Novantanove anni di carcere e una multa di diecimila dollari, è questa la pena inflitta lo scorso 18 aprile da un tribunale statunitense a Luis Enrique Rodriguez, membro della pandilla “Barrio Azteca” e accusato dell’omicidio di due membri della gang, Luis Antonio ‘Chuco’ Fierro (32) e Roberto Rentería, (19), avvenuta a Socorro, New Mexico, nel 2012.Rodriguez è solo uno dei tanti membri della pandilla finito nel mirino della giustizia americana, come John Paul Perry, arrestato lo scorso 14 giugno per l’omicidio dell’agente di polizia David Ortiz a El Paso, Texas.Sempre a El Paso, a inizio marzo 2016, veniva condannato a 25 anni di reclusione Manuel “Manny” Minjares, a capo di una rete dedita al traffico di stupefacenti attiva tra Messico e Texas. Minjares veniva arrestato nel 2014 assieme ad altri 15 membri della pandilla, tra cui Rigoberto Méndez Alvarado, Bárbara Rodríguez, Gabriel Aldana, Juan Espino, Cristopher Ytuarte, Raúl López, Eddie Mendoza, Fernando Madrid, José Ángel Barrios.Il problema della violenza al confine tra Tex-Mex è talmente serio che le autorità americane l’hanno definito una “minaccia alla sicurezza nazionale”. La situazione è di per sé paradossale, perché se sul lato texano la città di El Paso è stata più volte definita tra le più sicure d’America, immediatamente oltre il confine, sul lato messicano, c’è Ciudad Juarez, una delle città considerate per anni tra le più pericolose e violente del mondo, con un picco di omicidi che, nel 2010 superò i 3500 annuali; città tra l’altro nota per la sparizione di donne, successivamente trovate morte nei campi circostanti e spesso mutilate.Juarez non è soltanto la “capitale” di quel cartello della droga che si oppone a quello di Sinaloa, ma è anche base per una pandilla sua alleata, presente su entrambi i lati del confine e nota in Messico come “Los Aztecas”, null’altro che la medesima gang nata negli anni ‘80 a El Paso col nome “Barrio Azteca”. Dunque una pandilla “trans-nazionale” attiva in qualità di manodopera per il cartello di Juarez, come vedremo in seguito.Barrio AztecaLa pandilla “Barrio Azteca” veniva formata nel 1986 da un gruppo di detenuti del Coffield Unit of the Texas Department of Criminal Justice (Benito “Benny” Acosta, Alberto “Indio” Estrada, Benjamín “T-Top” Olivarez, Manuel “Tolon” Cardoza, Manuel “El Grande” Fernandez, Raúl “Rabillo” Fierro, and José “Gitano” Ledesma) con l’obiettivo di proteggersi da pandilleros dei Mexikanemi e dei Texas Syndicate.Secondo quanto osservato dalla polizia del Texas, buona parte dei membri fondatori del gruppo erano originari del “segundo barrio di El Paso”, un quartiere problematico a ridosso del confine con il Messico. Con il tempo la pandilla crebbe, superando le gang rivali non soltanto in numero ma anche in violenza, guadagnandosi la fama di essere i più spietati e feroci. Numeri da far paura se si pensa che nel 2013 venivano stimati 5000 membri nella zona di Juarez e altri 3000 in territorio statunitense.In poco tempo i Barrio Azteca presero il controllo di tutte le attività illecite nella zona di El Paso, dal traffico di stupefacenti alla prostituzione e al traffico di esseri umani.Gli spacciatori di strada, noti nel gergo degli Aztecas come “tiendas” (negozi), erano praticamente tutti sotto il controllo della pandilla che nel frattempo si era allargata oltre-confine, dando vita alla parte messicana della “famiglia”, nota come “Los Aztecas”.Nei primi anni 2000 Barrio Azteca strinse alleanza con il Cartello di Juarez, diventandone di fatto un “capitolo”, e venendo principalmente utilizzato da “La Linea”, il braccio armato del Cartello, non soltanto per far entrare droga negli Usa, ma anche come frangia armata da schierare contro i rivali del Cartello di Sinaloa, capeggiato dal “Chapo Guzman”.L’alleanza dei“Barrio Azteca” con il Cartello di Juarez portò a un rapido, duplice e notevole incremento dei guadagni per la pandilla di El Paso, che aveva così non soltanto la possibilità di acquistare a prezzo inferiore gli stupefacenti sul lato messicano del confine per poi rivenderli negli Usa, ma anche di reperire armi in Texas per poi trasferirle e rivenderle in Messico, o per usarle come merce di scambio per acquistare carichi di droga.Fonti del Dipartimento di Stato americano illustrano come i profitti dei Barrio Azteca derivino dal traffico di eroina, cocaina, marijuana, ma anche dall’estorsione nei confronti di commercianti, la cosidetta “quota” ed anche il traffico di immigrati illegali verso gli Usa e provenienti dall’America centrale.Il ruolo di Ciudad Juarez è estremamente importante per l’attività dei “Barrio Azteca” e non è certo un caso se nel tempo la pandilla ha messo radici sul lato messicano. A Juarez infatti il controllo del territorio da parte delle autorità era praticamente inesistente e gli omicidi restavano in gran parte impuniti. Lo spiega bene un ex membro “aztecas” come “el Pelota”: “Era bene che quelli da uccidere venissero attirati a Juarez perché là non ti trovava nessuno. Non c’erano autorità. Potevi tranquillamente uccidere e passarla liscia”. Un altro ex membro, che chiameremo “Depredador”, affermava: “Era facile entrare in un bar a El Paso, sparare in testa a qualcuno, salire in auto e tornare subito a Juarez”.Juarez era dunque una zona franca dove cercare protezione, dove portare a termine qualsiasi tipo di reato e da dove organizzare attività illecite.L’organizzazione di stampo militareLa pandilla “Barrio Azteca” è formata da una rigida struttura gerarchica interna, di stampo paramilitare, che procede nell’ordine con “los capos mayores”, “los capos” (i capitani), i tenenti, i sergenti e “los carnales” (i soldati) ai quali si possono aggiungere “las esquinas” (gli associati), che agiscono da supporto all’attività della pandilla.La struttura è stata per molto tempo la forza dei Barrio Azteca, assieme a una rigida disciplina interna che non lasciava spazio a discussioni sugli ordini e che puniva atrocemente i traditori. All’interno della pandilla regnava la più rigida omertà. Se dai capos veniva ordinata la “luz verde” nei confronti di un membro che aveva fatto “snitching” (spifferato) o che aveva sottratto denaro o droga alla banda, il soggetto in questione diventava un morto che camminava, era solo questione di tempo.Un caso lampante è quello di David “Chicho” Meraz, massacrato a Juarez e ritrovato privo di vita nella primavera del 2008. Meraz era il “capo” dei Barrio Azteca proprio a Juarez, ma il suo costante consumo di droga lo aveva portato fuori dalle linee della pandilla, arrivando a dare ordini avventati e controproducenti, come gli omicidi di debitori per poche decine di dollari, che nel medio termine portarono all’arresto di alcuni dei suoi uomini.Nel giro di pochi mesi, nel gennaio 2008, l’Fbi arrivò ad arrestare dozzine di alti membri dei Barrio Azteca, “carnales” ma anche “capos”, accusandoli di traffico di stupefacenti, estorsione e omicidio. All’interno della pandilla i sospetti caddero immediatamente su “Chicho” Meraz, come dichiarato da un ex membro, “el Diablo”: “Sapeva tutto. Non c’era nulla che non sapesse ed è per questo che i federali sanno tutto ciò che sanno”.Il corpo di Meraz veniva ritrovato in un sobborgo di Juarez, mutilato e privo di scarpe, un chiaro segnale: “non sei più un “indio”, non hai più i sandali. Infatti los aztecas, durante il rito di iniziazione, si guadagnano i “huaraches” o sandali indios, un riferimento simbolico alle proprie origini. Il rito del lasciare il corpo senza scarpe è un vero e proprio sfregio per la pandilla.Nell’autunno del 2008 le cose peggiorarono ulteriormente per los Aztecas, quando i federali arrestarono sei leader e associati della pandilla; a quel punto alcuni membri dei Barrio Azteca testimoniarono contro i loro stessi “capos”. Fu un duro colpo per la gang , anche perché emerse che persino alcuni “capos” avevano “spifferato” ai federali. Disciplina e omertà lasciavano quindi spazio al sospetto, alla sfiducia reciproca all’interno della banda e al caos. La frammentazione interna era a quel punto inevitabile.Secondo fonti del posto, nel 2009 i “Barrio Aztecas” si suddividevano in tre rami: i “21”, anche noti come “Pepsi Generation” perché giovanissimi; gli OG (originales) perché composti in prevalenza da vecchi membri e i “nation”.Oggi i Barrio Azteca/Los Aztecas risultano attivi a Juarez, El Paso, in New Mexico ma alcune presenze sono state segnalate anche in Pennsylvania e Massachusetts.Alcune testimonianze durante il processo Gallegos nel febbraio 2014, hanno riferito che gli Aztecas sarebbero anche stati addestrati dagli Zetas, citando le aree di Torreon e Coahuila. Fatto che, se confermato, fa pensare a un’espansione della pandilla in altre zone del Messico. È pur vero che sarebbe una conseguenza quasi inevitabile dell’alleanza stretta con il Cartello di Juarez e con gli Zetas.Va inoltre tenuto in considerazione il fatto che il declino del Cartello di Juarez ha influenzato negativamente anche Los Aztecas, tanto che il 2014 Texas Gang Threat Assessment parlava di una crescita dei rivali Sureño 13, alleati al Cartello di Sinaloa. Non si può però escludere che il recente arresto del Chapo Guzman, leader dei Sinaloa, possa mutare nuovamente gli equilibri.Fonti dell’FBI rivelano che l’attuale “capo” dei Barrio Azteca è Eduardo “Richolm” “Tablas” Ravelo, legato al Cartello di Juarez. Per la sua cattura è stata messa una taglia di 100 mila dollari e l’uomo potrebbe essersi sottoposto a chirurgia plastica per alterare i propri tratti.





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