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“Siamo nella condizione di poterci attendere altri spillover. Fin quando l’umanità sarà così numerosa su questo pianeta, fino a che il genere umano sarà così assetato di prodotti del mondo naturale, tanto relativi alla carne quanto alle varie forme di energia, e fino a quando queste circostanze persisteranno, ci saranno sempre dei salti di specie dai virus agli esseri umani”. Così aveva recentemente parlato a InsideOver David Quammen, giornalista e scrittore, nonché autore del best seller Spillover.

Il Sars-CoV-2 potrebbe essere soltanto la punta dell’iceberg, visto che altri virus animali sono in procinto di attaccare l’uomo. Ci sono almeno due aree geografiche da tenere sotto stretta sorveglianza. Accanto alla bomba a orologeria sanitaria rappresentata dal sud-est asiatico, dove ci sono centinaia di pipistrelli da monitorare con estrema attenzione – e da dove potrebbe esser partita la pandemia di Covid-19 -, gli esperti hanno acceso i riflettori anche sull’Amazzonia. Qui, nell’enorme polmone verde del pianeta, per lo più concentrato tra Brasile, Colombia, Perù e altri Paesi del Sud America, la situazione rischia di diventare presto esplosiva.

Virus, zoonosi, epidemie

Da un punto di vista ambientale, l’approvazione di quasi 1.000 pesticidi per favorire l’agricoltura intensiva, la deforestazione e gli incendi che hanno devastato la Foresta Amazzonica, sono eventi che hanno provocato un disastro. In altre parole, siamo di fronte a una nuova, potenziale bomba a orologeria sanitaria. I Paesi che ospitano questo prezioso polmone verde, molto spesso sfruttano oltre ogni limite le potenzialità di territori fragilissimi, con il rischio di danneggiare l’ecosistema locale. Il continuo concentramento delle attività umane nelle aree verdi, spinge un gran numero di animali selvatici autoctoni a fare il percorso inverso.

Dai pipistrelli agli insetti, dalle scimmie a vari uccelli: molti di loro si avvicinano ai centri urbani, ai villaggi, alle città. Gli animali entrano quindi in contatto con gli esseri umani, nonché con gli allevamenti controllati. È così che si creano condizioni favorevolissime per le cosiddette zoonosi, ossia il salto di specie dei virus da un animale a un essere umano, ed è così che si creano epidemie e pandemie. D’altronde, anche se gli scienziati devono ancora risolvere il mistero, sappiamo che il Sars-CoV-2 si è originato proprio in questo modo.

Un virus animale, con ogni probabilità contenuto in un pipistrello, ha approfittato di condizioni favorevoli per invadere l’organismo di un essere umano, forse un agricoltore o un allevatore. Può esserci stato un solo salto di specie, cioè il virus è saltato direttamente dal pipistrello all’uomo, oppure una zoonosi mediata da un ospite intermedio (un pangolino o uno zibetto). Ecco: qualcosa del genere non solo potrebbe ripetersi molto presto nel sud-est asiatico, ma anche in Amazzonia.

Rischi da non sottovalutare

Tornando all’Amazzonia, gli ultimi report non lasciano dormire sogni tranquilli. Il rilascio di migliaia di pesticidi, unito alla deforestazione di decine di migliaia di chilometri quadrati – con la stabile presenza umana all’interno del polmone verde, che comporta contatti tra lavoratori e animali selvatici – stanno provocando reazioni indesiderate e potenzialmente nocive per l’umanità. Come ha evidenziato Repubblica, l’Istituto Evandro Chagas, un’organizzazione brasiliana di ricerca sulla salute pubblica, ha lanciato un allarme non da poco. In Amazzonia ci sarebbero circa 220 virus, 37 dei quali teoricamente in grado di causare malattie negli esseri umani e 15 capaci di scatenare epidemie più o meno vaste.

Un articolo pubblicato lo scorso maggio sulla rivista dell’accademia delle scienze brasiliana, ha passato in rassegna alcuni dei virus individuati nella foresta. La lista è molto corposa. Troviamo varie encefaliti, la febbre del Nilo occidentale, il rocio, ovvero un virus brasiliano che genera la febbre gialla. Ciò che sta accadendo in Amazzonia, ma più in generale in tutte le foreste tropicali e pluviali del mondo, è un rischio per salute dell’umanità. Il motivo è semplice: più si creano le condizioni per una maggiore interazione tra uomini e animali selvatici – gran parte dei quali portatori di virus infettivi – , e più è facile che un patogeno simile al Sars-CoV-2 (se non peggiore), possa creare una nuova emergenza sanitaria.

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