Quattro ipotesi sul tavolo, la mappa del mercato ittico di Wuhan, primo epicentro noto della pandemia di Covid-19, una lista di animali sospettati di essere i diffusori del virus, tabelle, grafici e schemi di ogni tipo. C’è questo e molto altro nelle 120 pagine del rapporto ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sull’origine del Sars-CoV-2. Il team di esperti inviato in Cina dall’agenzia con sede a Ginevra ha operato nella megalopoli dello Hubei per tre settimane, cercando di fare chiarezza sull’emergenza sanitaria. Poi, dopo aver riordinato le prove raccolte, hanno messo tutto nero su bianco nel documento intitolato WHO-convened Global Study of Origins of SARS-CoV-2: China Part. Joint WHO-China Study.

Una volta divenuto oggetto di dominio pubblico, i media internazionali si sono concentrati sulle conclusioni del paper, sperando di ottenere risposte precise. A detta degli autori, è da escludere la possibile fuga del virus dal famigerato laboratorio di Wuhan (ipotesi “estremamente improbabile”). La diffusione del patogeno mediante i prodotti alimentari della catena del freddo è possibile ma non probabile, mentre tutti i riflettori sono puntati sulla trasmissione del Sars-CoV-2 dai pipistrelli all’uomo, in maniera diretta oppure mediante l’azione di un terzo animale (ospite intermedio).

L’indizio temporale

Uno degli aspetti più controversi riguarda l’origine temporale della pandemia. A quando risalgono i primi contagi? A pagina 32 del report ci sono due grafici che provano a fornire delle risposte basandosi sulla mortalità. Nel primo, che chiameremo grafico A, troviamo il confronto delle tendenze del tasso di mortalità per tutte le cause di morte, relativo al periodo compreso tra il 2019 e il 2020, rispetto al tasso medio inerente al 2016-2018.

Il secondo, grafico B, riporta invece il confronto delle tendenze della mortalità per tutte le cause, escludendo i tassi di mortalità confermati e sospetti per Covid-19 nel periodo 2019-2020 rispetto al tasso medio del 2016-2018. In entrambi i casi, le analisi riguardano la città di Wuhan. Scorrendo le pagine, ci imbattiamo in altri grafici, sempre più precisi. Che cosa emerge? Che non vi sarebbero (il condizionale è d’obbligo) tracce di una massiccia circolazione del virus prima del dicembre 2019. Dunque, l’epidemia, presto divenuta pandemia, sarebbe esplosa a dicembre. Quasi sicuramente, in precedenza, vi erano già alcuni casi ma isolati o non rilevati.

La versione dell’Oms

Il paper Oms è piuttosto esplicito, nonostante le mille indiscrezioni – mai confermate sul campo – uscite nei mesi precedenti. “Il tasso di mortalità per polmonite a Wuhan dalla settimana 40 alla settimana 52 del 2019 (cioè dall’ottobre al dicembre 2019 ndr) non era diversa dalla media rilevate degli stessi periodi del 2016-2018”, si legge nel documento. Dalla terza settimana del 2020 (15-21 gennaio 2020), c’è stato un cambiamento sostanziale. È in quel momento che “il tasso di mortalità della polmonite è stato superiore al valore medio di quello rilevato nello stesso periodo nel 2016-2018”. Da lì in poi, quello stesso valore è schizzato alle stelle.

Quindi, stando alla ricostruzione effettuata dall’Oms, tutto sarebbe esploso nel dicembre 2019. Bisogna ricordare che i primissimi casi di Covid sono stati segnalati ben prima di dicembre (o a dicembre), e non tutti in Cina. Ad esempio, due residenti della contea di Snohomish, nello Stato di Washingon, si sarebbero ammalati lo scorso dicembre, proprio negli stessi giorni in cui (nella versione ufficiale) il Covid-19 iniziava a muovere i primi passi oltre la Muraglia. Un’altra versione considera un anonimo 55enne dello Hubei come il primo paziente ad aver contratto il virus, precisamente lo scorso 17 novembre. La sensazione è che serviranno ulteriori indagini per capire meglio una vicenda ancora piuttosto oscura. Non solo per quanto concerne il lato temporale, ma anche per quello geografico.