Il governo polacco è alle prese con una mobilitazione su larga scala che ha palesato l’esistenza di una frattura generazionale, oltre che aver riconfermato la tradizionale polarizzazione su basi geografiche. Tutto è scaturito dalla sentenza del 22 ottobre del Tribunale Costituzionale che, decretando l’illegalità dell’aborto eugenetico, ha dato il via ad una campagna di proteste, disordini e violenze che non mostra segni di esaurimento.
Le proteste
Per le strade della Polonia è caos dalla sera del 22 ottobre, data in cui il Tribunale Costituzionale (Trybunał Konstytucyjny) ha sentenziato in maniera perentoria e inappellabile che il cosiddetto aborto eugenetico, ossia l’interruzione volontaria di gravidanza causa malformazioni al feto, è contrario ai principi enunciati dalla costituzione. Il verdetto ha rappresentato il casus belli di una rivolta massiccia, generalizzata ed estesa a macchia d’olio in tutto il Paese.
Gli appelli alla calma e alla ragione provenienti dall’esecutivo e dalla Chiesa cattolica non hanno sortito alcun effetto: il grado di intensità delle dimostrazioni è aumentato con il passare dei giorni, le città in cui stanno venendo organizzate proteste sono aumentate da una sessantina ad oltre duecento, e le manifestazioni sono sempre più partecipate e, soprattutto, violente.
Il malcontento per la sentenza sta venendo sfogato in maniera particolare contro le chiese, le croci, le statue raffiguranti personaggi della cristianità, i monumenti dedicati a Giovanni Paolo II e i memoriali antinazisti e anticomunisti. Le azioni di disturbo, come le interruzioni delle messe, si sono trasformate in epidemie generalizzate di attacchi vandalici contro il patrimonio religioso e storico, in aggressioni contro i fedeli e contro i laici intenti a fermare dissacrazioni e/o distruzioni.
Il governo, dopo l’iniziale adozione di una linea dura, ha optato per il temporeggiamento, che potrebbe essere propedeutico ad un ripensamento. Fino ad oggi, infatti, la sentenza non è stata ancora resa effettiva poiché ne sta venendo ritardata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Polonia (Dziennik Ustaw). Non è da escludere, a questo punto, che nei prossimi giorni si possa assistere ad una retromarcia.
Potrebbe sembrare l’onda travolgente di una minoranza molto rumorosa, ma in realtà è l’espressione più palese di un cambiamento sociale e generazionale avvenuto negli ultimi due decenni. Se si fosse trattato di un movimento circoscritto a determinanti ambienti, come quelli della sinistra radicale e del femminismo, le proteste di piazza che hanno scosso Varsavia non sarebbero riuscite a riunire fino a 100mila partecipanti e, soprattutto, non avrebbero incassato il supporto di spettacolo, sigle dell’agricoltura, organizzazioni di rappresentanza di varie categorie lavorative e tassisti.
Il ricorso ai sondaggi è utile per completare l’analisi sulle effettive dimensioni del fenomeno di protesta: nel dopo-sentenza si è verificato un brusco calo di consenso verso il partito di governo, Diritto e Giustizia (PiS), che avrebbe perso tra il 9% e il 15% del favore popolare.
Capire l’origine delle proteste
Il 2020 verrà ricordato dalla posterità come l’anno della svolta per la Polonia, uno dei polmoni principali dell’internazionale conservatrice e del populismo di destra. La società, infatti, per quanto continui ad essere plasmata in maniera significativa dai cosiddetti valori tradizionali, oltre che essere ancorata sul cattolicesimo, è entrata una stagione di alta tensione per via di una frattura generazionale.
Le piazze polacche non stanno venendo travolte da uno scontro tra destra e sinistra, tra cattolici e laici, ma tra adulti e giovani. Come avevamo scritto su queste colonne in passato, la Polonia, pur continuando a rappresentare l’ultimo baluardo del cattolicesimo nel Vecchio Continente, si è avviata verso la secolarizzazione e nel prossimo futuro, a meno di radicali e imprevedibili inversioni di tendenza, entrerà a far parte della galassia post-cristiana, seguendo lo stesso destino di Germania, Francia, Paesi Bassi e Irlanda.
Dalla Polonia proviene quasi un terzo delle nuove ordinazioni di preti, stando all’ultimo sondaggio dell’agenzia CBOS il 54% dei polacchi partecipa regolarmente alla messa settimanale e, inoltre, la Chiesa cattolica continua ad essere capace di mobilitare le masse in maniera significativa. Ad esempio, nell’ottobre 2017, l’evento “Rosario ai confini“, consistente nella recita di un rosario collettivo in più di 320 chiese e 4mila aree di preghiera per “proteggere l’Europa e la Polonia dall’islamizzazione”, aveva attratto oltre un milione di fedeli.
Nonostante i grandi numeri, però, la secolarizzazione è arrivata anche in Polonia e lo confermano diverse indagini effettuate negli anni recenti. Sta diminuendo il supporto popolare verso l’istituzione-chiesa, nella quale ripone fiducia il 48% della popolazione stando all’ultimo sondaggio CBOS e dalla quale si stanno allontanando soprattutto i più giovani, come palesato dal fatto che coloro che si professano credenti fra i 18 e i 25 anni sono diminuiti dall’81% al 63% negli ultimi dieci anni. La recente scoperta del coinvolgimento del clero in crimini sessuali, specialmente pedofilia, sembra la principale causa alla base dell’erosione di un consenso popolare plurisecolare.
Un fenomeno che sta prendendo piede in maniera preoccupante è quello degli attacchi anticattolici, che si sono intensificati in concomitanza con l’entrata ufficiale della chiesa nella guerra del governo all’ideologia di genere e, più recentemente, durante le proteste dei gruppi lgbt e pro-aborto.
Questi attacchi, lungi dall’essere la manifestazione estemporanea di uno scontro tra opposti estremismi, sono invece da inquadrare nel più ampio contesto di lenta, ma graduale, scristianizzazione della Polonia. La Chiesa, per una parte significativa della generazione Z, non viene associata all’identità nazionale e alle lotte per l’indipendenza, ma viene considerata un ostacolo sulla via dell’occidentalizzazione; questo è il motivo per cui l’esecutivo non ha potuto prevedere né prevenire gli effetti esiziali di ritorno della propria agenda politica, dalla questione lgbt all’aborto.
PiS e la destra conservatrice, se vorranno evitare un aggravamento della tensione e allungare la loro permanenza al potere, dovranno essere in grado di catturare la profondità della trasformazione sociale in corso in maniera tale da approntare delle strategie di influenza culturale impattanti nel medio e lungo termine.