Sputnik in russo significa compagno di viaggio. Sputnik sono anche i satelliti. Ora Sputnik, Sputnik V, è soprattutto un vaccino. Per alcuni è un azzardo, una scommessa, per altri una speranza, un desiderio, perfino in Occidente. Per Mosca magari è anche una chiave geopolitica, per mostrare all’Europa che la Russia non è poi così lontana.

Ecco allora che l’Ungheria e la Slovacchia, i primi due Paesi Ue ad accogliere il vaccino di Putin senza aspettare l’approvazione dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, tornano a guardare verso Est. I timori a questo punto non sono più scientifici, ma politici. Il numero di Paesi che hanno aperto le porte allo Sputnik è in continuo aggiornamento, l’ultimo dell’elenco è il Brasile. E l’Italia? Il Belpaese ha scoperto di avere un’opinione pubblica molto più propensa al vaccino russo di quanto non lo sia il suo governo, timoroso di prendere iniziative autonome che incrinino i rapporti con l’Europa.

Il “successo” dello Sputnik V in Italia

Due sono gli episodi recenti che hanno sottolineato quanto sia popolare lo Sputnik in Italia. Il primo è l’arrivo di una partita di vaccini di Mosca a San Marino, accolta dai più con commenti di aperta simpatia nei confronti della piccola Repubblica e centralini sul monte Titano intasati di telefonate di italiani interessati ad accaparrarsene una dose. Il secondo episodio è la notizia dell’accordo tra l’azienda farmaceutica italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech ed il Russian Direct Investment Fund, che cura la distribuzione dello Sputnik all’estero.

L’entusiasmo popolare per “l’arrivo del vaccino russo in Italia” ha obbligato il riservato ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov, a precisare che l’accordo “è il risultato di negoziati diretti” e che Mosca non ha “alcuna intenzione di imporre a chicchessia” lo Sputnik. Insomma, si tratta di un decentramento produttivo di vaccini destinati non all’Italia ma ad altri Paesi. Nessuna fuga in avanti, quindi. Ma il clamore suscitato della novità dice molto della popolarità europea raggiunta dallo Sputnik, nonostante lo scetticismo iniziale.

Tra i pochissimi che ad agosto 2020 sostenevano che la mossa russa era da prendere sul serio c’è il professor Igor Pellicciari, docente di Relazioni internazionali e Politiche degli aiuti all’Università di Urbino e alla Luiss. “Era la deduzione di un ragionamento logico, più che ideologico”, spiega. Due gli indizi che hanno subito catturato l’attenzione dell’analista: il nome “sacro” utilizzato per battezzarlo, quello del primo satellite umano lanciato nello spazio, e l’annuncio della scoperta dato in prima persona da Vladimir Putin. Quel giorno il presidente russo rivelò anche che il siero era stato somministrato a una delle sue figlie. “Non si sarebbe mai rischiata una tale visibilità di Stato con un prodotto incompleto”, ragiona Pellicciari.

La battaglia politica sul vaccino

Ma come ha fatto Mosca a battere sul tempo le Big Pharma? “Tutta la filiera del vaccino russo è statale, dalla sua ideazione alla produzione, il che ha permesso sin dall’inizio una concentrazione di risorse che non ha tenuto conto di costi e marginalità”. Putin non ragiona come un’azienda. Il suo obiettivo principale non è il profitto ma la ragion di Stato, il rafforzamento politico sul piano interno ed internazionale. “Chiedere aiuto a Mosca – sottolinea Pellicciari – significa ammettere il fallimento politico, non scientifico, della strategia vaccinale dell’Europa, troppo succube delle Big Pharma e dei loro evidenti interessi”. È questo il dilemma di Bruxelles. L’Unione europea si trova davanti ad un bivio.

Accettare di fatto il vaccino come un aiuto russo? Sì ma a quale costo? Pellicciari parla di rapporti di forza che cambiano. “La Ue si ritroverebbe in debito con la Russia, e a quel punto non sarebbe facile continuare con le politiche sanzionatorie. La pressione sul Cremlino si allenterebbe inevitabilmente”. Seguendo un percorso già abbozzato. Come ricorda il docente, infatti, “dopo che Mosca ha minacciato di interrompere la collaborazione con l’Europa in caso di nuove sanzioni per il caso Navalny, Bruxelles ha risposto introducendo misure deboli e puramente simboliche, nulla a che vedere con quelle registrate in occasione della crisi ucraina o del caso Skripal”. È ingenuo meravigliarsi che Russia e Cina usino il vaccino come strumento di politica estera e di soft-power. “È nella loro tradizione diplomatica, e riescono a farlo perché il vaccino è di Stato”.

Quello che dovrebbe stupire, semmai, è che l’Occidente abbia rinunciato a fare lo stesso, dipendendo nelle sue politiche vaccinali, e quindi strategiche, da imprenditori privati. Mentre con il vaccino di Stato, Mosca e Pechino aumentano il loro peso internazionale a scapito di Bruxelles e Washington, l’Occidente si interroga. Come mai dopo decenni di teorie sulla necessità che i beni essenziali siano pubblici, si è fatto convincere che il vaccino debba essere privato? Questa scelta sta rimescolando gli equilibri geopolitici. Il caso più evidente è quello della Serbia, dove i vaccini russi e cinesi stanno facendo la differenza, e il ruolo dell’Europa diventa sempre più marginale. “L’effetto Sputnik – chiude Pellicciari – è destinato a durare a lungo, perlomeno fino alla prossima pandemia”.

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