Altro che Messico e nuvole, nella terra dei sombreri e della tequila chi si firma è morto. Non è una battuta ma, purtroppo, una drammatica realtà. Secondo i dati forniti dal governo federale dal 2000 ad oggi più di 260 giornalisti sono stati assassinati. La loro “colpa”? Scrivere cose sgradite ai narcos che da decenni insanguinano il Paese e ai loro tanti, troppi complici: politici, militari, giudici, imprenditori. La folla di corrotti che sta divorando ciò che resta della scassata repubblica del presidente socialista Andres Manuel Lopez Obrador, per amici e avversari semplicemente AMLO.
I più esposti sono i corrispondenti della sterminata provincia messicana, in particolare i colleghi che lavorano nelle regioni maggiormente investite dalle continue faide tra i cartelli della droga, una folle mattanza con circa 30mila morti all’anno. Informare correttamente i lettori sui fatti di cronaca nera è rischioso, cercare di spiegarne i motivi, i retroscena e disegnare le correlate geografie criminali equivale ad una condanna a morte quasi certa.
Come spiega Leopoldo Maldonado, direttore di “Articolo 19”, principale organizzazione messicana per la libertà di stampa, “la violenza si è trasformata in un vero modus operandi per censurare l’informazione. Ogni giorno un giornalista viene aggredito dai narcos e, soprattutto, dai funzionari pubblici, dai poliziotti, dagli eletti locali”. Non a caso il 99% dei crimini contro la stampa resta impunita. Lavorare è sempre più difficile, racconta sconsolata Balbina Flores rappresentante di “Reporter senza Frontiere”: “il Messico è al 127 posto su 180 paesi nella classifica mondiale sulla libertà di stampa. Ovunque nel paese si allargano le zone di silenzio mediatico minacciando così la nostra giovane democrazia. In provincia tutto si regge sugli accordi tra le mafie e la corruzione politica e i giornalisti indipendenti sono terribilmente esposti. Soltanto nella capitale, grazie alla presenza dei poteri federali e dei grandi media nazionali, vi è ancora qualche spazio per la libertà d’informazione”.
Non a caso molti operatori minacciati di morte piuttosto che autocensurarsi hanno scelto di trasferirsi a Città del Messico, una megalopoli di 20 milioni di abitanti, e d’immergersi nell’anonimato. Ma per i giornalisti liberi anche la capitale è sempre meno sicura. Il 15 dicembre scorso due killer su una moto hanno tentato d’uccidere Coiro Gomez Leyva, celebre commentatore televisivo. Fortunatamente l’auto era blindata e Leyva si è miracolosamente salvato ma il messaggio è chiaro, nessuno è al sicuro e la notorietà non è una garanzia.
Per cercare d’arginare la pressione criminale sulla stampa nel 2012 il governo dell’allora presidente Enrique Pena Nieto ha creato un programma federale di protezione a cui si sono iscritti 600 giornalisti. Il meccanismo prevede una linea sicura d’allarme, telecamere e camere blindate nelle redazioni e nelle abitazioni e, nei casi più delicati, una scorta armata. Misure in realtà abbastanza inutili: nel 2022 in Messico sono stati uccisi più giornalisti che in qualsiasi paese al mondo, Siria e Ucraina comprese.
Di certo la presidenza di AMLO non aiuta. Anzi. Come affermano i responsabili di “Articolo 19”, Lopez Obrador e i suoi ministri perseguono una violenta campagna contro la stampa indipendente, rea a loro avviso di appoggiare l’opposizione con false notizie e scandalismo di bassa lega. Lo conferma, una volta di più, proprio la brusca virata all’indomani del fallito attentato a Coiro Gomez Leyva. Dopo aver espresso una tiepida solidarietà alla mancata vittima, pochi giorni dopo il presidente è tornato sull’accaduto insinuando che l’intera vicenda potrebbe essere soltanto una montatura per destabilizzare il suo governo.
Ricordiamo inoltre che AMLO sostiene apertamente la campagna denigratoria contro la stampa perseguita della sulfurea trasmissione televisiva significativamente intitolata “Chi è chi nelle bugie della settimana?”. Ogni mercoledì va in onda una sorta di gogna propagandistica contro i professionisti non allineati ai voleri presidenziali. Per Reporter senza Frontiere un atteggiamento irresponsabile che devasta il già molto agitato il dibattito pubblico e criminalizza chiunque scriva. Per quanto riguarda la magistratura solo pessime notizie. I parenti delle vittime denunciano che non solo non ci sono progressi positivi nelle tante indagini aperte e mai concluse, ma persino i processi in corso subiscono costantemente “strane” battute d’arresto che portano volutamente all’insabbiamento di ogni procedimento.