempre. E non vi è certezza (nonostante ciò che qualcuno crede di aver sentito) che finirà col diventare una forma virale più innocua, come quella dei comuni raffreddori. Tale fraintendimento viene a volte supportato da un proverbio ben poco informato e che passa addirittura per perla di saggezza, ovvero: “Un bravo parassita non uccide il corpo che lo ospita”. Falso. La frase corretta sarebbe “Un bravo parassita non uccide il corpo che lo ospita fino a quando non contagia un altro corpo”. Se il coronavirus contagia la persona A, che lo passa a B, che lo passa a C e così via, ha dunque raggiunto il proprio scopo evoluzionario, a prescindere dal fatto che la persona A muoia o meno. La selezione naturale darwiniana, il meccanismo dell’evoluzione, non “vede” e non “si interessa” di cosa accada agli individui infetti dopo aver trasmesso loro il virus.

Nel mezzo di questa prolungata crisi, dobbiamo renderci conto di come il SARS-CoV-2 possa rimanere non soltanto presente, bensì anche letale, e che potremmo dover continuare a vaccinarci contro di esso e combatterlo in altri modi, per decenni.

Da dove è arrivato questo virus? Come è entrato in circolo negli esseri umani? Queste domande sono altrettanto importanti, poiché le loro risposte aiuterebbero a guidare i nostri sforzi nella prevenzione di pandemie virali simili in futuro. Il mistero circa l’origine del SARS-CoV-2 è stato discusso a lungo, con la maggior parte degli esperti scientifici schierati da un lato, e finti detective meno esperti e qualche giornalista dall’altro. Una discussione che è stata resa confusionaria a causa di disinformazione, speculazioni e accuse, il tutto per suggerire che il virus se ne fosse in qualche modo uscito da un laboratorio. Un’opzione che sarebbe teoricamente anche possibile, ma di cui non vi è alcuna evidenza; vi sono invece molte prove empiriche e risultati di analisi da parte di virologi molecolari ed epidemiologi, d’altro canto, che suggeriscono come il virus abbia probabilmente raggiunto gli umani attraverso il contagio da un animale selvatico. Ciò sembra sia accaduto nei pressi di un qualche “wet market” nella città di Wuhan. L’animale che trasportava il virus potrebbe essere stato un procione, uno zibetto, un topo o qualche altro animale selvatico, che è stato trasportato a Wuhan e venduto come alimento al mercato; alcune prove suggeriscono anche che all’interno del mercato sarebbero iniziate ben due diverse catene di infezioni umane, il che potrebbe rappresentare una trasmissione virale da parte di due animali distinti. Il portatore (o i portatori) avrebbe probabilmente contratto il virus, in libertà o durante il trasporto, da un pipistrello rinolofo. Virus simili al SARS-CoV-2 sono stati infatti rintracciati in pipistrelli rinolofi nel Sud della Cina, e anche in Tailandia e Laos, appena oltre il confine meridionale cinese.

Servono più prove, ma il processo di raccoglierle e condividerle all’interno della comunità scientifica è stato significativamente limitato da due fattori: la pandemia stessa e la reciproca sfiducia tra il governo cinese ed i suoi oppositori in Occidente, esasperata oltremodo proprio da questa controversia all’origine.

Andrebbe poi tenuta a mente anche un’altra cosa: che il traffico di animali selvatici a scopo alimentare — che siano rinolofi o procioni in Cina, pipistrelli o pangolini in Africa, o altre creature altrove — non è l’unica attività perturbatrice che espone gli esseri umani ai rischi dei virus presenti in natura. Un’altra è il disboscamento, o lo scavo di combustibili fossili da ecosistemi tropicali ampiamente variegati. Un’altra ancora è l’estrazione di minerali strategici — tra cui il coltan, un materiale essenziale per la produzione di dispositivi elettronici high tech. Pertanto, chiunque possiede uno smartphone, un laptop, una bella fotocamera o una macchina nuova, allo stesso modo porta con sé una parte della responsabilità per la continua minaccia di una ricaduta pandemica.

Attualmente, otto miliardi di esseri umani abitano il pianeta; tutti siamo affamati, tutti siamo assetati, tutti consumiamo energia, legno e altre risorse in varie quantità, in base a ciò che i nostri appetiti ci dettano e a ciò che la disponibilità ci consente. All’estremo opposto dello spettro troviamo i virus, creature relativamente semplici delle quali la Terra nasconde svariati milioni di forme differenti. Tra questi, circa uno o due milioni di virus risiedono nei mammiferi non umani e nei volatili. Sottolineo mammiferi e volatili perché generalmente essi sono le fonti dei nuovi virus che infettano le persone – non solo il SARS- CoV-2 e l’originale virus SARS del 2003, ma anche i virus Ebola, Marburg, Lassa, Hendra, Nipah, HIV e molti altri.

Con il nostro consumo vorace, la distruzione di vari ecosistemi e la devastazione di paesaggi naturali in tutto il globo, noi umani continuiamo ad avvicinare all’estinzione le più vulnerabili tra le creature nostre compagne: lo scimpanzé occidentale, il gorilla di pianura orientale, la tigre, il chiurlottello, la socievole pavoncella, il pipistrello di Hill, e così tanti altri che sarebbe difficile nominarli tutti. Tutti questi animali ospitano i loro virus, e molti di quei virus sono malleabili opportunisti. L’evoluzione ha permesso loro di cambiare, anche piuttosto velocemente, e li obbliga a sopravvivere. E mentre il pianeta diventa più piccolo e più vuoto, la loro miglior opportunità per sopravvivere sarà di infettare noi umani.

È una triste e ironica giustizia, e dovremmo fare tutto il possibile per non meritarcela.

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