La Danimarca è uno dei Paesi con il più alto tasso di immigrazione in Europa. Questo fenomeno ha spinto negli anni scorsi il governo danese a pubblicare una lista dei quartieri nei quali la percentuale di stranieri extracomunitari è di maggior rilievo. Due sono le fasce: la fascia a rischio ridotto e il “ghetto duro”. Ogni anno, tale lista viene aggiornata in virtù dei cambi di residenza e trattamenti particolari vengono riservati per quelle aree che mantengono lo status per oltre cinque anni (arrivando fino allo smantellamento delle abitazioni). Letteralmente denominata “Lista dei Ghetti“, la definizione ha ovviamente infastidito parte della popolazione danese, che guarda a questo nome come a un chiaro messaggio dispregiativo.

Misure speciali verso la popolazione

Vivere all’interno di un ghetto non significa però solamente essere marchiati dalla propria estrazione sociale (le aree sono generalmente tra le più povere della Danimarca): significa vedersi applicata una legislazione particolare. Quando la propria abitazione è sita all’interno di un quartiere nella lista del ghetto duro, le pene per i reati comuni possono arrivare a essere anche molto maggiori rispetto a chi vive in altre comunità del Paese. Nonostante la difesa della legge da parte del governo, tale differenziazione ha spinto le opposizioni ad affermare l’esistenza di una popolazione divisa in due ranghi, come l’arcaico dualismo popolo e aristocrazia.

Per quanto riguarda i cittadini danesi, la legislazione si spinge ancora oltre. Qualora si abiti infatti in uno di questi quartieri, si ha l’obbligo di affidare il proprio figlio a speciali asili nido per almeno 25 ore alla settimana, affinché imparino non solo la lingua danese, ma anche i valori della cultura locale. In questo panorama che si configura come barriera contro l’integrazione, la voce politica che ha maggiormente preso a cuore la questione è quella dei Socialdemocratici. Peccato che, tra i tanti firmatari dei pacchetti legislativi al momento della sua introduzione, compaia anche la loro fazione politica.

In questo panorama aumentano i rischi

Mentre da un lato si può considerare corretta la difesa dei valori della nazione danese, dall’altro lato è del tutto evidente che cercare di condurre un’ostentata difesa della propria cultura escludendo di fatto gli immigrati da una parte della vita sociale rischia di peggiorare la coesione sociale. Che cosa penserà un bambino di una coppia danese “tradizionale” che ha frequentato l’asilo nido sociale, quando ai banchi delle elementari si siederà vicino ad un bambino nato anch’egli a Copenhagen, ma di origine ben diversa? Il messaggio è contrastante e, al tempo stesso, non si può pensare che un bambino di cinque anni possa avere i necessari filtri per capire la differenza degli obiettivi dei cicli di istruzione.

Dividere inoltre la popolazione tra favorevoli e contrari ad una maggiore integrazione sociale in un Paese con un tasso immigratorio alle stelle non può condurre ad altro che ad una polarizzazione delle posizioni, che difficilmente verranno a contatto.

Le richieste delle opposizioni

Dopo il clamore degli ultimi giorni, le opposizioni hanno chiesto a gran voce di modificare il nome del documento annuale, per renderlo meno pesante da un punto di vista lessicale. Al tempo stesso, a gran voce hanno richiesto di portare la discussione in Parlamento, per abolire dagli anni a venire la distinzione dei quartieri basata sulla presenza percentuale delle etnie, trovando l’appoggio della popolazione più sensibile alle tematiche di integrazione sociale.

In segno di apertura, il ministro per le abitazioni Kaare Dybvad aveva sottolineato come fosse sua stessa intenzione modificare la dicitura del testo, mossa che tuttavia non è stata effettuata. Tale ipotesi verrà comunque sottoposta al vaglio del Parlamento nel 2020, per giungere ad una soluzione del problema recentemente sollevato.

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