Cina, Hong Kong e Singapore oltre ad essere stati tra i primi ad aver conosciuto l’epidemia da coronavirus Covid-19 nata nella regione di Wuhan, hanno messo in pratica delle misure restrittive molto strette che hanno permesso in tempi relativamente brevi di contenere il diffondersi dell’epidemia: quel lockdown, le serrate, con fortissime limitazioni alle libertà personali che stiamo conoscendo, se pur in modo diverso, da qualche settimana anche in Italia.
Ora che la situazione da quelle parti sembra normalizzarsi, e che i nuovi contagi sembrano azzerati, sono cominciate le prime timide riaperture che danno una parvenza di ritorno alla normalità, dettata più da considerazioni di tipo economico che medico, va detto.
Però esiste un pericolo, già in corso, che proviene dall’esterno: quelli che vengono definiti i “contagi di ritorno” ovvero le infezioni portate da persone che rientrano in Patria, o da altri viaggiatori, da Paesi in cui il contagio è diffuso.
In un recente articolo del New York Times viene riportato come, proprio in Cina, Singapore e Hong Kong, si stia assistendo ad un ritorno di alcune misure restrittive proprio a causa di questa fenomenologia: in Cina i voli internazionali sono stati di nuovo tagliati così pesantemente che gli studenti all’estero si chiedono quando sarà possibile ritornare a casa; a Singapore i cittadini rientrati di recente devono obbligatoriamente fornire il numero della propria utenza telefonica mobile in modo da poter mettere sotto controllo la relativa geolocalizzazione e provare alle autorità che stanno effettuando il periodo di quarantena a casa; a Taiwan un uomo che aveva viaggiato nel Sudest Asiatico è stato multato per un valore di 33mila dollari per essere stato colto all’uscita di un club quando avrebbe dovuto essere rinchiuso in casa, mentre a Hong Kong una ragazzina di 13 anni che portava uno dei braccialetti localizzanti dati a chi deve rispettare la quarantena, è stata colta all’esterno di un ristorante, seguita, filmata ed esposta a pubblica gogna online.
In tutta l’Asia, punto di origine della pandemia, Paesi e città che sembravano aver sotto controllo l’epidemia stanno improvvisamente tornando a stringere le maglie del controllo chiudendo i confini e tornando a prendere misure di provvedimento nel timore di una nuova ondata di contagi provenienti dall’esterno.
Un articolo, quello del New York Times, da leggere attentamente perché riferisce una situazione che ci riguarderà nel nostro immediato futuro.
L’Italia, come Iran, Corea del Sud, Giappone, Cina, Singapore e Hong Kong, è stata tra i primi a venire colpita dal contagio, e pertanto sarà anche tra i primi a venirne fuori, così come è accaduto per gli Stati asiatici. Al pari di questi il nostro Paese dovrà, pertanto, mettere in pratica delle misure per tutelarsi dai possibili, anzi praticamente scontati, “contagi di ritorno”: seguendo quello che si legge sul quotidiano statunitense, “anche quando il numero di casi comincerà a crollare, il blocco dei viaggi e le barriere potranno persistere in molti posti finché un vaccino non sarà trovato”.
Diventa quindi fondamentale non solo non abbassare la guardia a livello interno, ovvero continuando con uno stile di vita diverso rispetto al passato per evitare che il contagio possa scatenarsi di nuovo, ma soprattutto tutelarsi dalle minacce esterne, in quanto i tempi della diffusione dell’epidemia sono stati diversi da Paese a Paese e soprattutto perché non essendo ancora stato trovato un vaccino non si può pensare di eradicare o controllare una malattia solamente con le misure di quarantena o di limitazione della vita sociale, a meno che non vengano protratte per mesi o addirittura anni e siano di carattere globale, questione improponibile per i noti problemi economici.
Pertanto l’unico margine d’azione possibile per l’Italia, nei mesi a venire, sarà quello di imporre una quarantena a chi rientra dall’estero, siano essi cittadini italiani o meno, se non addirittura vietarne l’ingresso nel nostro Paese con particolare attenzione a coloro che provengono da regioni e Stati in cui vi siano ancora focolai epidemici.
Del resto è quanto gli Stati asiatici stanno già facendo in questi giorni: a seguito dei recenti picchi nei casi legati ai viaggiatori internazionali, Cina, Hong Kong, Singapore e Taiwan hanno espressamente vietato l’ingresso agli stranieri. Il Giappone ha proibito ai turisti provenienti dall’Europa di entrare nel Paese e proprio mercoledì ha esteso il divieto ad altre 49 nazioni inclusi gli Stati Uniti; la Corea del Sud ha imposto controlli molto più severi e a chi arriva viene imposta una quarantena forzata di 14 giorni in strutture governative appositamente create.
Questo è quello che ci aspetterà in futuro, almeno è quello che speriamo venga messo in atto al netto delle considerazioni sulle misure liberticide prese in Oriente, che per cultura sopporta meglio certi provvedimenti rispetto all’Occidente liberale e purtroppo “singolocentrico”, con l’augurio che questa volta si eviti accuratamente la retorica del “razzismo” insieme a quella del “non ci fermiamo” che nei primi giorni dell’epidemia ha sciaguratamente provocato il diffondersi dei contagi nel nostro Paese.
Un agire che è stato a dir poco irresponsabile, ed i cui propugnatori ci auguriamo che saranno chiamati ad assumersene la responsabilità davanti ad una Nazione intera quando questa emergenza sarà terminata.