Ormai sono passati diversi giorni da quando la basilica di Santa Sofia ad Istanbul è stata convertita nuovamente in moschea. La decisione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan è diventata pienamente esecutiva nel breve volgere di due settimane: dopo l’annuncio ufficiale dato il 10 luglio scorso, il 24 si è celebrata la prima preghiera. Sono bastati pochi giorni per stravolgere 86 anni di storia della Turchia laica, di cui Santa Sofia trasformata in un museo ne era il più celebre esempio. Oggi è possibile entrare nel luogo diventato nuovamente di culto, ma l’impressione appare diversa. Ad essere andato via non è soltanto un simbolo ma, a detta di chi ha avuto la possibilità di tornare nel monumento cardine della storia di Istanbul, non c’è più quell’atmosfera e quella suggestione presente fino a poche settimane fa.

I teli coprono i mosaici

Così come riportato dall’Agi, i grandi mosaici attualmente non si vedono. Sono tutti ricoperti da grandi teli, che impediscono la visione per chiunque entra di ammirare alcune delle opere più significative di quella che è stata una delle culle della cristianità, prima della conquista ottomana del 1453. All’ingresso ci sono file molto lunghe, con la Polizia presente ovunque e con molte famiglie provenienti dalle periferie di Istanbul che per la prima volta vedono la moschea. Per loro, hanno rivelato negli ultimi giorni molti giornalisti locali, il prezzo del biglietto del museo era troppo oneroso per poter entrare. Sotto il profilo logistico è cambiato poco: il principale ingresso è quello che veniva usato anche dal museo, solo che adesso appena si accede alla basilica spunta in verde la grande scritta Aya Sofya-i Kebir Cami-i Serif, ossia “La grande moschea benedetta di Santa Sofia”. Si tratta della scritta fatta apporre dal presidente Erdogan nel giorno della prima preghiera il 24 luglio scorso.

Uomini e donne che entrano per le funzioni religiose vengono separati all’ingresso e fatti accomodare nelle aree allestite per le preghiere, che sono parecchie e non sono celebrate soltanto il venerdì. Per tutti gli altri invece c’è un apposito cammino che porta nello spiazzo centrale dell’edificio: qui è possibile rimanere come semplici turisti. Solo che, da turisti, non sfugge il fatto che al posto dei celebri mosaici ci sono dei teli che non permettono la loro visione. Come si sa, la religione islamica vieta ogni raffigurazione, da qui l’apposizione di tele che nascondono i monimenti ma anche la storia di questo posto e dell’intera Istanbul. Tuttavia, poliziotti e custodi presenti a Santa Sofia hanno tenuto a precisare a tutti che questa soluzione è meramente provvisoria: “Le tende a scorrimento non sono arrivate – ha dichiarato un membro delle forze di Polizia ad un giornalista dell’Agi – Appena saranno montate sarà possibile vedere nuovamente i mosaici”. Un problema tecnico quindi, che non cancella però le perplessità al visitatore che quasi non riconosce più la bellezza di Santa Sofia.

Lunghe file all’ingresso

Ciò che al momento è sembrato impressionare maggiormente, sono le tante e lunghe file che in questi primi giorni sono risultate ben presenti all’esterno del monumento. Sono migliaia le persone, provenienti in gran parte da Istanbul ma non solo, che hanno voluto pregare all’interno di Santa Sofia. Un segnale di come, al netto delle critiche e dei significati negativi dati soprattutto in occidente alla riconversione a moschea del luogo, in questa prima fase la scelta del presidente Erodgan appare popolare. E del resto, in un momento di forte emorragia di consensi a livello interno, il capo dello Stato e fondatore del partito conservatore Akp non si sarebbe spinto così oltre nel prendere una decisione del genere se prima non era certo della sua presa tra l’elettorato. La Turchia ancora fedele all’impronta laica di Ataturk, che soprattutto nelle grandi città sta riacquistando terreno, è rimasta in disparte per il momento. Ma quella profonda, dei quartieri più popolari o dell’Anatolia più periferica, ha preso con entusiasmo la possibilità di tornare a pregare a Santa Sofia. Per molti l’idea di considerare questo luogo un museo e non un edificio vocato al culto ha rappresentato, nel corso dei decenni, una vera e propria ingiustizia.

E se questo vale per molti turchi, la stessa cosa si può dire anche a livello panislamico. La riconversione in moschea di Santa Sofia è un qualcosa che, nel mondo musulmano, tutto sommato piace. Non a tutti e non allo stesso modo e per le stesse motivazioni, tuttavia complessivamente il fatto che l’edificio simbolo di Istanbul sia tornato ad ospitare preghiere dopo 86 anni non è un elemento negativo. E quando si potrà tornare a viaggiare senza più lo spettro del covid, da molti Paesi confinanti saranno in tanti i fedeli ad arrivare ad Istanbul. Le preghiere nel frattempo hanno continuato ad essere celebrate e Santa Sofia si è presentata sempre gremita: in migliaia, anche nell’ultimo venerdì, hanno solcato l’ingresso rendendo impossibile quel distanziamento sociale che anche in Turchia viene chiesto per evitare di far ulteriormente dilagare il coronavirus. Un’ulteriore dimostrazione di come, a una buona fetta della popolazione, la trasformazione della basilica in moschea ha rappresentato una svolta di notevole interesse.

Il significato simbolico della conversione di Santa Sofia in moschea

Ancora presto per parlare della fine della Repubblica per come concepita da Ataturk, ma di certo il fatto che all’interno del museo simbolo della laicità dello Stato adesso si svolgano le preghiere è un elemento di non poco conto per comprendere in che direzione sta andando la Turchia di Erdogan. Quest’ultimo nel corso degli anni di suo governo, prima come premier e poi come capo dello Stato, dal 2002 in poi ha impresso continue svolte in senso conservatore. Dalle questioni sociali passando per l’ordinamento dello Stato, l’Akp si è posto come formazione in grado di portare l’Islam politico al potere stravolgendo la tradizionale impronta laica dei precedenti governi. La trasformazione di Santa Sofia in moschea è soltanto l’ultimo atto, quello indubbiamente di maggior richiamo mediatico e quello forse dal sapore più marcatamente politico. Erdogan, che a causa di un’economia in affanno e di una situazione sociale non brillante, è in grande difficoltà a livello interno tanto da aver perso il controllo delle principali città nelle ultime amministrative, con questa mossa ha rinsaldato l’elettorato a lui più fedele. Il tutto senza curarsi troppo forse della portata storica di una scelta del genere. E adesso l’auspicio del nuovo “sultano” è quello di poter inseguire il neo ottomanesimo di cui è stato già dai primi anni in politica un importante fautore: la sua Turchia, nella visione di Erdogan, è quella in grado di difendere le istanze islamiche in tutto il globo facendo assumere ad Istanbul il ruolo di nuova capitale politica dell’Islam.

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